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  • Lunedì 14 aprile 2025

Mario Vargas Llosa, dall’estrema sinistra all’estrema destra

Nella sua lunga e influente vita il più importante scrittore della storia del Perù passò dal marxismo al liberismo, da Fidel Castro a Javier Milei

Mario Vargas Llosa nel 2014 (AP Photo/Francisco Seco)
Mario Vargas Llosa nel 2014 (AP Photo/Francisco Seco)
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Per oltre quarant’anni lo scrittore Mario Vargas Llosa, morto domenica a Lima, è stato anche una figura centrale della politica del Perù. È stato un intellettuale influente in tutto il Sudamerica: il suo lavoro letterario, premiato con il Nobel nel 2010, raccontò i cronici problemi politici e sociali del suo paese e del continente. Fu candidato presidente nel 1990, poi oppositore in esilio della dittatura di Alberto Fujimori e in seguito influente sostenitore di vari politici peruviani, con articoli e saggi scritti dalla Spagna, da cui ottenne la cittadinanza nel 1993.

Il suo percorso politico è stato lungo e tortuoso: partito da convinzioni marxiste e di sinistra, sin dagli anni Ottanta si spostò su posizioni liberiste in economia, che lo avvicinarono alla destra e al conservatorismo. Nel tempo è diventato un convinto oppositore di quello che definiva come il populismo della sinistra sudamericana, tanto da appoggiare politici apertamente di destra, come Jair Bolsonaro in Brasile, Javier Milei in Argentina e Keiko Fujimori, figlia del dittatore del Perù, definiti in più occasioni «il male minore».

Con il candidato presidente Alejandro Toledo e il sindaco di Arequipa Manuel Guillen nel 2001 (ANSA-EPA PHOTO AFPI)

L’impegno politico è stata una componente importante del modo in cui intendeva il ruolo di scrittore, sin dagli esordi. Grande ammiratore dello scrittore e filosofo francese Jean-Paul Sartre, studiò nell’Università pubblica di San Marco, dove erano forti i movimenti comunisti e in difesa delle comunità indigene, agricole e più povere del paese. Si avvicinò al socialismo, e sostenne anche la lotta armata come strumento per cambiare la società: nel 1959 vide nel successo della rivoluzione cubana la realizzazione di quegli ideali e fu inizialmente sostenitore di Fidel Castro.

In quegli anni, in cui aveva già pubblicato alcuni libri di successo, andò a Cuba cinque volte, dicendo di apprezzare anche i grandi «salti geometrici che la rivoluzione ha compiuto nel campo dell’istruzione e delle arti». Li riteneva un importante segnale di un modello diverso di comunismo, che si allontanava dallo stalinismo sovietico.

In seguito divenne più critico con il partito comunista cubano, con cui interruppe ogni rapporto nel 1971, quando Castro fece incarcerare il poeta Heberto Padilla per le sue critiche al governo. In quell’occasione promosse una lettera per la scarcerazione di Padilla firmata da molti intellettuali sudamericani: la petizione fu causa di una prima rottura con Gabriel García Márquez, scrittore e intellettuale colombiano a cui era stato molto legato. Vargas Llosa poi nel 1976 a Città del Messico diede pubblicamente un pugno in faccia a García Márquez, per motivi personali che non volle mai davvero spiegare. In seguito fu profondo critico del regime cubano e alla morte di Castro disse: «Non credo che la storia lo assolverà».

Mario Vargas Llosa nel 1978 (AP Photo/Hank Ackerman)

Per tutta la sua vita fu in primo luogo grande lettore e appassionato studioso: dalla metà degli anni Settanta si appassionò a opere e pensieri degli economisti Adam Smith e Friedrich von Hayek e del filosofo Jean-François Revel. Si trasformò in un convinto liberista e questa convinzione nelle opportunità del libero mercato divenne centrale nel suo pensiero. I familiari quasi prendevano in giro la sua ossessione, raccontando: «Se vede un elicottero, ti spiega il modo in cui il liberismo ha permesso che i pezzi provenienti da diversi paesi siano stati uniti in un qualcosa di funzionante».

In quegli anni il suo riferimento politico cambiò radicalmente, passando da Fidel Castro a Margaret Thatcher, prima ministra britannica conservatrice e liberista, apprezzata per quello che definiva l’impegno a «smantellare il groviglio burocratico e lo statalismo parassitario».

Mario Vargas Llosa in un comizio del 1987 (AP Photo/A. Balaguer, File)

Nel 1988 dopo alcune esitazioni si candidò a presidente del Perù a capo di una coalizione nata per l’occasione, il Fronte Democratico, di centrodestra. Il suo messaggio era incentrato principalmente sui temi economici: diceva che non bisognava distribuire meglio le poche ricchezze del paese, ma crearne di nuove, cambiando la mentalità «di rendita». Fece anche un viaggio fra le economie allora emergenti del sudest asiatico e si convinse che il Perù sarebbe potuto diventare «la Singapore del Sudamerica». Era sostenuto da partiti conservatori, ma Vargas Llosa non era dichiaratamente religioso ed era favorevole a matrimoni omosessuali ed eutanasia. Tali posizioni crearono alcuni problemi all’interno della coalizione.

In Perù erano anni di forti tensioni politiche, con una serie di attentati, stragi e sequestri portati avanti dal gruppo rivoluzionario di sinistra Sendero Luminoso, e di una profonda crisi economica, con un’inflazione altissima. Vinse il primo turno delle presidenziali, con il 34 per cento dei voti, e al ballottaggio il suo avversario fu l’allora piuttosto sconosciuto Alberto Fujimori, ingegnere edile che si presentò come indipendente e di centro. Vargas Llosa perse e tre giorni dopo la sconfitta lasciò il Perù, prima per Parigi, poi trasferendosi in Spagna. Fujimori negli anni seguenti avrebbe intrapreso politiche liberiste in economia, ma soprattutto dal 1992 con un autogolpe divenne dittatore, sopprimendo le libertà democratiche e governando in maniera autoritaria fino al 2000.

Dalla Spagna Vargas Llosa fu uno dei maggiori critici di Fujimori, che accusò di essere corrotto e di essere «un fantoccio dei militari»: la lotta contro ogni genere di dittatura fu un altro dei capisaldi del suo pensiero politico.

Oltre che col quotidiano peruviano El Comercio, sin dagli anni Ottanta aveva iniziato a collaborare in modo continuativo con quello spagnolo El Pais: negli articoli di commento si occupava di politica spagnola, europea e sudamericana, anche da posizioni piuttosto distanti da quelle del quotidiano progressista. Dopo la fine del regime di Fujimori, che fu poi ritenuto colpevole di crimini contro l’umanità, Vargas Llosa appoggiò candidati molto diversi alla presidenza, spesso in opposizione ad altri che considerava più pericolosi, come quelli di ispirazione più chiaramente socialista. In varie occasioni partecipò anche ad eventi elettorali, come nel 2001 per la candidatura di Alejandro Toledo.

Nel 2021 invece sostenne apertamente la figlia del dittatore Fujimori, Keiko, che in passato aveva contrastato, contro Pedro Castillo, candidato della sinistra. In passato Vargas Llosa si era opposto alla figlia di Fujimori, ma in quella occasione disse che bisognava evitare al Perù «di cadere nelle mani del totalitarismo». Castillo vinse, e dopo due anni in effetti provò una svolta autoritaria, ma fu destituito. Negli ultimi anni Vargas Llosa disse di preferire Jair Bolsonaro a Lula, sostenne Milei in Argentina e avrebbe preferito José Antonio Kast, di estrema destra, nell’elezione poi vinta da Gabriel Boric in Cile. In Spagna fu fortemente critico contro il movimento indipendentista catalano, che definì «il problema peggiore della Spagna» e che combatté pubblicamente negli anni di maggiore tensione, in corrispondenza del referendum del 2017.