Perché i dazi alla Cina sono così alti
C'entrano il deficit commerciale a favore della Cina e una dubbia convinzione che Trump si porta dietro dal suo primo mandato

Al centro della guerra commerciale globale cominciata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump c’è la Cina, che è l’obiettivo principale dei dazi. Gli effetti dello scontro tra l’economia americana e quella cinese ricadranno su tutto il mondo, se non si troverà rapidamente un accordo. Per ora nessuno dei due paesi sembra disposto a cedere per primo.
L’entità dei dazi statunitensi sulle merci cinesi è esorbitante: era già oltre il 100%, e mercoledì sera Trump ha detto di averli alzati ulteriormente al 125%. La Cina ha risposto inizialmente con l’imposizione di dazi del 34% su tutte le merci statunitensi, e poi mercoledì ne ha aggiunti altri al 50%, per un totale dell’84% (dovrebbero entrare in vigore giovedì). A questi se ne aggiungono altri del 10-15 per cento su vari prodotti agricoli ed energetici.
Con un simile livello di dazi, il commercio tra i due paesi è praticamente impossibile.
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Le ragioni per cui Trump ha imposto dazi così pesanti contro la Cina sono principalmente due: la prima è che la Cina è di gran lunga il più importante partner commerciale degli Stati Uniti, ma anche quello con cui gli Stati Uniti hanno il maggior deficit. Nel 2024 Cina e Stati Uniti si sono scambiati beni per un valore totale di 582 miliardi di dollari: gli Stati Uniti hanno esportato beni per 143 miliardi, mentre la Cina ha esportato beni per 439 miliardi. Il deficit commerciale degli Stati Uniti, cioè la differenza tra ciò che un paese esporta e ciò che importa, è di circa 295 miliardi.
Per Trump, questo deficit commerciale sarebbe la prova che la Cina si approfitta dell’economia degli Stati Uniti, e non del fatto che la Cina produce molte cose che i consumatori americani vogliono comprare. L’imposizione di dazi, secondo questo ragionamento, servirà a riequilibrare i commerci tra i due paesi e a riportare negli Stati Uniti le industrie che si sono spostate in Cina. Gli economisti però sono molto scettici.

Un uomo esce da un negozio a Pechino, gennaio 2025 (AP Photo/Aaron Favila)
La seconda ragione è che gli Stati Uniti vedono da tempo nella Cina il loro più temibile avversario, non soltanto a livello economico, ma anche politico e militare. Nell’idea di Trump e della sua amministrazione il libero commercio con la Cina e l’interdipendenza economica tra i due paesi non ha fatto altro che indebolire gli Stati Uniti e rafforzare la Cina. Per questo il legame deve essere eliminato o ridotto al minimo: è la teoria del decoupling, cioè del disaccoppiamento tra le due economie, che l’amministrazione Trump porta avanti dal suo primo mandato.
Questo decoupling è di fatto già in corso: nel 2016 le importazioni dalla Cina erano il 21 per cento delle importazioni totali degli Stati Uniti, mentre nel 2024 sono state soltanto il 13 per cento.
Ma se i dazi rimarranno attivi la relazione commerciale tra i due paesi sarà enormemente danneggiata, con grosse conseguenze. In Cina sono prodotti beni di grande importanza, dall’abbigliamento agli iPhone di Apple, e al momento gli Stati Uniti non sono attrezzati per produrre internamente molti di questi beni, se non a costi molto più elevati. Gli Stati Uniti non possono nemmeno importare beni da altri paesi per sostituire quelli provenienti dalla Cina, perché l’amministrazione Trump ha imposto dazi pesanti su tutti i paesi con settori manifatturieri importanti, come il Vietnam, l’India, il Messico o il Bangladesh.
Il resto del mondo, inoltre, teme che arriverà quello che viene chiamato il “secondo shock cinese” (il primo fu negli anni 2000). La Cina, non potendo vendere le sue merci a basso costo negli Stati Uniti, comincerà a venderle a costi ancora inferiori nel resto del mondo, in Europa e in Asia, mettendo fuori mercato le industrie locali. In alcuni paesi del sud-est asiatico questo sta già accadendo.
Ci sono probabilità ancora alte che, davanti ai disastri provocati dai dazi, Cina e Stati Uniti trovino un qualche tipo di accordo. Martedì Trump ha scritto sul suo social media Truth: «La Cina vuole moltissimo fare un accordo, ma non sanno da dove cominciare. Stiamo aspettando la loro telefonata. Succederà!». Trump è convinto che, come successe durante il suo primo mandato, la Cina cercherà di trovare con urgenza un accordo commerciale per cercare di limitare i danni alla sua economia, e accetterà molte delle condizioni imposte dal governo americano.
Scott Bessent, il segretario al Tesoro, ha detto che la Cina «gioca [a poker] con una coppia di due», riferendosi al fatto che il paese ha scarse possibilità di rispondere ai dazi americani.

Il porto container di Qingdao, Cina, aprile 2025 (Chinatopix Via AP)
In realtà, almeno per il momento, l’atteggiamento della Cina è stato combattivo. Secondo i media locali nei prossimi giorni il governo cinese potrebbe adottare risposte ulteriori ai dazi, tra cui l’interruzione della collaborazione sul contrasto alla diffusione del fentanyl, un potente oppiaceo, nuovi e più pesanti dazi contro i prodotti agricoli americani e divieti nei settori culturali, per esempio verso i film di Hollywood.
Dai tempi della prima guerra commerciale con Trump, avvenuta durante il primo mandato del presidente americano, la Cina si è preparata a possibili attacchi economici esterni. I leader cinesi hanno cominciato a convincersi di poter vincere in caso di guerra commerciale con gli Stati Uniti. Non è chiaro se sia davvero così, anche perché difficilmente la Cina si sarà preparata ai dazi esorbitanti del 125 per cento.
In ogni caso la retorica cinese è agguerrita, e la direttiva che viene dal governo centrale è che il paese è pronto a combattere «fino alla fine». Lo ha detto il ministero degli Esteri: «Se gli Stati Uniti sono convinti di combattere una guerra commerciale (…), la risposta della Cina continuerà fino alla fine»; e lo ha detto il ministero del Commercio: «Se gli Stati Uniti continuano a comportarsi in maniera incosciente, la Cina li accompagnerà fino alla fine».



