Che posto è la Sala Verde di Palazzo Chigi
È dove in passato si prendevano gli accordi più importanti tra governo, sindacati e imprese, mentre ora le cose sono un po' cambiate

Martedì della scorsa settimana il governo italiano ha incontrato i vertici di Confindustria, la principale organizzazione che rappresenta le imprese italiane, e le altre maggiori associazioni di categoria, per discutere dell’emergenza causata dai dazi imposti e poi in parte rimossi sulle merci europee dagli Stati Uniti. Come prevede la prassi per questo tipo di incontri, i colloqui si sono svolti nella Sala Verde di Palazzo Chigi, un luogo piuttosto simbolico: da decenni è qui che i governi italiani convocano le cosiddette “parti sociali” quando c’è da discutere qualcosa di importante. Con “parti sociali” ci si riferisce ai rappresentanti dei principali interessi economici del paese, come sindacati e associazioni dei datori di lavoro.
La Sala Verde si trova al terzo piano di Palazzo Chigi, che dà su via del Corso a Roma e da più di sessant’anni è la sede della presidenza del Consiglio dei ministri. Tra gli anni Ottanta e Novanta nella sala furono presi alcuni degli accordi più importanti per le relazioni industriali e le politiche economiche della storia d’Italia. In quegli anni ci fu un eccezionale coinvolgimento della cosiddetta società civile nelle decisioni economiche, a cui venne dato il nome di “politica della concertazione”, riferendosi al fatto che le decisioni venivano prese dai principali gruppi di interesse del paese in modo coordinato, un po’ come fanno gli strumenti di un’orchestra musicale.
Dagli anni Duemila in poi la partecipazione delle parti sociali alle decisioni economiche dei governi si è notevolmente ridotta. La concertazione ha perso centralità, e con essa anche la Sala Verde, che tuttavia ha continuato a essere usata come sede di consultazione con sindacati e associazioni di categoria.
Una volta saliti al terzo piano di Palazzo Chigi, per accedere alla Sala Verde bisogna attraversare l’anticamera, una stanza dove sono appese le foto di tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduti dal 1861, anno dell’Unità d’Italia. La Sala Verde prende il nome dal colore della tappezzeria che ricopre le pareti e le sedie, di una tonalità di verde molto chiara, quasi azzurrina. È una stanza piuttosto grande, arredata in stile ottocentesco, con al centro un lungo tavolo di legno circondato da molte sedie disposte su più file; il soffitto è molto alto, con ampi cassettoni, mentre su due pareti sono appesi alcuni arazzi. In fondo alla sala, accostata alla parete, si trova una grossa struttura di legno composta da una balconata chiusa con delle vetrate e due grossi cilindri ai lati: all’interno dei cilindri ci sono scale a chiocciola che permettono di raggiungere la balconata, che ospita le cabine per gli interpreti che devono tradurre gli incontri in simultanea.
Stando a quel che si sa, passando dalla Sala Verde si può accedere alle stanze private del presidente del Consiglio: un passaggio che concede un po’ più di riservatezza e che permette di evitare l’ascensore che porta alle stesse stanze, molto sorvegliato per motivi di sicurezza.
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La sala iniziò a ospitare gli incontri tra governo e parti sociali a partire dal primo governo di Bettino Craxi, che nel 1984, con gli accordi sul cosiddetto “decreto di San Valentino”, coinvolse i più importanti soggetti dell’economia italiana per provare a riformare il sistema di aggiustamento automatico dei salari all’inflazione, detto “scala mobile”.
Quell’accordo non fu risolutivo, ma fu comunque il primo a essere discusso e concordato in quel modo. All’inizio degli anni Novanta la concertazione raggiunse la sua fase di massima intensità: era necessario coinvolgere tutti, dal momento che la classe politica era stata delegittimata dagli scandali di corruzione emersi con le inchieste giudiziarie note come “Tangentopoli”. In quel periodo si formò un governo tecnico guidato dall’ex presidente della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, che tra il 1992 e il 1993 incontrò sindacati e associazioni di categoria nella Sala Verde per abolire definitivamente la scala mobile, nel contesto di una riforma storica che servì ad allineare l’economia italiana a quella degli altri paesi europei, in vista dell’adozione di una politica monetaria comune e dell’euro.
Molti degli incontri nella Sala Verde vengono ricordati per la loro lunghezza e, talvolta, per il carattere informale che assumevano: si racconta che le discussioni finivano spesso per durare anche intere nottate, fino a quando non si raggiungeva un accordo tra le parti. Le trattative erano favorite da alcuni funzionari di Stato, sempre gli stessi, che bazzicavano la sala di continuo e che facevano un importante lavoro diplomatico e di intermediazione. Sia sindacati che imprese si presentavano con i propri esperti e contabili, dei quali si avvalevano per argomentare in favore o contro una proposta, facendo i calcoli economici anche lì sul momento.
Per quelli che frequentarono la Sala Verde durante il periodo più intenso della concertazione alcuni dei personaggi legati a quel luogo sono diventati quasi leggendari, come per esempio Francesco Massicci, importante contabile della Ragioneria generale dello Stato, che veniva chiamato da Ciampi assieme alle sue carte e documenti contabili ogni volta che c’era bisogno di fare dei conti in tempo reale e verificare che le proposte fatte in trattativa fossero attuabili.

A capotavola il presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi con i leader sindacali e di Confindustria, all’incontro per la firma dell’accordo sul costo del lavoro a Palazzo Chigi, Roma, 23 luglio 1993. (ANSA)
Dall’inizio degli anni Duemila, con il progressivo indebolimento della concertazione favorito anzitutto da Silvio Berlusconi, anche la Sala Verde perse parte del suo ruolo. Nonostante ciò, per almeno quindici anni ha continuato a essere il luogo dove si affrontavano alcune delle vertenze sindacali più importanti e delicate, con trattative formali tra sindacati e datori di lavoro. Tra i molti incontri ospitati, ci furono quelli legati alla crisi dell’ILVA (oggi Acciaierie d’Italia) e quelli sulla vendita di Alitalia, la compagnia aerea un tempo controllata dallo Stato.
Come per la concertazione, anche durante le vertenze sindacali la Sala Verde è stata a lungo luogo di intensi incontri e trattative, in cui si discuteva anche per ore e si faceva nottata. Durante gli anni Duemila un ruolo di primo piano nelle negoziazioni lo aveva Gianni Letta, influente sottosegretario alla presidenza del Consiglio e consigliere politico di Berlusconi: fu lui a convincere Fabio Riva, allora proprietario dell’ILVA di Taranto, alzando anche un po’ la voce, a firmare l’accordo sulle emissioni di diossina; mentre durante una discussione sulla chiusura di alcuni impianti della multinazionale statunitense Alcoa si racconta che Letta chiamò i dirigenti dell’azienda alle tre del mattino, di fronte ai sindacati che nel frattempo si erano piazzati con le tende davanti al parlamento: l’accordo fu trovato un’ora dopo, a notte fonda.

Le luci accese nella Sala Verde di Palazzo Chigi durante una vertenza sindacale protratta fino a tardi, il 9 dicembre 2009, Roma (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
L’ultimo importante accordo sindacale raggiunto nella Sala Verde fu quello relativo alla chiusura di alcuni stabilimenti dell’azienda di elettrodomestici Whirlpool, nel 2015. Dopodiché le vertenze smisero di essere gestite in modo centralizzato, proprio come successe alle lotte sindacali legate a un miglioramento dei contratti e delle condizioni salariali nazionali. Successivamente la Sala Verde ha continuato a essere impiegata, anche se perlopiù in modo simbolico, per dare visibilità mediatica a consultazioni e incontri più che per prendere decisioni reali.
Negli ultimi anni i governi di Matteo Renzi, Mario Draghi e Giorgia Meloni l’hanno usata per consultare imprese e sindacati; Giuseppe Conte, invece, questo tipo di incontri preferiva farli nella biblioteca di Palazzo Chigi.



