Il governo vuole introdurre il reato di femminicidio

Ha approvato un disegno di legge che prevede una pena maggiore rispetto all'omicidio: ora dovrà essere discusso dal parlamento 

Un faldone al tribunale di Roma durante il processo per il femminicidio di Martina Scialdone, avvocata 34enne uccisa dall'ex compagno nel 2023 (ANSA/ANGELO CARCONI)
Un faldone al tribunale di Roma durante il processo per il femminicidio di Martina Scialdone, avvocata 34enne uccisa dall'ex compagno nel 2023 (ANSA/ANGELO CARCONI)
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Venerdì il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge per introdurre nel codice penale il reato di femminicidio: cioè un omicidio di una donna alla cui origine ci sia una dinamica di sopraffazione, controllo o possesso derivata dal ruolo di subordinazione rispetto agli uomini (il femminicidio non è insomma il generico omicidio di una donna). La proposta prevede per il reato di femminicidio la pena dell’ergastolo (la pena per il reato di omicidio invece è almeno 21 anni di carcere).

In Italia non esiste un reato specifico di femminicidio: esiste il reato di omicidio, e negli ultimi anni sono state introdotte alcune norme per contrastare in maniera generica la violenza di genere, sia con azioni di prevenzione che con l’inasprimento di pene e misure coercitive già esistenti. Il disegno di legge prevede anche l’obbligo di formazione sul tema della violenza di genere per magistrati e magistrate e una maggiore centralità delle vittime di violenza di genere nei processi che le riguardano.

Quello appena approvato è come detto un disegno di legge: per diventare legge il testo dovrà essere discusso e approvato da entrambe le aule del parlamento, la Camera e il Senato. Il governo in ogni caso ha ampiamente i numeri per far approvare la norma. L’approvazione di un disegno di legge di questo tipo ha dato modo al governo di mostrarsi attivo sul problema della violenza di genere in un momento dell’anno di grande rilevanza simbolica: domani, 8 marzo, sarà la Giornata internazionale della donna.

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Il disegno di legge appena approvato dal Consiglio dei ministri prevede di emendare il codice penale italiano introducendo un nuovo articolo, il 577-bis, formulato come segue: 

Chiunque cagiona la morte di una donna, quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per
reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà, o, comunque,
l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo. Fuori dei casi di
cui al primo periodo, si applica l’articolo 575.

L’articolo 575 è quello sul reato di omicidio, attualmente punibile con una pena di almeno 21 anni di reclusione. Significa che, in assenza delle circostanze che possano caratterizzare l’omicidio di una donna come “femminicidio”, continuerà a venire applicato il reato di omicidio.

Il disegno di legge prevede inoltre che diventino circostanze aggravanti, cioè circostanze che prevedono un aggravamento della pena, le azioni attualmente incluse nel cosiddetto “Codice rosso”, la legge contro la violenza sulle donne che esiste dal 2019 e che introdusse tra le altre cose il reato di revenge porn, e i cosiddetti “reati spia”, cioè quelli che sono indicatori di violenza di genere: per esempio percosse, lesione personale, minaccia grave, atti persecutori, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, violazione di domicilio.

Nei casi in cui ci siano gravi indizi di colpevolezza per questo genere di reati, il disegno di legge prevede criteri più ampi per applicare la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari.

Il disegno di legge introduce poi una serie di modifiche al codice di procedura penale per i casi di violenza contro le donne, con una maggiore centralità delle vittime: tra le altre cose, in fase di indagine la donna dovrà essere ascoltata direttamente dal pubblico ministero, cioè il magistrato che conduce le indagini, che non potrà più delegare il compito alla polizia giudiziaria.

Per quanto riguarda la formazione obbligatoria di magistrati e magistrate sul tema della violenza di genere (cioè dei pubblici ministeri, che conducono le indagini, e dei giudici), il disegno di legge punta a rendere obbligatoria la partecipazione ad almeno un corso sul tema per qualsiasi magistrato o magistrata che si occupi di casi di violenza contro le donne.

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