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  • Mercoledì 17 gennaio 2024

L’amministrazione straordinaria per l’ex ILVA è più vicina

Dopo un decreto-legge approvato martedì dal governo, deciso in seguito al mancato accordo con ArcelorMittal per il risanamento dei debiti dell'acciaieria

Una foto di una manifestazione dei sindacati con uno striscione rosso che dice "Ilva" e il fumo intorno
Manifestazione dei sindacati nel 2021 a Roma (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Martedì il consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge che prevede una serie di misure per rafforzare le tutele delle imprese di “carattere strategico” in caso di amministrazione straordinaria, ossia la procedura del diritto fallimentare che permette alle aziende in crisi di restare operative concordando con un tribunale un piano di risanamento dei debiti. In un comunicato stampa il governo ha citato espressamente tra le imprese riguardate dal decreto-legge Acciaierie d’Italia, la società nota come ex ILVA che gestisce tra gli altri il grande stabilimento di produzione dell’acciaio a Taranto.

Di fatto il decreto-legge è un’ammissione del governo che al momento non c’è nessuna possibilità di accordo tra i soci della società per aumentarne il capitale e ripianare i debiti, e che l’unica possibilità rimanente per il salvataggio dell’ex ILVA è il ricorso all’amministrazione straordinaria. Il decreto-legge rafforza alcune misure già presenti nell’ordinamento «a tutela della continuità produttiva e occupazionale delle aziende in crisi» e prevede «garanzie di cassa integrazione straordinaria durante l’eventuale amministrazione straordinaria». Nel caso di un’eventuale amministrazione straordinaria, sarebbero esclusi dalla cassa integrazione i lavoratori «impegnati nella sicurezza e nella manutenzione degli impianti, per consentire che restino operativi».

L’ex ILVA gestisce lo stabilimento di produzione di acciaio di Taranto, il più grande in Europa, e altri in Liguria, Piemonte e Veneto. Il 68 per cento di Acciaierie d’Italia è di una multinazionale franco indiana, ArcelorMittal, che però non vuole più investire negli impianti, mentre il 32 per cento è dello Stato, che vuole liberarsi di ArcerlorMittal per non portare l’acciaieria verso una graduale chiusura con migliaia di licenziamenti.

ArcelorMittal aveva comprato l’ex ILVA all’asta nel 2018 prendendosi il compito di risanare una società molto compromessa da anni di indagini per danni ambientali. Da allora la multinazionale ha però fatto pochi investimenti per rilanciare la produzione, non rispettando le promesse fatte al momento dell’acquisizione per via delle decisioni del governo di Giuseppe Conte che cancellò il cosiddetto scudo penale compromettendo i presupposti del contratto. Alla fine del 2020 lo Stato aveva deciso di tornare nella società per non lasciare il controllo dell’impianto più importante di un settore strategico come la siderurgia e per evitare le conseguenze sociali di una chiusura.

Nei mesi scorsi ci sono state lunghe trattative tra ArcelorMittal e il governo, con quest’ultimo che ha cercato in più occasioni di convincere la multinazionale a fare nuovi investimenti nell’acciaieria. A inizio gennaio le due parti si erano di nuovo incontrate, senza trovare però nessun accordo.

Le possibilità per il futuro dell’ex ILVA ora sono due. La soluzione più conveniente per lo Stato è la separazione consensuale, cioè l’acquisizione delle quote di ArcelorMittal in seguito a un accordo economico: negli ultimi giorni si è ipotizzato che ArcelorMittal possa cedere la maggioranza delle quote della società allo Stato italiano senza aumentarne il capitale, e di versare al massimo 200 milioni di euro per l’acquisto degli impianti. Il governo vorrebbe che però ArcelorMittal continuasse a finanziare la società anche da una posizione di minoranza, una richiesta che la multinazionale non sembra voler accettare.

L’altra possibilità, ora più probabile ma anche più traumatica, è invece il ricorso all’amministrazione straordinaria. Per chiedere l’amministrazione straordinaria che consentirebbe di tenere operativa l’azienda servirebbe un accordo tra i soci, ma il governo ha la possibilità di attivarla usando una norma del cosiddetto decreto ILVA del 2023, che consente di forzare la procedura anche su richiesta del solo socio pubblico.

Il rischio dell’amministrazione straordinaria è di aprire un lungo contenzioso legale sui mancati impegni contrattuali, perché lo Stato e ArcelorMittal si rinfacciano l’un l’altro mancati investimenti promessi in passato.

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