La Cina continua a esportare tantissimo

Lo scorso anno ha ottenuto il surplus commerciale più alto di sempre, ma ora arriveranno i dazi di Trump

Container al porto di Tianjin, in Cina, nel 2012 (AP Photo/Alexander F. Yuan)
Container al porto di Tianjin, in Cina, nel 2012 (AP Photo/Alexander F. Yuan)
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Lunedì l’Amministrazione generale delle dogane in Cina ha reso noti i risultati commerciali del 2024, anno in cui la Cina ha registrato il surplus commerciale più alto di sempre: è la differenza tra esportazioni e importazioni, e un indicatore che sintetizza se un paese esporta più o meno di quanto importa dall’estero. La Cina è in surplus dal 1993, e nel 2024 ha registrato 990 miliardi di dollari di surplus, come differenza tra 3.580 miliardi di esportazioni e 2.590 miliardi di importazioni: ha sorpassato così il record del 2022 di 838 miliardi di dollari.

La dimensione del surplus commerciale della Cina fa capire quanto il resto del mondo dipenda dai suoi prodotti: per esempio è circa 3 volte il record di sempre della Germania, altro grande paese esportatore che nel 2017 registrò un surplus di circa 320 miliardi di dollari, adeguato ai valori correnti dell’inflazione. Il dato cinese, come fa notare il New York Times, ha superato di gran lunga qualsiasi altro surplus commerciale nel secolo scorso. Lo stesso dato è il risultato però di tendenze contrastanti, non tutte positive per la Cina.

La prima è che il surplus è aumentato anche perché le importazioni sono rimaste sostanzialmente ferme mentre le esportazioni crescevano, a causa delle difficoltà economiche interne della Cina: per via della crisi immobiliare che ha colpito il paese negli scorsi anni la disoccupazione è aumentata moltissimo (soprattutto quella giovanile), la classe media ha eroso i suoi risparmi, e le persone hanno iniziato a spendere con più cautela. I consumi sono rimasti di fatto fermi, e le importazioni di prodotti dall’estero non sono aumentate. Questo è stato un grosso problema per tutto il settore del lusso, per esempio, che da decenni basava la sua crescita sullo sviluppo e sulla ricchezza dei mercati asiatici e cinesi.

Le importazioni crescono meno di un tempo anche perché in certi settori – quello automobilistico su tutti, ma anche nella meccanica in generale e nei settori tecnologici – il paese si è reso tecnologicamente e industrialmente più indipendente. La Cina ha sempre meno bisogno di comprare componenti o prodotti finiti dall’estero.

D’altro canto, la crescita delle esportazioni è una conseguenza di determinate politiche di impulso all’economia promosse dal governo cinese per compensare le difficoltà economiche interne: per mantenere alto il tasso di crescita, la Cina ha incentivato il proprio settore manifatturiero a produrre di più, aumentando la produzione di beni al punto che si è cominciato a parlare di “sovrapproduzione”, cioè del fatto che la Cina sta producendo più di quello che il mercato è in grado di assorbire. I risultati di questa politica non sono del tutto positivi: mentre rispetto al 2023 le esportazioni sono aumentate del 12 per cento in volume, in termini di valore sono cresciute solo del 6 per cento, cioè della metà. Significa che i produttori cinesi hanno sì venduto di più, ma a prezzi più bassi per cercare di smaltire tutta la merce prodotta: dunque con ogni probabilità i margini di guadagno si saranno in certi casi ridotti.

Dalle fabbriche cinesi dipende comunque la produzione e il commercio di gran parte dei prodotti in tutto il mondo, e questo nonostante sia i paesi industrializzati che quelli in via di sviluppo abbiano iniziato da tempo a imporre dazi sui prodotti provenienti dalla Cina, cercando così di ridurre la loro convenienza: il simbolo di queste nuove politiche è rappresentato dai dazi di diversi paesi sulle auto elettriche cinesi (Stati Uniti, Unione Europea e Canada su tutti), che stanno sbaragliando la concorrenza occidentale per prezzo e qualità, mettendo a rischio migliaia di aziende e milioni di posti di lavoro.

Il protezionismo occidentale nei confronti della Cina è destinato a intensificarsi con l’insediamento del presidente eletto Donald Trump, il cui atteggiamento verso la Cina è da sempre molto ostile: Trump imputa alla concorrenza sleale dei produttori cinesi gran parte dello squilibrio commerciale degli Stati Uniti, che hanno un enorme deficit commerciale, soprattutto verso la Cina. Già durante il suo primo mandato introdusse alcuni dazi, in controtendenza rispetto al predominante atteggiamento liberoscambista di quel periodo. Joe Biden ha poi continuato questa politica, soprattutto per impedire alla Cina l’avanzamento tecnologico nei settori fondamentali a livello economico e militare, come per esempio quello dei chip.

Trump, che si insedierà come nuovo presidente il 20 gennaio, ha già detto che aumenterà ancora i dazi verso tutti i prodotti importati dalla Cina, riducendone ulteriormente la convenienza per i consumatori statunitensi. Per questo a dicembre c’è stato un inusuale picco delle esportazioni cinesi, dovuto a una certa fretta delle aziende statunitensi di approvvigionarsi dei prodotti cinesi prima dell’inizio della nuova amministrazione. Il risultato è stato che il surplus commerciale della Cina su base mensile a dicembre è stato di 105 miliardi di dollari, il valore mensile più alto mai ottenuto.