La «favola» del principato di Seborga

È un borgo ligure che rivendica una fantomatica indipendenza, ma nonostante una bandiera, un inno e una principessa la legge è quella italiana

di Susanna Baggio

(Rebecca Marshall/ laif, Contrasto)
(Rebecca Marshall/ laif, Contrasto)
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A Seborga, un piccolo borgo ligure in provincia di Imperia, l’edificio del Comune è il solo ad aver esposto il tricolore. Tra le sue stradine di bandiere se ne vedono moltissime, ma quasi tutte sono a bande bianche e blu, con uno stemma e una corona sul lato sinistro: sono quelle dell’antico principato di Seborga, che secondo buona parte della gente del posto dovrebbe essere indipendente.

Il paese che si definisce “Principato di Seborga” è a tutti gli effetti sotto la giurisdizione italiana ma ha un proprio inno, una moneta e rappresentanti in una decina di paesi, nessuno dei quali lo riconosce formalmente. Ha un proprio organo di governo e guardie con funzioni cerimoniali nonché una principessa eletta dai cittadini, Nina Menegatto, che per tutti è semplicemente “la Principessa Nina”.

«Ufficialmente dovremmo fare la guerra, ma sotto sotto siamo amici perché abbiamo tutti lo stesso scopo, cioè far conoscere Seborga e promuoverla», dice Menegatto, che spesso paragona il principato a «una favola» e descrive i suoi abitanti come «una grande famiglia». Che possa mai essere riconosciuto come indipendente sembra assai improbabile, ma la caparbietà degli abitanti e la curiosità attorno alla storia hanno un impatto significativo sul turismo locale.

Seborga, 30 gennaio 2025 (Susanna Baggio/ il Post)

«Tutti vengono qui e chiedono del castello, ma il castello non c’è» spiega Pasquale Ragni, il sindaco di Seborga, che ha circa 280 abitanti e si trova su un colle a nord di Bordighera. Si parla di antico principato perché nel Medioevo c’era un’abbazia benedettina dove l’abate priore aveva il titolo di principe ecclesiale. Però «il principato non esiste, è Repubblica italiana a tutti gli effetti», chiarisce Ragni. «Esiste un’associazione italiana che rievoca fatti storici e culturali per incentivare il turismo», dice riferendosi all’autoproclamato “Principato”, che formalmente è un’associazione di promozione sociale. «Finché è così al Comune può anche star bene», dice Ragni: ma, lascia intendere, senza esagerare.

Il territorio di Seborga è circondato da ulivi e mimose ed è delimitato in maniera informale da una postazione (garitta) non presidiata accompagnata da un cartello di benvenuto, sempre con i colori della bandiera. Altre garitte si trovano vicino al centro storico, che di fatto è la sede dell’antica abbazia, con edifici in pietra, camminamenti lastricati e i resti delle porte d’ingresso. Molte cassette della posta hanno i colori bianco e blu, e accanto ai numeri civici ufficiali ci sono quelli con l’indicazione “Principato di Seborga”. Ci vivono diverse famiglie straniere, alcune delle quali arrivate proprio perché incuriosite dalla storia del posto che, come mostrano la grande croce sul selciato della piazza San Martino e le altre bandiere sparse per il centro, è legata anche ai cavalieri templari.

Seborga, 30 gennaio 2025 (Susanna Baggio/ il Post)

Le rivendicazioni per l’indipendenza si concentrano in particolare su un atto di vendita con cui nel 1729 Seborga fu ceduta dal Regno di Francia ai Savoia. Parte degli abitanti si appella al fatto che questo atto non fu mai registrato, e che non prevedesse esplicitamente la sovranità del Re di Sardegna sul principato, per sostenere che la sua incorporazione nella Repubblica Italiana dopo la fine della Seconda guerra mondiale sia illegittima.

Lo Stato italiano, ovviamente, è di altro avviso. Non ha mai riconosciuto le rivendicazioni per l’indipendenza di Seborga, che nel tempo invece sono state messe in discussione da molti. Per il giornalista Graziano Graziani, esperto di micronazioni, «è difficile pensare che, quasi 300 anni dopo, l’assenza di documentazione sia una base realistica su cui costruire una richiesta di riconoscimento legale». D’altra parte quando la Costituzione italiana fu depositata presso i Comuni, nel 1948, a Seborga «nessuno disse mai ‘no, noi non siamo italiani’», ha commentato Ragni.

Seborga, 30 gennaio 2025 (Susanna Baggio/ il Post)

L’iniziativa di ripristinare l’antico principato, per così dire, si deve soprattutto a Giorgio Carbone, un seborghino che in zona è considerato quasi una figura mitica. «Ancora oggi se tu chiedi ‘chi è il principe?’ dicono Giorgio», dice Patrizia De Paola, consigliera della Corona per le Attività commerciali, una sorta di ministra del “principato”. Carbone, un convinto sostenitore dell’indipendenza, venne eletto principe nel 1963 e fino al 2009, anno della sua morte, rese Seborga quello che è. A metà anni Novanta riaprì la zecca in uso a fine Seicento per far coniare i luigini, che per un breve periodo ebbero corso legale sul territorio; organizzò le elezioni per nominare un governo e poi quelle per far approvare la “Costituzione”.

Parlando delle rivendicazioni di indipendenza ai giornali e in tv fece conoscere Seborga in tutto il mondo: il risultato è che tutti i giorni in paese arrivavano giornalisti e «tre o quattro pullman» pieni di persone curiose, racconta Gianni Fiore, a sua volta consigliere per lo Sport e per la Gioventù.

Erano tempi diversi e Giorgio I – come è noto ai seborghini – faceva un po’ quello che voleva con «una sorta di mutuo consenso» delle istituzioni, racconta sempre De Paola. «Girava col Mercedes con le bandierine e la targa di Seborga», ricorda Fiore, e a un certo punto fece chiudere le frontiere per non far entrare i carabinieri; quando fece coniare le monete inoltre si rifiutò di pagare l’IVA, visto che secondo lui Seborga non aveva niente a che fare con l’Italia.

Le due garitte vicino al centro storico di Seborga, 30 gennaio 2025 (Susanna Baggio/ il Post)

Il sindaco Ragni definisce le rivendicazioni di indipendenza «goliardia», ma riconosce che grazie al movimento creato da Carbone «le persone si sono sentite coinvolte» nella storia locale, sviluppando un certo attaccamento alla propria identità. Una persona del posto «prima di tutto ti dice che è seborghina, poi ti dice che è italiana», spiega Paolo Iotti, che è assessore del Comune di Castellarano (Reggio Emilia) e rappresentante del principato in Italia.

Ovviamente però le leggi in vigore a Seborga sono quelle italiane, così come la burocrazia. Anche se alcuni posti accettano i luigini, che sono essenzialmente un souvenir, nei ristoranti e nei negozi abitualmente si paga in euro (un luigino vale poco meno di 6 euro); capita inoltre di vedere qualche auto con una targa simile a quella usata a suo tempo da Carbone, che per essere a norma però deve stare ad almeno 20 centimetri da quella italiana.

L’organizzazione delle attività di promozione del principato avviene tramite un’associazione di volontari, che pubblicizza le proprie rivendicazioni e la storia del borgo con iniziative di vario tipo. Si sostiene in particolare grazie a mercatini ed eventi come le rievocazioni medievali, così come a donazioni di privati, che in qualche caso realizzano o forniscono opere d’arte esposte tra le strade del paese. Gli stessi rappresentanti all’estero non sono da intendersi come veri diplomatici, bensì come persone o associazioni che hanno semmai il ruolo di farlo conoscere: «Occasioni per parlare di Seborga, se non ci sono me le invento», dice per esempio Iotti.

Seborga, 30 gennaio 2025 (Susanna Baggio/ il Post)

«Seborga è un po’ una favola. Il mondo è ancora sano qui», dice Menegatto. Il suo è un modo di interpretare il ruolo meno belligerante e necessariamente più cauto rispetto a quello di Carbone, ma a detta delle persone sentite dal Post efficace, soprattutto in termini di visibilità. La storia antica, le rivendicazioni di indipendenza e l’immaginario che evoca la figura stessa della principessa sono gli elementi a cui allude Fiore quando, per provare a spiegare Seborga, usa l’espressione «C’era una volta…», il celebre incipit delle favole.

Menegatto è nata in Germania, ha 46 anni e vive a Seborga da una quindicina. All’inizio anche lei aveva trovato curiosa la storia del principato, racconta, ma poi i fatti riportati nei documenti l’avevano convinta che il borgo non dovesse fare parte dell’Italia. Prima di trasferirsi lì aveva vissuto a lungo nel Principato di Monaco, e prima di prendere il posto di Marcello Menegatto, suo ex marito, nel 2019, era consigliera per gli Affari esteri: alle elezioni del principato – che a detta di alcuni seborghini sono più sentite di quelle amministrative – ottenne peraltro più voti di una persona del posto, Laura Di Bisceglie, la figlia di Carbone.

La “Principessa” Nina Menegatto e Patrizia De Paola a Seborga, 30 gennaio 2025 (Susanna Baggio/ il Post)

Menegatto e i suoi collaboratori cooperano attivamente con il Comune per cercare di ravvivare il posto, che come molti altri borghi italiani ha a che fare con il problema dello spopolamento e della chiusura delle attività commerciali, tra cui l’unico negozio di alimentari. Tra le altre cose lavorano da tempo sul progetto di un albergo, per cui alcuni investitori dell’Arabia Saudita hanno già comprato un terreno. D’altra parte «se ci parliamo chiaro Seborga trae un grande beneficio dal principato», dice Menegatto: «La gente non arriva per l’aria buona, perché quella qui in zona la trova dappertutto. Viene qui perché c’è il principato». C’è comunque chi ha avanzato rivendicazioni simili, per esempio nel 2016, quando ci fu quello che i giornali descrissero come un tentativo di colpo di stato.

«A parte le favole ci sono le cose serie, ci sono i documenti, c’è l’indipendenza», continua sempre Menegatto: «Sappiamo benissimo che non è una cosa facile, ma noi tutti ci crediamo e non ci arrendiamo».

La volta che ci andarono più vicini fu per via di una sentenza del 2007 con cui una giudice si rifiutò di esprimersi su una controversia relativa a uno sfratto perché ritenne Seborga al di fuori della propria giurisdizione. Il principato provò a sfruttare la sentenza come prova della propria legittimità con la Corte costituzionale, che però nel 2008 dichiarò la richiesta inammissibile. Il caso fu quindi portato alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che a sua volta non la prese in considerazione per difetti formali: «Tutti i seborghini comunque ci credono», spiega Menegatto, «riproveremo».

La piazza della chiesa di San Bernardo, dove c’è un busto dedicato a Giorgio I. Seborga, 30 gennaio 2025 (Susanna Baggio/ il Post)