Che ci fanno i titoli di Stato a Sanremo

Nel palinsesto pubblicitario più prestigioso della Rai c'è uno spot insolito del governo che incoraggia i piccoli risparmiatori ad acquistare il debito italiano

Lo spot del ministero dell'Economia sui BTP Più (Dal profilo YouTube del ministero dell'Economia)
Lo spot del ministero dell'Economia sui BTP Più (Dal profilo YouTube del ministero dell'Economia)

Nelle pause pubblicitarie del Festival di Sanremo si è visto uno spot alquanto curioso rispetto a quelli abituali, perlopiù campagne scintillanti di compagnie telefoniche, divani, prodotti estetici, eccetera. È uno spot del ministero dell’Economia che pubblicizza un nuovo tipo di titoli di Stato, cioè gli strumenti finanziari con cui lo Stato si fa prestare soldi dai risparmiatori, e che costituiscono una parte del debito pubblico: lo spot pubblicizza i BPT Più, la cui emissione è programmata tra il 17 e il 21 febbraio, la settimana successiva al Festival.

Sebbene le pubblicità sui titoli di Stato siano diventate ormai abbastanza comuni negli ultimi anni, è la prima volta che una campagna del genere è apparsa in un contesto così popolare e seguito come Sanremo: fa parte di una strategia più ampia con cui da tempo il governo punta a invogliare i piccoli risparmiatori a comprare il debito pubblico italiano.

Lo spot mostra un rassicurante istruttore di ginnastica che dà indicazioni ai propri allievi su come svolgere gli esercizi: controlla come una signora solleva un pesetto, si complimenta con un signore anziano per il suo vivace andamento sulla cyclette, sistema le posture e così via. Ha una maglia blu con su scritto BTP Più, e le frasi che dice hanno un evidente doppio senso a tema investimenti: «continua a investire in serie da 4+4», dice per esempio a una signora che sta facendo una serie di sollevamento pesi, ma anche riferendosi alla durata dell’investimento nei BTP Più (semplificando, dura 4 anni a cui se ne possono aggiungere altri 4).

La pubblicità del ministero punta evidentemente a dare un’immagine di sicurezza e affidabilità, due caratteristiche abbastanza riconducibili ai titoli di Stato nel contesto finanziario: essendo emessi dallo Stato, sono investimenti generalmente meno rischiosi e imprevedibili rispetto a quello che si trova sul mercato. Non significa che siano privi di rischio: tutti gli investimenti comportano rischi in una certa misura, anche i titoli di Stato.

La pubblicità indica le informazioni essenziali previste dalla legge per la promozione di questo tipo di strumenti finanziari, ma non c’è un disclaimer sul generale e inevitabile rischio di investire, che avrebbe fatto un buon servizio a un pubblico ampio come quello di Sanremo, che inevitabilmente include anche molte persone con una scarsa educazione finanziaria.

È però vero che i titoli di Stato sono un investimento scelto da generazioni di risparmiatori tradizionali e generalmente prudenti. Non a caso gli allievi della palestra mostrati nello spot sono tutte persone mature, a rappresentare il classico stereotipo di chi propende per un approccio più cauto negli investimenti ma anche di chi ha di solito più risparmi da investire. È peraltro lo stesso tipo di racconto fatto in altri spot recenti, come quello dello scorso anno sul BTP Valore, un altro tipo di titoli di Stato.

Questi spot fanno parte di una più ampia iniziativa con cui il ministero sta cercando da tempo di creare un “marchio” dei titoli di Stato, associandogli alcune caratteristiche positive in campagne di marketing che ne promuovano l’acquisto da parte dei piccoli investitori. Diversi membri dell’attuale governo – dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni fino al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – hanno più volte auspicato pubblicamente che i privati investano di più nei titoli di Stato, promuovendo una retorica un po’ patriottica per cui il debito italiano dovrebbe tornare nei “portafogli delle famiglie italiane”. Patriottismi a parte, ci sono effettivamente alcune logiche economiche dietro questo auspicio.

Il governo punta ai cosiddetti investitori “cassettisti”, cioè quelli che fanno l’investimento, lo “mettono nel cassetto” e lo fanno arrivare a scadenza. Per lo Stato mettere il debito pubblico nei loro portafogli ha un certo vantaggio: sono investitori meno propensi a speculare sui mercati, il loro comportamento è più prevedibile e comporta meno rischi. È una convinzione ormai ampiamente condivisa che il debito pubblico possa essere meno esposto alle crisi finanziarie se questo è detenuto da risparmiatori privati invece che da grosse banche o fondi d’investimento.

Il debito pubblico italiano – che si misura in rapporto alla grandezza dell’economia, cioè al PIL, il Prodotto interno lordo – è tra i più alti al mondo, e dopo quello greco è il secondo più alto dell’Unione Europea. È dunque evidente che ci sia tutto l’interesse a mantenerlo stabile, anche tramite incentivi: per esempio, il rendimento dei titoli di Stato (e quindi del debito italiano) è sottoposto a una tassazione di favore rispetto ai normali investimenti, 12,5 per cento contro il 26. Per il 2025 il governo ha previsto addirittura che entro una certa soglia non vengano considerati nel calcolo dell’ISEE, cioè nella certificazione della condizione economica delle persone, con l’obiettivo di avvantaggiare chi detiene titoli di Stato nell’accesso ai servizi pubblici.

Rientra dunque in questa logica la campagna pubblicitaria di questi giorni, più curata e accattivante delle classiche pubblicità progresso dei ministeri. Fonti del ministero dell’Economia hanno detto al Post che non è stata realizzata apposta per il Festival di Sanremo – come invece avviene per quasi tutte le pubblicità commerciali trasmesse nei giorni dello show – ma che è stata pensata anche per altri canali e mezzi di informazione, da mandare in onda proprio a ridosso delle imminenti giornate dedicate all’emissione dei titoli. Si trova sui giornali, in radio, e anche nei monitor delle stazioni ferroviarie.

Sanremo è però evidentemente un contesto di altissima visibilità: non per niente è il programma con la pubblicità più cara di tutto il palinsesto Rai, e quello da cui l’azienda guadagna di più. Il ministero dell’Economia ha peraltro il vantaggio di non aver speso niente per mandare in onda il suo spot: la Rai è un’azienda pubblica, che ha l’obbligo di pubblicizzare gratuitamente le iniziative governative, pur con certi vincoli.

Già nell’edizione dello scorso anno c’era stata una timida comparsa dei BTP nel Festival di Sanremo, che passò anche abbastanza sottotraccia. In una pausa pubblicitaria fu mandata in onda una sorta di slide con qualche riga di testo bianca su sfondo blu, dall’estetica tipicamente ministeriale, che sponsorizzava la terza emissione dei BTP Valore, in programma di lì a qualche settimana. Il motivo per cui fu mandata una schermata così scarna invece dello spot diffuso successivamente è che non era ancora pronto, fa sapere il ministero.

La promozione dei BTP Valore passata durante un intervallo pubblicitario di una puntata del Festival di Sanremo 2024

Tutto questo impegno promozionale dei titoli di Stato, iniziato già prima dell’insediamento dell’attuale governo, ha effettivamente dato qualche risultato. Lo si vede dagli ultimi dati di Banca d’Italia su chi possiede il debito pubblico italiano, da cui si può desumere la quota degli investitori privati: per il 31 per cento è di investitori stranieri, sia privati che grandi investitori, come banche e società finanziarie; per il 23 per cento è di Banca d’Italia, per il 20 per cento di banche residenti in Italia e il 13 per cento è di altre istituzioni finanziarie residenti in Italia. Infine l’ultimo 14 per cento è posseduto da quelli che Banca d’Italia classifica come “altri residenti”, in cui ricadono perlopiù i piccoli investitori. La quota è evidentemente cresciuta negli ultimi anni.

Come ricostruito dal sito Pagella Politica, ha cominciato ad aumentare a gennaio del 2022, quando era all’incirca dell’8 per cento del totale. Da allora è quasi raddoppiata, anche grazie a iniziative riservate solo ai piccoli investitori che il ministero promuove da tempo. Da anni esistono titoli riservati esclusivamente agli investitori cosiddetti “retail”, cioè investitori privati o piccole aziende non finanziarie: da questi titoli sono esclusi quindi i grandi investitori istituzionali, cioè le banche e le altre società finanziarie.

Rientrano in questa categoria solo diversi tipi di BTP, come si chiamano cioè i Buoni Poliennali del Tesoro, titoli con una durata medio-lunga che pagano la quota di interessi a chi ha investito rispettando delle scadenze fisse. Quelli riservati agli investitori retail sono i BTP Futura, inaugurati nel periodo della pandemia, i BTP Valore, che esistono dal 2023, e dalla prossima settimana i BTP Più. Per certi versi ci rientrano anche i BTP Italia, titoli adeguati all’andamento dell’inflazione italiana e che esistono dal 2012: non sono solo per i piccoli risparmiatori, ma al momento dell’emissione il ministero riserva sempre qualche giornata all’acquisto da parte di questa categoria, aprendo solo dopo a banche e investitori istituzionali.

Per attrarre i piccoli investitori questo tipo di titoli offre tassi di interesse più alti degli altri titoli di Stato italiani: sono dunque poco rischiosi e dal guadagno vantaggioso per i risparmiatori a cui si rivolgono, generalmente poco propensi al rischio.

L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani ha calcolato che dal 2012 ci sono state 27 emissioni di titoli indirizzati al retail, per un totale di titoli in circolazione a fine dicembre del 2024 di 289 miliardi di euro, tra BTP Futura, Valore e Italia: in totale sono il 6 per cento di tutti i titoli di Stato. Sono sempre stati emessi a un tasso superiore a quelli degli altri titoli di Stato, il che ha causato una maggiore spesa da parte dello Stato per ripagare gli interessi. L’Osservatorio ha stimato questo maggiore aggravio in 15,8 miliardi di euro, che si possono quindi considerare come il costo complessivo di questa politica per incentivare il risparmio privato.

– Leggi anche: BOT, BTP, BTP Valore: breve guida ai titoli di Stato