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  • Giovedì 17 febbraio 2022

Tangentopoli per chi non c’era

Cosa fu il pool di Mani Pulite, chi fu coinvolto dalle inchieste, chi era “il compagno G.”, cosa successe all'Hotel Raphael, e cosa cambiò dopo

Mario Chiesa con Bettino Craxi (ANSA ARCHIVIO/JI)
Mario Chiesa con Bettino Craxi (ANSA ARCHIVIO/JI)

Il 17 febbraio 1992, trent’anni fa, venne arrestato a Milano Mario Chiesa, presidente della casa di cura Pio Albergo Trivulzio ed esponente del Partito socialista. I carabinieri lo colsero in flagranza di reato subito dopo aver ricevuto una tangente da sette milioni di lire. In quei giorni il caso non destò grandi attenzioni a livello nazionale, ma l’arresto di Chiesa sarebbe poi diventato famoso come quello da cui cominciò l’insieme di inchieste note come Mani Pulite, o Tangentopoli, che riguardarono l’esteso sistema di corruzione e concussione che coinvolgeva quasi tutti i principali partiti di allora e un pezzo dell’imprenditoria nazionale.

Spesso si dice che Tangentopoli mise fine alla Prima Repubblica, cioè al sistema politico e partitico che si era consolidato in quasi cinquant’anni dopo la Seconda guerra mondiale, favorendo l’ascesa di nuove forze e nuove ideologie. I nomi delle persone coinvolte nelle vicende politiche e giudiziarie di quegli anni, i posti in cui si svolsero le vicende, sono in molti casi entrati nell’immaginario collettivo, citati ancora oggi di frequente sui giornali e in tv per fare confronti e rimandi con la politica contemporanea. A questi nomi sono associati in molti casi concetti ed espressioni gergali ben noti a chi seguì o studiò quelle vicende, ma talvolta più confusi per chi nei primi anni Novanta era troppo giovane oppure nemmeno era nato.

Mario Chiesa
Soprannominato “il Kennedy di Quarto Oggiaro” per la sua ambizione, Chiesa iniziò a fare politica con il PSI negli anni Sessanta. Tra gli anni Settanta e Ottanta ottenne una serie di incarichi pubblici, dal posto di direttore tecnico all’ospedale Sacco all’assessorato ai Lavori Pubblici. Erano anni in cui a Milano i socialisti erano potentissimi: il PSI aveva espresso il sindaco della città ininterrottamente dal 1967, e Chiesa aveva legami sia con Paolo Pillitteri che con Carlo Tognoli, due esponenti di spicco del PSI milanese (il primo fu sindaco dal 1986 al 1992, il secondo dal 1976 al 1986).

Nel 1986 Chiesa venne nominato presidente del Pio Albergo Trivulzio, una nota e antica casa di cura chiamata “la Baggina” dai milanesi, dal fatto che la sede si trova sulla strada che va verso Baggio e che un tempo si chiamava appunto via Baggina. In quegli anni Chiesa coltivava l’ambizione di diventare sindaco, perciò si allontanò dagli esponenti locali socialisti e cercò di costruirsi un legame con Bettino Craxi, segretario del partito e presidente del Consiglio tra il 1983 e il 1987.

Nel 1992 Chiesa finì però coinvolto in un’operazione dei Carabinieri. La ditta di pulizie dell’imprenditore brianzolo Luca Magni, per assicurarsi l’appalto al Pio Albergo Trivulzio, pagava regolarmente tangenti a Chiesa. Magni, stanco e sfibrato dalle continue richieste economiche di Chiesa, denunciò il fatto ai Carabinieri, i quali lo portarono dal magistrato Antonio Di Pietro. Insieme a lui organizzarono l’operazione. Colto in flagrante mentre accettava una tangente di 7 milioni di lire, Chiesa venne arrestato. Pochi giorni dopo l’arresto, Craxi cercò di sminuire l’accaduto definendo Chiesa un «mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito» fatto di gente onesta.

Sull’arresto di Chiesa si sviluppò la prima fase dell’inchiesta di Di Pietro, a cui vennero presto affiancati altri magistrati – il “pool di Mani Pulite” – e che si allargò fino a coinvolgere centinaia di persone prima a Milano e poi in tutta Italia, prima nel Partito socialista e poi in quasi tutti gli altri.

Perché “Tangentopoli”
Oggi Tangentopoli è diventato un termine che descrive genericamente gli eventi di quegli anni, dalle inchieste partite nel 1992 alle loro conseguenze politiche, e viene usato anche per descriverne gli effetti sui media e sull’opinione pubblica. Ma come raccontò poi Di Pietro, l’arresto di Chiesa fu l’innesco di una macchina giudiziaria e di indagine che era stata costruita meticolosamente e da molto tempo, mentre la procura di Milano indagava sui tanti episodi di corruzione e concussione in città.

Questi episodi finivano periodicamente sui giornali anche prima del 1992, e proprio da uno di questi nacque il nome “Tangentopoli”. Lo inventò Piero Colaprico, all’epoca inviato speciale di Repubblica. Il caso riguardava un funzionario impiegato all’urbanistica del comune di Milano che aveva messo in piedi un percorso parallelo per accettare in cambio di tangenti le pratiche che ufficialmente rifiutava. Colaprico ricorda così la genesi di Tangentopoli come definizione:

Mi era sembrata una vicenda meno brutale di altre simili, con una dinamica degna delle ideone sballate di un eroe dei fumetti, quelle che poi finiscono immancabilmente male: Paperino. E così, Paperino-Paperopoli. E Tangenti-Tangentopoli.

Milano, “la città della tangenti”: sarebbe meglio dire “la città delle tangenti che venivano scoperte”, perché non è che in altre città non ci fosse la stessa, se non una più grave corruzione. In ogni caso, Milano non era esente dal tema, che Repubblica seguiva con grande attenzione, anche per decisione del direttore Eugenio Scalfari. Cominciai a scrivere in vari articoli queste “cronache di Tangentopoli”. Non se ne accorse nessuno.

Finché non arriva il caso Chiesa, e con il passare dei giorni il caso monta fino ad arrivare in prima pagina, con un riferimento a Tangentopoli nel titolo.

Col tempo la definizione attecchì anche su altri giornali e nelle televisioni, nel vocabolario collettivo e soprattutto entrò nel gergo giornalistico il meccanismo inventato da Colaprico: ci furono perciò in seguito gli scandali di Calciopoli e Vallettopoli, solo per citare i più famosi.

Il pool di Mani Pulite
Dopo le elezioni del 5 aprile 1992, definite un «terremoto» per il calo di consensi dei partiti di governo e per l’ascesa di nuovi movimenti come la Lega Nord e La Rete, la magistratura continuò a indagare. Chiesa, dopo settimane di interrogatorio, aveva descritto un sistema di corruzione organico al finanziamento di tutti i partiti, dalla DC al Partito comunista. In seguito cominciarono a stabilire contatti con la magistratura anche altri imprenditori. L’indagine insomma si stava allargando e il capo procuratore Francesco Saverio Borrelli decise di costituire un “pool”, un gruppo di magistrati incaricati di seguire le varie inchieste condividendo le informazioni.

È una soluzione che le procure adottano di rado, quando ci sono casi molto grossi e delicati da seguire e il lavoro di un solo pubblico ministero non basta. Al sostituto procuratore Di Pietro ne furono aggiunti altri due: Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo.

Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo. (Lapresse)

Colombo era già allora un magistrato molto noto, aveva indagato sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli e sull’omicidio di Giorgio Ambrosoli. Davigo si era concentrato invece sulla criminalità organizzata, sui reati finanziari e contro la pubblica amministrazione. In seguito, Davigo raccontò della sua ritrosia ad accettare la richiesta di entrare nel pool, perché sapeva che Mani Pulite avrebbe avuto conseguenze enormi, e che i magistrati avrebbero passato con ogni probabilità qualche guaio: «Accadde però che in concomitanza con la mia risposta ci fu la strage di Capaci e allora io mi vergognai anche solo di aver pensato che potevo passare dei guai».

L’inchiesta venne chiamata Mani Pulite dalle iniziali dei nomi in codice usati dal comandante dei Carabinieri Zuliani e da Di Pietro durante le comunicazioni via radio (rispettivamente “Mike” e “Papa”). Di Pietro, Colombo e Davigo ne diventarono gli uomini immagine, personaggi mediatici a tutti gli effetti e con tutte le conseguenze del caso, oggetto di venerazione e cori dedicati durante le manifestazioni (“Colombo, Di Pietro, non tornate indietro!”).

Il “Compagno G.”
Primo Greganti fu uno dei pochi esponenti comunisti a essere coinvolto nelle indagini di Mani Pulite. Venne arrestato il 1° marzo 1993, quando già il PCI si era trasformato in Partito Democratico della Sinistra (PDS). Fu accusato di aver ricevuto per conto del partito una tangente di 621 milioni di lire dal gruppo Ferruzzi, una nota società agroalimentare che anni prima aveva acquistato la maggioranza del gruppo Montedison, una importante società chimica italiana sui cui rapporti illegali con partiti e amministrazioni il pool si concentrò a lungo.

L’arresto di Greganti incluse anche il PDS tra i partiti accusati di corruzione, insieme a quelli che si erano trovati al governo negli anni precedenti (DC e PSI, oltre al Partito Socialdemocratico, il Partito Liberale e quello Repubblicano). Ma lo stesso Greganti divenne famoso perché – a differenza di altri accusati che confessarono in fretta per timore della carcerazione e per le pressioni pubbliche – durante i tre mesi che passò in arresto a San Vittore a Milano si dichiarò sempre innocente e si rifiutò di ricondurre al PCI il ricco conto bancario denominato “Gabbietta” a lui intestato.

Primo Greganti nel 2007. (Cosima Scavolini/Lapresse)

Sui giornali dell’epoca divenne noto con il soprannome di “signor G.” e poi “compagno G.”, dopo che il PDS ne aveva preso le distanze chiamandolo “il signor Greganti”: ma al tempo stesso il suo comportamento gli guadagnò paradossali stime sia tra gli elettori del PDS che tra quelli del centrodestra nemici delle inchieste di Mani Pulite. Greganti fu scarcerato il 31 maggio 1993. Venne poi condannato, ma il suo limitato coinvolgimento rese il PDS l’unico dei partiti tradizionali che subì poche conseguenze da Tangentopoli (e anzi beneficiò della crisi che travolse i partiti suoi avversari).

Cusani, Gardini, Cagliari e il processo Enimont
Ci fu un lungo periodo in cui le indagini del pool andarono avanti, scandite dalle notizie di avvisi di garanzia arrivati a diversi esponenti politici, ciascuno trattato come un inequivocabile indizio di colpevolezza. Poi iniziarono i processi. Tra tutti, quello più seguito fu il processo Enimont, che iniziò nell’autunno 1993 e vide il coinvolgimento di esponenti politici di primo piano: Bettino Craxi, Umberto Bossi, Paolo Cirino Pomicino, Arnaldo Forlani e Giorgio La Malfa, tra gli altri. Il processo cercò di stabilire se il gruppo Ferruzzi avesse versato ai partiti una “maxi-tangente” di 150 miliardi di lire, definita impropriamente dai giornali la “madre di tutte le tangenti”.

Il principale imputato era Sergio Cusani, all’epoca consulente finanziario del gruppo Ferruzzi. Cusani era accusato di aver avuto un ruolo centrale nell’organizzare il pagamento di varie tangenti attingendo da quel fondo di 150 miliardi.

Poco tempo prima c’era stata una vasta operazione finanziaria per unire due grandi poli della chimica italiana, quello dell’Eni, in mano pubblica, e quello di Montedison, posseduto dal gruppo Ferruzzi. La fusione aveva fatto nascere il gruppo Enimont.

I personaggi chiave di questa operazione erano i due presidenti dei rispettivi gruppi, Gabriele Cagliari, che trattava con Montedison per conto dello Stato, e Raul Gardini, presidente del gruppo Ferruzzi. La fusione però fu un insuccesso: Gardini avrebbe voluto “scalare” il gruppo, come si dice in gergo finanziario, ossia rilevare la quota di maggioranza di Enimont, ma i partiti fecero resistenza. Gardini allora si sfilò dall’affare, cercando di convincere l’Eni a rilevare le sue quote a un buon prezzo: secondo il pool di Mani Pulite attraverso il pagamento di tangenti ai vari partiti.

Il processo si concluse con le condanne definitive di molti importanti politici, tra cui Forlani, Bossi, Renato Altissimo e il tesoriere della DC Severino Citaristi. Cusani fu condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere.

Prima del processo, durante le indagini, Gabriele Cagliari era stato arrestato per un’altra presunta tangente. Dopodiché, mentre si trovava in carcere, gli furono contestati altri reati che avevano a che fare con una rete di “fondi neri” dell’Eni. In tutto, Cagliari rimase in custodia cautelare a San Vittore quattro mesi e mezzo: si suicidò il 20 luglio 1993. Tre giorni dopo, si uccise anche Gardini nella sua casa di Milano a palazzo Belgioioso.

Prima e Seconda Repubblica
Tangentopoli fu una cesura così evidente, un momento da “prima e dopo”, che fu interpretato come un passaggio tra due Repubbliche, nonostante non ci sia mai stata nessuna riforma dell’assetto istituzionale come invece avvenne in Francia (dove di Repubbliche ce ne sono state cinque). La Repubblica in Italia rimase invece sempre la stessa, eppure dopo il 1992 la politica cambiò in modo così radicale, dalla classe dirigente ai partiti stessi, che sembrò un’altra. In seguito alcuni storici e studiosi misero in discussione questa lettura ridimensionando l’effettiva trasformazione della politica, che conservò comunque molti esponenti di spicco.

La cosiddetta Seconda Repubblica, caratterizzata da un bipolarismo tra la destra di Silvio Berlusconi e la sinistra erede del PCI, viene fatta cominciare di fatto con le elezioni politiche del 1994. Con Prima Repubblica, invece, ci si riferisce convenzionalmente a tutto il periodo prima di Tangentopoli, dominato dalla contrapposizione tra DC e PCI.

Berlusconi
La rapida scomparsa dei partiti della Prima Repubblica lasciarono un vuoto enorme nella politica, alimentato dal sentimento di rigetto tra gli elettori e le elettrici, evidente prima nelle elezioni dell’aprile del 1992 e poi in quelle del 1994. Questa situazione fu abilmente sfruttata da Berlusconi, all’epoca ricco imprenditore proprietario tra le altre cose della squadra di calcio del Milan e della società Fininvest, con cui controllava molte reti televisive private. Attraverso la sua società, Berlusconi raccolse dati sui suoi telespettatori preparando con cura il suo ingresso in politica – ricordato come la “discesa in campo” – e proponendosi come “uomo nuovo”, lontano dalle trame affaristiche della vecchia politica (sebbene da imprenditore conoscesse molto bene gli ambienti politici e fosse amico personale di Craxi).

Nel 1994 dunque entrò in politica e alle elezioni di quell’anno ottenne oltre il 42 per cento dei voti con una coalizione larga, in cui c’era il suo partito (Forza Italia), Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini e la Lega Nord. Formando il primo governo, Berlusconi offrì il ministero dell’Interno a Di Pietro, che aveva pubblicamente sostenuto più volte, per motivi di consenso. Di Pietro rifiutò, e negli anni seguenti i due sarebbero diventati acerrimi rivali. Il governo comunque rimase in carica meno di un anno, per via dei litigi tra Berlusconi e la Lega Nord.

«Un clima infame»
Tangentopoli fu anche causa di eventi tragici. Oltre alle citate storie di Cagliari e Gardini, ci furono diversi altri suicidi, tra cui quello del deputato socialista Sergio Moroni, il 2 settembre 1992. Saputo il fatto, Craxi andò in visita a casa di Moroni, e poi all’uscita venne assaltato dai giornalisti con microfoni e telecamere. Craxi disse solo cinque parole, che diventarono poi assai famose e citate nei contesti più diversi: «Hanno creato un clima infame». Non si sa se si riferisse ai magistrati o ai mezzi di informazione, o all’insieme delle due cose.

Hotel Raphael
Sempre Craxi fu protagonista di un altro episodio, forse ancora più celebre. Era il 30 aprile 1993, Craxi era l’obiettivo più grosso a cui il pool di Mani Pulite puntava nelle sue indagini. Quel giorno il Parlamento respinse quattro delle sei autorizzazioni a procedere contro di lui. Nello sdegno generale, alimentato da toni estremamente polemici da parte dei media, una piccola folla di manifestanti andò sotto la residenza romana di Craxi, l’Hotel Raphael, a pochi passi da piazza Navona, rimanendoci a lungo per aspettarlo.

Craxi decise che non si sarebbe fatto intimidire e scese comunque, affrontandoli. Non appena lo fece partirono prima i cori e poi, quasi subito, una pioggia di oggetti: sassi, sigarette, pezzi di vetro e soprattutto monetine. Chi non lanciava nulla – alcuni la definirono “un’aggressione” – teneva in mano banconote da mille lire e cantava «Bettino vuoi pure queste?».

Un po’ di numeri
I numeri imponenti di Tangentopoli hanno generato negli anni un po’ di confusione. Secondo il pool, soltanto a Milano, per l’inchiesta Mani Pulite, ci furono 620 patteggiamenti davanti al giudice per le indagini preliminari mentre 635 persone vennero prosciolte. Tra i rinviati a giudizio ci furono 661 condanne e 476 assoluzioni. Ci furono diversi suicidi, ma non è noto con esattezza quanti: alcune fonti parlano di 31 persone, altre ancora di 41, ma si tratta di una stima evidentemente difficile e controversa.

L’unica stima dei costi di Tangentopoli che si conosca è quella, molto citata, di Mario Deaglio: 10mila miliardi di lire annui per la cittadinanza; tra i 150mila e i 250mila miliardi di lire per il debito pubblico; tra i 15mila e i 25mila miliardi di lire per gli interessi annui sul debito. Le opere pubbliche arrivarono a costare fino a quattro volte di più rispetto agli altri paesi europei.