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  • Venerdì 28 marzo 2025

La Turchia sta bloccando i media

I pochi canali televisivi che mostravano le grandi proteste nel paese non possono più farlo e sono stati multati, almeno dieci giornalisti sono stati fermati

Un manifestante a Istanbul con la polizia schierata sullo sfondo (AP Photo/Emrah Gurel)
Un manifestante a Istanbul con la polizia schierata sullo sfondo (AP Photo/Emrah Gurel)
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Da giorni il governo della Turchia sta impedendo la diffusione di informazioni sulle grandi proteste iniziate una decina di giorni fa dopo l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale e più efficace oppositore del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Più di dieci giornalisti sono stati arrestati, centinaia di account sui social network sono stati bloccati e la trasmissione delle proteste è stata di fatto impedita alle principali televisioni del paese. Il governo sostiene che le censure siano state applicate per limitare la diffusione di messaggi d’odio, nonostante le manifestazioni siano per lo più pacifiche e sia chiaro che le misure hanno l’obiettivo di reprimere il dissenso.

Giovedì il Consiglio supremo della radio e della televisione (RTUK), l’agenzia che si occupa di vigilare sulle trasmissioni, ha imposto sanzioni a quattro emittenti televisive accusate di avere trasmesso le proteste. Secondo un rappresentante dell’opposizione all’interno del Consiglio, le emittenti sono state accusate di avere «incitato l’odio tra il pubblico».

La televisione di opposizione Sozcu TV non potrà trasmettere i propri programmi per dieci giorni perché aveva mostrato le proteste in alcune delle principali città della Turchia come Istanbul, Ankara e Izmir. Le emittenti Halk TV e Tele1 TV possono continuare le attività, ma è stato imposto loro di sospendere alcuni programmi televisivi. Insieme al canale NOW TV, queste ultime tre emittenti hanno anche ricevuto una multa tra il 2 e il 5 per cento dei loro ricavi mensili derivanti dalla pubblicità.

Sulle televisioni turche è diventato pressoché impossibile ricevere informazioni sulle proteste.

La televisione di stato non mostra le proteste e non ne dà conto, così come NTV, il principale canale televisivo a favore del governo e di Erdogan. Le poche notizie che vengono diffuse riguardano la lettura dei comunicati del ministero dell’Interno, mentre è raro che siano mostrate immagini con le migliaia di persone che con bandiere e striscioni sfilano nelle strade e nelle piazze delle città. Negli anni, Erdogan ha di fatto ottenuto il controllo di buona parte dei mezzi di comunicazione, che seguono quindi le indicazioni del governo.

Le limitazioni e le censure riguardano anche i singoli giornalisti, ai quali viene di fatto impedito di assistere alle manifestazioni. Tra le quasi duemila persone fermate finora ai cortei c’erano almeno dieci giornalisti, alcuni locali e altri internazionali, come il giornalista di BBC News Mark Lowen, che stava raccontando le proteste a Istanbul. Lowen era stato fermato il 26 marzo, detenuto per 17 ore ed espulso il giorno seguente dal paese con l’accusa di essere «una minaccia per l’ordine pubblico».

Alcuni giornali riescono ancora a dare notizie sulle manifestazioni, ma in molti casi si tratta di testate con una tiratura limitata a poche decine di migliaia di copie. Il quotidiano Cumhuriyet con orientamento di sinistra/centro-sinistra, quindi allineato con l’opposizione, pubblica notizie anche sulle condizioni di Imamoglu, detenuto dal 19 marzo scorso.

Nei primi giorni dopo l’arresto di Imamoglu, il governo aveva limitato pesantemente l’accesso ai principali social network e ad alcune applicazioni per scambiarsi messaggi come WhatsApp. Buona parte delle limitazioni è stata rimossa, ma stando alle segnalazioni di diversi membri dell’opposizione sono stati bloccati oltre 700 account che facevano informazione sulle manifestazioni e sulla loro repressione da parte del governo.