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  • Martedì 21 gennaio 2025

Lavapiés sta cambiando troppo in fretta

Nel giro di pochi anni la gentrificazione e la turistificazione stanno costringendo a sloggiare gli abitanti del quartiere popolare e multietnico nel centro di Madrid

di Viola Stefanello

(Viola Stefanello/il Post)
(Viola Stefanello/il Post)
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Per decenni il mercato del San Fernando, nel quartiere di Lavapiés, è stato un mercato qualunque. I banchi di frutta e verdura, le pescherie e i macellai servivano gli abitanti del posto. Inaugurato nel 1944 in un quartiere popolare di Madrid, oggi sta in tutte le guide turistiche internazionali dedicate alla città, da Lonely Planet a Time Out, che nel 2018 definì Lavapiés (o meglio Embajadores, come si chiama la divisione amministrativa in cui si trova) «il quartiere più cool al mondo».

Se lo si visita oggi all’ora di pranzo, però, non dà l’idea di essere uno spazio vissuto dalle persone del quartiere. «Ormai al posto dei classici banchi ci sono principalmente bar, pub e ristoranti», racconta Leah Pattem, giornalista di Lavapiés. «La sera è un posto molto figo da frequentare, e non mi dispiace farlo, ma è appunto uno spazio per la vita notturna, e soprattutto per i turisti. In questo mercato la gentrificazione ha raggiunto un altro livello».

Da tempo gli esperti, i giornali spagnoli e le persone del posto usano la stessa parola per parlare di quello che sta succedendo a Lavapiés, dove il trasferimento massiccio di persone sempre più benestanti e l’apertura di molti locali e negozi alla moda hanno cambiato radicalmente l’identità popolare del quartiere. L’afflusso sempre maggiore di turisti, attirati dall’esperienza di un quartiere sempre più accogliente ma percepito comunque come ancora autentico, ha reso conveniente per i proprietari mettere le proprie case su Airbnb, contribuendo al radicale aumento degli affitti.

Un ex negozio di alimentari ora chiuso, a Lavapiés (Viola Stefanello/il Post)

Lavapiés, d’altronde, è un quartiere molto caratteristico: è fatto in larga parte di viuzze ripide, che salgono verso il centro, talmente strette da non lasciare spazio agli alberi. Urbanisticamente, molte strade non sono cambiate granché dal medioevo. La domenica nella Ribera de Curtidores si tiene un mercatino, quello del Rastro, che attira migliaia di persone, molte delle quali oggi sono turisti. Il vecchio cinema porno del quartiere, la Sala Equis, è stato trasformato in un club in cui si va per bere cocktail e passare la serata. Ma, soprattutto, Lavapiés si trova in una posizione ideale per chi vuole visitare il centro: appena a sud di Plaza Mayor, stretto tra il Parque del Retiro, il Museo del Prado e il Reina Sofia da un lato, dalle strade piene di cantine, ristoranti e tapas bar di La Latina dall’altro.

Lavapiés è l’ultimo quartiere del centro di Madrid ad attraversare questi cambiamenti, ma è un caso unico anche per una serie di altri motivi. È il quartiere del centro con la più alta densità di popolazione, quello dove la maggiore percentuale degli abitanti vive in affitto, principalmente perché non può permettersi di comprare casa, quello dove i partiti di sinistra da sempre prendono più voti nonostante Madrid sia piuttosto conservatrice, e quello dove viene dispiegato il più grande numero di poliziotti. Quello, insomma, dove si concentrano tanti tipi diversi di vulnerabilità sociale ed economica.

Poster appesi per le strade di Lavapiés annunciano una manifestazione contro il rincaro degli affitti (Viola Stefanello/il Post)

Ci vivono molte persone anziane che sono lì da tutta la vita: spesso hanno contratti d’affitto estremamente convenienti, bloccati prima che venissero approvate leggi per liberalizzare il mercato immobiliare, ma vivono in appartamenti piccoli e fatiscenti, in edifici senza ascensori dove la possibilità di muoversi e uscire di casa dipende quindi dalla propria mobilità e dallo stato di salute.

E Lavapiés è anche il quartiere più multietnico del centro: secondo dati del 2020 quasi il 29 per cento dei suoi abitanti non è di origine spagnola. Gli stranieri vengono da almeno 88 paesi diversi, in larga parte dell’Africa, dell’Asia centrale e meridionale e in percentuale minore dall’America Latina: «Ci sono strade intere dove ogni singolo negozio è gestito da stranieri», racconta Pattem, la giornalista, che è arrivata dal Regno Unito con il compagno 11 anni fa e da allora ha sempre vissuto a Lavapiés. «Ci sono agenzie di viaggio che servono l’Afghanistan, negozi di elettronica pakistani e gioiellerie bengalesi e farmacie dove ogni cartello è scritto in tre lingue diverse, perché siano comprensibili alla maggior parte dei vicini».

«Qui la popolazione migrante straniera e quella locale spagnola convivono da tutta la vita e vanno molto d’accordo, per tantissimo tempo non c’è stato alcun problema», dice Antonio Giraldo Capellán, consigliere comunale del partito socialista, che fa parte da anni della commissione che si occupa di urbanistica.

«Anche le persone nuove e più ricche che sono arrivate nel tempo nel quartiere erano riuscite a integrarsi perfettamente senza che la gentrificazione avanzasse troppo. La mia impressione, però, è che ora molti abitanti si sentano costretti ad andarsene – perché non possono più permettersi di pagare l’affitto o perché i servizi di cui hanno bisogno sono scomparsi, sostituiti da servizi volti a soddisfare le necessità di una popolazione turistica stagionale».

Un negozio di souvenir a Lavapiés (Viola Stefanello/il Post)

Secondo Giraldo Capellán, il problema principale è che la trasformazione del quartiere sta avvenendo a una velocità senza precedenti. «La gentrificazione di solito avviene nell’arco di una generazione, non in pochi anni. Non è normale arrivare in un quartiere e renderti conto soltanto dieci anni dopo di non poterci più stare, ed è naturale che la popolazione locale si domandi “perché devo andarmene? Perché devo cedere a queste pressioni esterne?”».

L’attuale difficoltà di Lavapiés viene da lontano. Quartiere storicamente operaio, dove si fecero alcune delle prime lotte sindacali e femministe del paese, si svuotò progressivamente tra gli anni Settanta e Ottanta, quando le fabbriche si spostarono verso zone più periferiche della città. I palazzi vecchi e degradati, con appartamenti di dimensioni e standard di sicurezza ben al di sotto della media, continuarono a mantenere prezzi d’affitto particolarmente bassi anche dopo la morte del dittatore Francisco Franco, mentre il resto del centro città cambiava, attirando intellettuali e creativi che si erano tenuti distanti dalla capitale (e dal paese) durante il regime.

Proprio il costo così basso degli affitti, l’abbondanza di spazio e la vicinanza al centro contribuirono ad attirare, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, una crescente popolazione straniera. Le persone arrivavano e trovavano padroni di casa ben disposti ad affittare in nero appartamenti da pochi metri quadri a intere famiglie, senza preoccuparsi della loro sicurezza né della regolarità del loro soggiorno. Chi arrivava dopo era attratto anche dalla presenza di connazionali con cui creare una comunità, che capissero la loro lingua e i problemi specifici di ambientarsi in un nuovo paese.

Ancora oggi, per tanti migranti che arrivano in Spagna, Lavapiés è una “pista d’atterraggio”: l’idea di vivere lì, godendo della vicinanza e del sostegno di comunità ormai ben inserite e prospere, giustifica anche condizioni abitative molto precarie. Nel quartiere esiste un fenomeno sotterraneo ma ben noto di letti affittati ad ore in appartamenti sovraffollati: una soluzione profondamente scomoda, ma facile ed economica per chi arriva e non sa dove andare. Chi non può permettersi nemmeno quelli, e chi perde la casa in seguito agli sfratti sempre più frequenti, spesso finisce a dormire per strada.

(Viola Stefanello/il Post)

La situazione è peggiorata, da vari punti di vista, dal 2018, anno in cui la polizia sgomberò un edificio occupato, detto “La Quimera”, che dava su una delle principali piazze del quartiere, plaza de Nelson Mandela. Gestito fino ad allora come centro sociale che organizzava attività per gli abitanti della zona, dalle lezioni di arti marziali ai corsi di lingue alle serate karaoke, dopo lo sgombero gli spazi di La Quimera furono immediatamente occupati dalla criminalità organizzata e divennero, come riassume il giornale 20minutos, «un centro nevralgico di narcotraffico, prostituzione e violenza». Dopo un nuovo sgombero qualche mese dopo, le vie vicine a La Quimera rimasero una zona di spaccio e piccola criminalità.

Lo stesso anno ci fu un raro caso di sommossa da parte della comunità senegalese di Lavapiés in seguito alla morte sospetta di un venditore ambulante del Senegal. Secondo la polizia, l’uomo fu colpito da un arresto cardiaco mentre camminava per strada. Qualcuno chiamò degli agenti che erano lì vicino per chiedere loro di provare a rianimarlo, senza successo. Nel quartiere circolò però velocemente una voce, mai confermata, secondo cui l’uomo aveva avuto l’arresto cardiaco mentre scappava da un gruppo di poliziotti che lo inseguivano in moto. «Le strade si riempirono di gente per ore: alcuni distrussero vetrine, altri diedero fuoco ad automobili e cassonetti», ricorda Pattem.

«Da allora nel quartiere la polizia è presente come mai successo prima, e sono state installate moltissime telecamere. Ormai è un quartiere altamente sorvegliato. Eppure abbiamo comunque un tasso di criminalità elevata: l’idea è che le persone si sentano sicure perché sanno di essere osservate, senza che però si faccia granché per rendere davvero il quartiere più sicuro». Da allora, secondo varie associazioni del quartiere, sono peraltro aumentati i casi di abusi più o meno gravi della polizia verso gli abitanti non bianchi.

Alcune bandiere gialle residue sui balconi della piazza Nelson Mandela (Viola Stefanello/il Post)

Oggi, camminando per le strade di Lavapiés, è ancora possibile scorgere qualche bandiera gialla, sbiadita dal sole, appesa alle finestre degli edifici. È quello che resta di un movimento di protesta nato nel 2022 da un gruppo di WhatsApp tra vicini stanchi «del narcotraffico e dell’abbandono istituzionale» del quartiere. Le bandiere stesse sono un simbolo delle visioni diverse e contrastanti dei vari abitanti del quartiere: alcuni le hanno appese per segnalare che avrebbero voluto maggiori interventi della polizia nelle strade, altri per chiedere interventi di mediazione sociale e maggiori servizi pubblici sul territorio.

A distanza di tre anni, però, la discussione pubblica si è spostata nettamente verso un altro problema: quello della turistificazione, appunto. Come succede anche a Barcellona, sui muri di Lavapiés non è raro trovare sticker con scritto “Vaffanculo Airbnb” o “Vicini in via d’estinzione”, e si sta diffondendo anche la pratica di appendere fuori dalla finestra cartelli che segnalano la presenza di alloggi turistici illegali nel proprio edificio.

– Leggi anche: Perché sull’iperturismo tutti guardano Barcellona

(Viola Stefanello/il Post)

Nel frattempo, i prezzi per comprare o affittare casa nel quartiere si sono alzati moltissimo: molti si trasferiscono nel quartiere di Carabanchel, nel sud della città, verso la periferia, dove gli appartamenti sono più economici e si stanno formando comunità straniere piuttosto grandi. «È quello che succederà anche a me tra 18 mesi, quando mi scade il contratto», spiega Pattem. «Al momento paghiamo quello che era il prezzo medio per un appartamento a Lavapiés qualche anno fa, ma nulla impedisce al mio padrone di casa di aumentare l’affitto anche del 50 per cento, e ovviamente non posso permettermelo».

Aumenti repentini di questo tipo sono possibili perché le varie comunità autonome spagnole possono decidere se applicare o meno la legge nazionale che proteggerebbe maggiormente gli affittuari. La comunità autonoma di Madrid, controllata stabilmente dal Partito Popolare, di centrodestra, non la applica.

Tra il 2019 e il 2024 il quartiere ha perso 10mila abitanti e un gran numero di attività commerciali storiche. Nel 2019 ha chiuso il Baobab, che era stato il primo ristorante senegalese della capitale: è stato venduto a un fondo che ha segnalato l’intenzione di costruirci un hotel a cinque piani, ma al momento l’edificio è ancora lì, chiuso, con il graffito di un baobab sul muro. Lo scorso luglio ha chiuso dopo ottant’anni di attività uno storico calzolaio, Calzados Vinigon: i vicini hanno organizzato una grossa festa in strada per salutare i proprietari e ringraziarli del loro servizio. Spesso, anche gli spazi al piano terra che prima ospitavano negozi vengono convertiti in ostelli o alloggi turistici.

L’ex ristorante Baobab (Viola Stefanello/il Post)

Al contempo, gli abitanti di vari edifici acquistati da grossi fondi d’investimento hanno cominciato a ricorrere alla contrattazione collettiva per cercare di arrestare, o almeno di rallentare, il proprio sfratto.

Il caso più famoso è quello di calle Tribulete 7, che conta 55 appartamenti, alcuni dei quali con affitti bloccati a prezzi molto al di sotto del valore di mercato: tra i 200 e i 300 euro per poco meno di 50 metri quadri. Nel marzo del 2023 l’intero edificio è stato acquistato dalla società di investimento immobiliare Elix Rental Housing, che ha comunicato di volerlo svuotare per «adattarlo agli standard richiesti dalla legislazione attuale in materia di sicurezza, accessibilità, sostenibilità e qualità di vita». Gli abitanti, però, sospettano che l’obiettivo finale sia quello di farci degli appartamenti di lusso, magari per studenti facoltosi, oppure degli alloggi turistici, e si lamentano degli indennizzi molto bassi – tra i 3mila e i 7mila euro, che diventano mille per chi partecipa alla negoziazione collettiva – offerti a chi accetta di andarsene spontaneamente.

La contrattazione collettiva dura da quasi un anno ed è sostenuta dal Sindacato degli Inquilini di Madrid. «A Lavapiés c’è sempre stato un senso di comunità e di vicinato molto forte: già negli anni Settanta esistono associazioni come La Corrala, nate per resistere all’espulsione degli abitanti dal quartiere», spiega Juan Lozano, studente di urbanistica che fa parte del Sindacato degli Inquilini ma ha anche studiato a lungo la storia di Embajadores.

«Credo che sia comunque molto difficile opporsi alla gentrificazione: stanno lottando contro forze e processi sociali molto organizzati e molto ben finanziati, e gli abitanti del quartiere non hanno il genere di potere economico, istituzionale o giuridico per opporsi a chi li vuole espellere. Ma credo anche che Lavapiés sia un quartiere che resiste da sempre: se c’è qualcuno che può farcela, sono loro», aggiunge.

L’ingresso di calle Tribulete 7 (Viola Stefanello/il Post)