La condanna di Le Pen sta mettendo in grande difficoltà il suo partito
Il Rassemblement National non ha un vero piano per sostituirla alle elezioni presidenziali, e lei stessa sembra fare finta di niente

La condanna a quattro anni di carcere e cinque di ineleggibilità ricevuta lunedì da Marine Le Pen, storica leader dell’estrema destra francese, sta mettendo in grande difficoltà il suo partito, il Rassemblement National, che sembra non avere preparato un piano per gestire quello che è successo.
Le Pen, che ha 56 anni ed è stata condannata per appropriazione indebita di fondi dal Parlamento Europeo, era da tempo la candidata del partito per le elezioni presidenziali del 2027. Ora la condanna ha messo in seria discussione la fattibilità di una sua candidatura, così come il suo futuro politico: eppure sia Le Pen sia il partito sembrano ancora indecisi su cosa fare se la condanna le impedirà davvero di candidarsi. Gli avvocati di Le Pen hanno annunciato un ricorso contro la sentenza, ma Mediapart scrive che non è chiaro nemmeno se si riuscirà a tenere un processo di appello entro il 2027 (le accuse di appropriazione indebita risalgono a un periodo fra 2004 e 2016).
Eppure lunedì Le Pen, in un’intervista data alla tv francese poco dopo la sentenza, è sembrata fare finta di niente. Le Monde ha notato che «ha respinto fermamente la possibilità di essere sostituita» da un altro candidato o candidata e ha ripetuto gli stessi punti che ripete da mesi, cioè che il processo contro di lei ha una natura politica e che i giudici vogliono semplicemente impedirle di candidarsi. Martedì la giudice del processo a Le Pen, Bénédicte de Perthuis, è stata messa sotto scorta a causa delle minacce che ha ricevuto dopo la condanna.
Nell’intervista Le Pen non ha risposto a nessuna domanda su un eventuale futuro del Rassemblement National senza di lei, e anche i portavoce del partito contattati dai giornalisti hanno fatto lo stesso. Ma questo approccio alla comunicazione nasconde una questione più profonda: «da mesi l’eventuale condanna di Le Pen era un taboo che paralizzava ogni conversazione strategica interna al partito», scrive Mediapart.
In teoria il Rassemblement National avrebbe già un potenziale leader e candidato presidente alternativo: il 29enne Jordan Bardella, presidente del partito nonché suo capolista alle ultime due elezioni europee, quelle del 2019 e del 2024, in cui il Rassemblement National aveva ottenuto più voti di tutte le altre forze politiche francesi. Ma negli ultimi anni è sempre stato chiaro che la leadership di Bardella era subalterna a quella di Le Pen, e che non c’era alcun piano di successione nel breve termine. Le Pen stessa lo ha ribadito lunedì nell’intervista televisiva, definendo Bardella «un’ottima risorsa» che «speriamo di non dover usare prima del previsto».
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Da qualche tempo inoltre anche su Bardella circola qualche perplessità, dentro e fuori dal Rassemblement National: sotto la sua presidenza il partito si è consolidato come di gran lunga il più votato e apprezzato nei sondaggi rispetto agli altri, ma diverse fonti interne qualche mese fa hanno raccontato a Le Monde che la struttura interna non ha subito alcuna riforma, come invece era stato promesso, e che Bardella sembra più interessato a costruire consenso intorno a sé che alla vita di partito. Bardella inoltre riceve da tempo l’accusa di essere sostanzialmente troppo inesperto per ambire alla carica di presidente o primo ministro (finora ha lavorato soltanto come eurodeputato e consigliere regionale).
Il Rassemblement National dovrà decidere presto se continuare a difendere Le Pen oppure accelerare la sua sostituzione con Bardella. Anche perché la sentenza potrebbe avere delle conseguenze sui consensi.
Oltre a Le Pen sono state condannate altre 23 persone, fra cui otto ex eurodeputati del Rassemblement National e dodici persone che erano state assunte come assistenti parlamentari. È un problema, per un partito che si è sempre promosso come favorevole a campagne durissime contro la corruzione: anni fa il suo slogan era addirittura «testa alta e mani pulite», come a segnalare una differenza dalle forze politiche tradizionali.



