Israele ha bloccato gli aiuti a Gaza
Il governo israeliano vuole un’estensione della prima fase del cessate il fuoco e cerca di fare pressione su Hamas che chiede di rispettare i precedenti accordi

Poco dopo la mezzanotte di domenica il governo israeliano ha approvato unilateralmente l’estensione della prima fase del cessate il fuoco con Hamas, nonostante l’opinione contraria del gruppo palestinese. Hamas vuole infatti che si passi alla seconda fase, come previsto dagli accordi raggiunti a metà gennaio, che hanno fermato 15 mesi di distruzioni nella Striscia di Gaza. Finora però Israele si è rifiutato di iniziare i negoziati per la fase due, dato che non vuole rinunciare del tutto alla propria presenza militare nella Striscia, dove continua a occupare alcune zone cuscinetto.
In risposta al rifiuto di Hamas di prolungare la fase uno del cessate il fuoco domenica mattina Israele ha detto di aver bloccato l’accesso di tutte le merci e degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza. Nel pomeriggio ha poi minacciato ulteriori ripercussioni se Hamas continuerà a rifiutare il prolungamento della prima fase. Le ostilità dovrebbero comunque essere sospese per tutta la durata delle trattative.
Il prolungamento segue una proposta dell’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Steve Witkoff, e dovrebbe durare 49 giorni, una settimana in più della durata originale della fase uno. Copre il mese del Ramadan, un periodo sacro per i musulmani, e si concluderà con la fine della settimana della Pasqua ebraica, domenica 20 aprile. Teoricamente prevede che Hamas liberi immediatamente metà dei 59 ostaggi rimanenti nella Striscia, e che l’altra metà sia rilasciata una volta che ci sarà un accordo per un cessate il fuoco definitivo.
Questo però è un problema per Hamas, che considera la presenza degli ostaggi una garanzia e un modo per costringere Israele a fare concessioni, e aveva già rifiutato una proposta per il prolungamento della prima fase. Difficilmente Hamas deciderà di accettare di rilasciare metà degli ostaggi senza avere la rassicurazione che Israele si ritirerà dalla Striscia di Gaza. Domenica un dirigente di Hamas, Mahmoud Mardawi, ha nuovamente detto ad AFP che un prolungamento della fase uno significherebbe venire meno agli accordi iniziali, e che agli occhi di Hamas l’applicazione completa dell’accordo è l’unico modo per ottenere la pace nella regione.

Una grande tavolata apparecchiata a Rafah per il pasto della fine del digiuno nel primo giorno del Ramadan, il mese sacro del calendario islamico, iniziato il primo marzo (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
I dettagli della seconda fase, fra cui la sua durata complessiva, non sono mai stati definiti con precisione: Hamas, Israele e i mediatori statunitensi, qatarioti ed egiziani avrebbero dovuto farlo durante la fase uno, che sarebbe dovuta durare sei settimane e concludersi sabato primo marzo. Si era comunque stabilito che la seconda fase dovesse prevedere il ritiro definitivo dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza (attuato in gran parte all’inizio della fase uno) e la liberazione di tutti gli ostaggi, vivi o morti, ancora prigionieri di Hamas. La fase tre è ancora più confusa, e dovrebbe prevedere un programma di ricostruzione della Striscia.
Insomma la prima fase, quella scaduta sabato notte e prolungata da Israele, è l’unica su cui si era trovato effettivamente un accordo: prevedeva inizialmente la liberazione di 33 ostaggi detenuti da Hamas e altri gruppi radicali della Striscia in cambio di poco meno di 2.000 prigionieri palestinesi in carcere in Israele. Nonostante alcune complicazioni negli ultimi giorni, l’accordo è stato rispettato: Hamas ha liberato come previsto 25 ostaggi vivi e consegnato i cadaveri di altre otto persone uccise durante la prigionia, e in cambio Israele ha liberato centinaia di prigionieri palestinesi.
Domenica mattina l’esercito israeliano ha ucciso 4 persone palestinesi nel nord della Striscia di Gaza. Secondo quanto detto dall’esercito israeliano le persone si erano avvicinate troppo alle postazioni israeliane nonostante fossero state avvertite di andarsene, e avrebbero cercato di piazzare una bomba. L’uccisione non è però stata considerata come una violazione del cessate il fuoco.
Un ulteriore momento critico per l’accordo potrebbe arrivare abbastanza presto, l’8 marzo. Quel giorno è previsto che Israele completi il ritiro dal corridoio Philadelphi (una fascia di territorio che corre lungo il confine fra la Striscia e l’Egitto). Se non lo farà, Israele avrà violato i termini dell’accordo, e questo potrebbe portare a ritorsioni, anche militari.
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