La prima conseguenza dei dazi è la più inaspettata

E cioè che crescono gli acquisti di merce straniera e le esportazioni: si chiama "front loading" ma dura poco, e ha una facile spiegazione

(AP Photo/Noah Berger)
(AP Photo/Noah Berger)

I dazi rendono più costose le compravendite di beni e merci da un paese all’altro, quindi hanno un’ovvia conseguenza a medio-lungo termine: la riduzione degli scambi commerciali. Eppure, quando i dazi vengono minacciati e introdotti, la prima conseguenza è opposta: un aumento delle esportazioni e delle compravendite. Il fenomeno si chiama front loading e ha una spiegazione semplice: le aziende si affrettano a comprare più merce possibile prima che i dazi entrino in vigore. Ma la pratica aumenta i problemi legati ai dazi, invece di ridurli.

La sola elezione di Trump, che aveva promesso dazi per tutta la campagna elettorale, aveva mosso qualcosa: a novembre le importazioni statunitensi erano cresciute del 4,2 per cento rispetto al mese precedente. A gennaio, secondo gli ultimi dati disponibili, erano cresciute addirittura del 12,3 per cento rispetto a dicembre, e di un quarto rispetto allo stesso mese del 2024. La differenza tra esportazioni e importazioni – che per gli Stati Uniti è cronicamente negativa, e hanno quindi un deficit commerciale, che indica quanto un paese dipende dalle merci straniere – è aumentata del 34 per cento e ha superato i 130 miliardi di dollari: era dal 2015 che non cresceva così tanto da un mese all’altro.

Le importazioni sono aumentate perlopiù dai paesi europei, dalla Cina, dal Messico, dal Canada, dal Giappone, da Hong Kong, cioè dai principali partner commerciali degli Stati Uniti. Il ricorso al front loading è indicativo dell’incertezza in cui si muovono le aziende: sono di fatto in balìa degli annunci erratici di Trump, che i dazi li ha più volte annunciati, rinviati e cancellati, anche a distanza di poche ore. Nel dubbio, meglio fare scorte.

Un settore particolarmente interessato è quello delle auto, che da mesi si è attrezzato per spedire più auto e componenti possibili per anticipare la decisione di Trump di introdurre nuovi dazi, arrivata infine giovedì con l’annuncio di una tassa del 25 per cento sulle auto e componenti comprati dall’estero. Solo a febbraio le spedizioni di veicoli dai paesi europei verso gli Stati Uniti sono aumentate del 22 per cento rispetto al 2024, quelle dal Giappone e Corea del Sud rispettivamente del 14 e 15 per cento.

È aumentata anche l’importazione di componenti: a gennaio le importazioni di carrozzerie e telai per le auto sono aumentate addirittura del 150 per cento rispetto a un mese prima, mentre sono cresciute del 4,2 quelle di pneumatici e camere d’aria. La produzione di veicoli è così interconnessa tra un paese e l’altro che i dazi danneggiano anche industrie statunitensi, che dovranno pagare dall’estero prezzi più cari per i componenti delle auto (anche se poi quelle auto sono fabbricate negli Stati Uniti).

Container impilati al porto di Los Angeles, in California (Bob Riha, Jr./Getty Images)

Ma in generale fanno front loading tutte le imprese che trattano prodotti per cui si può fare scorta, come i beni durevoli, dai tostapane agli aerei, o quelli alimentari non immediatamente deperibili.

Si è visto per esempio con la massiccia importazione di tequila dal Messico, una delle merci che potrebbero essere sottoposte a dazi dall’inizio di aprile. Ma anche da quanto raccontano diversi produttori italiani di vino, che negli scorsi mesi hanno anticipato a volte le vendite di tutto l’anno allo scopo di evitare i dazi. Solo che ora il tempo stringe, e siccome il vino viene spedito via mare, i compratori hanno annullato gli ultimi ordini per paura che le bottiglie non arrivino prima dell’entrata in vigore dei dazi al 200 per cento che per ora Trump ha solo minacciato. Risultato: ci sono migliaia di bottiglie ferme nelle cantine e nei porti da cui solitamente vengono spedite.

Si è creato un cortocircuito anche per il rame, di cui gli Stati Uniti hanno iniziato a fare incetta nel timore di dazi simili a quelli introdotti su acciaio e alluminio. Il rame è essenziale per i settori dell’edilizia, dell’auto e dell’energia, e anche per la produzione di batterie e di dispositivi elettronici: i massicci acquisti dagli Stati Uniti hanno drenato buona parte dell’offerta mondiale, col risultato che nell’ultimo mese il prezzo del rame è salito dell’11 per cento.

Un’altra distorsione del front loading si inizia a vedere anche sul costo delle spedizioni. La grande concentrazione di ordini ha affollato i porti con enormi quantità di container diretti negli Stati Uniti, sovraccaricando gli spedizionieri e anche il lavoro delle dogane. Il valore di uno dei principali indici di riferimento sul costo delle spedizioni, il Baltic Dry Index, è più che raddoppiato da fine gennaio. Una situazione simile – scarsità di materie prime e traffico nei porti – si verificò anche durante la pandemia, per ragioni diverse, e contribuì all’aumento dei prezzi degli ultimi anni.

– Leggi anche: Cosa vendiamo agli Stati Uniti