L’insospettabile paese a cui Trump ha imposto i dazi più alti
Il Lesotho è un'enclave circondata dal Sudafrica e ha un solo settore industriale sviluppato, quello tessile, che produce perlopiù per marchi statunitensi

Il Lesotho è il paese più colpito dai dazi annunciati la scorsa settimana da Donald Trump: a partire dal prossimo 9 aprile i beni prodotti nel piccolo stato dell’Africa meridionale saranno soggetti a una tassa del 50 per cento all’ingresso negli Stati Uniti, superiore anche a quella prevista per le merci della Cambogia (49 per cento) o del Madagascar (47 per cento). Se mantenuti in questa forma, gli altissimi dazi contro le esportazioni del Lesotho sono destinati a compromettere il settore tessile, uno dei principali su cui si basa la debole economia del paese.
Il Lesotho ha 2,3 milioni di abitanti ed è uno dei tre paesi sovrani al mondo a essere un’enclave: è cioè completamente circondato da un altro stato, il Sudafrica (gli altri due sono San Marino e Città del Vaticano). È poco più grande dell’Albania e indipendente dal 1966, dopo circa un secolo di dominio britannico. Oggi è una monarchia costituzionale economicamente poco sviluppata: quasi la metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà.
La formula che l’amministrazione Trump ha usato per calcolare i dazi, ritenuta insensata da molti economisti, si basa sul deficit commerciale degli Stati Uniti verso i diversi paesi, ossia sulla differenza tra quanto gli Stati Uniti importano ed esportano. Nel caso del Lesotho questa è molto alta: nel 2024 il paese ha esportato negli Stati Uniti merci per 237 milioni di dollari, e ne ha importate di statunitensi per 3 milioni di dollari.
Il disavanzo è il risultato della diffusa povertà nel paese e di una scelta politica statunitense per aiutarne lo sviluppo. Dal 2000 il Lesotho ha aderito all’African Growth and Opportunity Act (AGOA), una legge approvata dal Congresso statunitense durante l’amministrazione del Democratico Bill Clinton che consente a un certo numero di nazioni dell’Africa centrale e meridionale di esportare merci negli Stati Uniti senza dover pagare dei dazi.
Da allora in Lesotho si sono sviluppate industrie tessili che producono abbigliamento per grandi aziende statunitensi, destinato proprio al mercato statunitense: sono Levi’s, Gap, Children’s Place, Lee e Wrangler, fra gli altri. Anche alcune delle polo della marca Greg Norman che fanno parte della linea “Trump Golf” sono prodotte in Lesotho.

Una fabbrica tessile nei dintorni di Maseru, la capitale del Lesotho (REUTERS/Siphiwe Sibeko)
Nel paese ci sono 13 grandi stabilimenti industriali, in cui lavorano oltre 30mila operaie e operai (perlopiù donne). 12mila sono impegnate nella produzione di marchi statunitensi. Le industrie sono perlopiù di proprietà cinese e taiwanese e pagano uno stipendio equivalente a una cifra tra i 130 e i 150 euro al mese: in Lesotho il Prodotto interno lordo pro capite è inferiore ai 900 euro l’anno (in Italia è di circa 35mila). Il settore tessile vale il 20 per cento del PIL del paese e rappresenta la gran parte delle esportazioni. L’altro bene rilevante sono i diamanti.
Per ottenere l’obiettivo dichiarato dei dazi di Trump, cioè riportare la bilancia commerciale in pareggio, esiste una sola strada che consiste di fatto nell’azzerare le esportazioni del Lesotho. Il paese è un mercato piccolo e la sua popolazione non può permettersi le merci americane, quindi è impensabile che ne acquisti di più.
Il programma AGOA che azzera i diritti doganali peraltro era stato rinnovato per dieci anni nel 2015 e sarebbe quindi scaduto a giugno. Anche qualora non fosse stato rinnovato i dazi che prevederebbe sono però di entità notevolmente inferiore a quelli annunciati la scorsa settimana. Il governo del Lesotho invierà nei prossimi giorni una delegazione a Washington per provare a trattare e ottenere una riduzione dei dazi, contando su relazioni diplomatiche che fino allo scorso anno erano state positive e solide.
Dall’inizio del suo mandato da presidente, a gennaio, Trump aveva già parlato del Lesotho in modo ben poco lusinghiero. A febbraio aveva giustificato la drastica riduzione dei finanziamenti di USAID, l’agenzia statunitense che si occupa(va) di aiuti internazionali, e il suo smantellamento, citando presunti sprechi tra cui gli «8 milioni di dollari per sostenere il movimento LGBTQ+ nel paese africano del Lesotho, che nessuno ha mai sentito nominare». L’affermazione sorprese il governo del Lesotho, che peraltro disse di non conoscere il programma di aiuti menzionato da Trump, e in seguito le ong interessate dissero che quei dati erano falsi.



