Perché Trump ce l’ha con le università americane
Le accuse di antisemitismo sono soltanto una piccola parte del problema, che nasce da ostilità culturali e politiche vecchie di decenni

La campagna dell’amministrazione di Donald Trump contro alcune delle più prestigiose università degli Stati Uniti è la più aggressiva da decenni. Trump sta minacciando le università di cancellare miliardi di dollari in fondi pubblici alla ricerca se non concederanno al governo potere di influenza su programmi, criteri di ammissione, ricerca e l’amministrazione dei campus. La ragione più citata di questi attacchi è che le università non avrebbero fatto abbastanza per contrastare episodi di antisemitismo nei campus durante le proteste degli scorsi mesi contro la guerra nella Striscia di Gaza. In realtà i problemi della destra americana contro le università sono cominciati anni fa, e hanno ragioni politiche e culturali profonde.
Gli attacchi sono cominciati a febbraio, quando l’amministrazione ha istituito all’interno del dipartimento all’Istruzione una “Task force per contrastare l’antisemitismo”. Le università prese di mira finora sono state sette, tutti istituti d’eccellenza e tutti in stati americani che alle ultime elezioni hanno votato per il Partito Democratico:
• Harvard, a cui il governo ha già sospeso 2,2 miliardi di fondi, che potrebbero arrivare fino a 9 miliardi. Harvard ha annunciato che resisterà alle richieste dell’amministrazione.
• Columbia, a cui il governo ha sospeso 400 milioni di dollari. La Columbia ha ceduto alle richieste di Trump, ma non ha ancora riavuto indietro i fondi.
• Brown, con un taglio di 510 milioni.
• Cornell, con un taglio di almeno un miliardo.
• Northwestern, con un taglio di 790 milioni.
• L’Università della Pennsylvania, con un taglio di 175 milioni.
• Princeton, con un taglio di 210 milioni.
Oltre a queste, sono sotto indagine decine di altre università anche molto note, come Berkeley e la Johns Hopkins University. I fondi tagliati o a rischio riguardano soprattutto la ricerca scientifica: alcune università hanno già chiuso laboratori e avviato piani di ridimensionamento del personale (anche a causa del taglio dei fondi di USAID).
Anche le università che si sono dimostrate collaborative verso le richieste del governo sul tema dell’antisemitismo e delle proteste a favore dei palestinesi di Gaza hanno subìto tagli ai fondi, come la Northwestern University. Questa è solo una delle ragioni che alimentano l’animosità della destra americana contro le università.

Una protesta dei docenti della Columbia contro le misure di Trump, 14 aprile (Graham Dickie/The New York Times/contrasto)
L’ostilità della destra parte dall’idea – generalmente corretta, peraltro – che nei campus americani la cultura di sinistra sia decisamente prevalente. Non è una novità: dalla fine della Seconda guerra mondiale le grandi università americane sono sempre state di sinistra, e per decenni la cosa non ha mai creato grossi problemi.
Ma più la politica negli Stati Uniti si è polarizzata attorno a grandi temi culturali come l’aborto, il razzismo, i diritti delle minoranze, più la destra ha cominciato a contestare e malsopportare la tendenza a sinistra delle università. Quello che prima era ritenuto istruzione è diventato indottrinamento, quello che prima era ritenuto critica è diventato ideologia. La destra ha cominciato a sostenere che le università non fossero più istituzioni generalmente progressiste, ma dominate da una sinistra estrema, radicale e irragionevole.
Una delle prime campagne culturali contro le università progressiste risale a 15-20 anni fa, quando emersero alcuni grossi casi di studiosi e intellettuali conservatori disinvitati da eventi universitari a causa delle pressioni degli studenti di sinistra. Uno dei casi più noti fu quello di Ayaan Hirsi Ali, intellettuale di origini somale a cui la Brandeis University cancellò una laurea ad honorem dopo grosse polemiche su sue posizioni ritenute islamofobe.
Come spesso accade, le proteste di quegli anni contro gli intellettuali conservatori erano in parte giustificate (alcune posizioni di Ayaan Hirsi Ali erano effettivamente islamofobe) e in parte frutto di eccessi e dogmatismi ideologici. Ma la destra americana cominciò a vedere in questi comportamenti la prova del fatto che le università americane fossero ostaggio di una cultura di estrema sinistra illiberale, che viola la libertà di espressione dei conservatori e impartisce agli studenti un indottrinamento di estrema sinistra.
Le polemiche successive arrivarono a ondate, e riguardarono il movimento antirazzista Black Lives Matter; le questioni di genere e i diritti delle persone trans; e infine la guerra a Gaza e il problema dell’antisemitismo. Le proteste pro Palestina degli scorsi mesi hanno contribuito ad alimentare la percezione che le università americane fossero ormai fuori controllo.
Dopo anni di questi attacchi, il movimento trumpiano è ormai convinto che le università americane siano affette da quello che Trump e i suoi alleati definiscono il «woke mind virus», cioè il virus della cultura woke, e che siano dei centri di indottrinamento dell’estrema sinistra.

Le proteste pro Palestina alla Columbia University, aprile 2024 (Marco Postigo Storel via AP)
Da un lato è vero che negli ultimi anni il clima nelle università è diventato ideologicamente più polarizzato, e molti studenti conservatori hanno detto di sentirsi inibiti a esprimere le loro opinioni per timore di ripercussioni. Al tempo stesso questa rappresentazione delle università come centri di indottrinamento è caricaturale e in gran parte smentita dai dati.
La percezione delle università è comunque peggiorata notevolmente negli ultimi anni. Secondo una ricerca del centro statistico Gallup, i cittadini statunitensi che avevano grande fiducia nelle istituzioni universitarie americane erano il 57 per cento nel 2015 ma soltanto il 36 per cento nel 2024. Tra i Repubblicani questo dato è ancora peggiore: il 56 per cento si fidava delle università nel 2015, ma nel 2024 la fiducia era crollata al 20 per cento.
La destra americana ha avuto buon gioco a screditare le università anche facendo leva su problemi preesistenti, come le rette altissime che costringono gli studenti a indebitarsi. Pur non volendo fare niente per mitigare il problema, Trump ha presentato le università come istituzioni ricchissime e avide, che usano i soldi pubblici per sostenere ideologie di estrema sinistra. «I college hanno ricevuto centinaia di miliardi di dollari dai contribuenti che lavorano sodo. Ora dobbiamo cacciare questa follia antiamericana dalle nostre istituzioni, una volta per tutte. Avremo una vera istruzione in America». In altre occasioni Trump ha detto che le università sono dominate da «maniaci e pazzi marxisti».
C’è infine un ultimo elemento che ha provocato l’ostilità della destra americana nei confronti delle università, e ha contribuito a ritenerle un bastione della sinistra e un nemico da abbattere: negli ultimi 30 anni negli Stati Uniti le divisioni politiche si sono allargate moltissimo sulla base dell’istruzione. Le persone non laureate votano Repubblicano, le persone laureate votano Democratico.
Si è visto anche alle ultime presidenziali, quando la candidata Democratica Kamala Harris ha perso il voto popolare ma ha vinto con un margine di oltre il 20 per cento tra gli elettori laureati. Il movimento trumpiano non vuole soltanto eliminare quella che ritiene la cultura di sinistra delle università: vuole riprendersele.



