Il declino di Intel

Un tempo dominava il settore dei microprocessori, ma da tempo ha perso terreno in favore di aziende come Nvidia e TSMC

La sede di Intel a Santa Clara, California. (Justin Sullivan/Getty Images)
La sede di Intel a Santa Clara, California. (Justin Sullivan/Getty Images)

Da alcuni anni Intel, azienda statunitense produttrice di semiconduttori e microprocessori, sta investendo su un nuovo processo produttivo, chiamato 18A, che dovrebbe permettere la produzione di chip più veloci ed efficienti. Si tratta di un investimento su cui l’azienda, un tempo leader del settore, punta molto per uscire da un periodo di crisi che dura da anni.

Ai primi di settembre, però, l’agenzia di stampa Reuters ha rivelato che 18A ha dei problemi. Intel, infatti, ha mandato all’azienda produttrice di chip Broadcom dei wafer (ovvero dei sottilissimi strati di materiale semiconduttore) realizzati con questa tecnica, e su cui Broadcom avrebbe dovuto lavorare: dopo averli analizzati, però, l’azienda non li ha considerati pronti per la produzione di massa. Intel ha negato che questo possa costituire un contrattempo, come sostenuto da Reuters, spiegando che i programmi «rimangono pienamente sulla strada per la produzione di massa il prossimo anno». Intel dovrebbe infatti cominciare a produrre chip con questa tecnica già all’inizio del 2025, anche per partner commerciali come Microsoft.

Dall’inizio dell’anno, Intel ha perso circa il 60% del valore in borsa, con 1,6 miliardi di dollari di perdite nel secondo trimestre del 2024; ad agosto ha annunciato il taglio di circa 15mila posti di lavoro, nell’ambito di un piano per ridurre i costi di circa 15 miliardi di dollari nel 2025. «È un giorno incredibilmente duro per Intel, e stiamo facendo alcuni dei cambiamenti più importanti della nostra storia» ha detto il CEO Pat Gelsinger annunciando i tagli.

Le difficoltà di Intel sono state interpretate dalla stampa statunitense come il culmine di problemi cominciati molti anni fa, e che hanno portato l’azienda un tempo «sinonimo di “Silicon Valley”», come scrive CNBC, a perdere terreno in molti settori del grande mercato dei semiconduttori, anche a causa della crescita di aziende concorrenti come Nvidia o la taiwanese Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC). Un tempo Intel era la prima azienda americana di semiconduttori per capitalizzazione di mercato, il valore complessivo delle azioni, ma ora è molto indietro nella classifica: con i suoi circa 90 miliardi di dollari, è lontanissima dal valore di Nvidia, a 2.800 miliardi di dollari, ma anche di TSMC (868 miliardi), Broadcom (759 miliardi), AMD (244 miliardi) e diverse altre.

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Nonostante questo andamento, nel 2023 Intel era stata comunque la prima azienda per quota di mercato nel settore dei semiconduttori, in una classifica stilata dalla società di consulenza Gartner che esclude TSMC, società leader nella produzione mondiale di chip, che però a differenza di Intel e di altre aziende concorrenti, come Nvidia, li realizza soltanto, senza progettarli. Il mercato globale dei chip nel 2023 ha avuto un annata negativa, perdendo circa l’11% del mercato, e le vendite della maggior parte delle aziende sono calate. Nonostante il calo abbia interessato anche Intel (-16,7%), quello di Samsung è stato molto maggiore (-37,5%), cosa che ha permesso a Intel di riguadagnare dopo due anni la prima posizione tra le aziende globali che progettano e vendono chip.

Quest’estate, l’azienda ha dovuto affrontare dei problemi tecnici che causavano il crash dei suoi processori di tredicesima e quattordicesima generazione. Negli stessi giorni della indiscrezione di Reuters, inoltre, il titolo in borsa di Intel ha registrato grosse perdite tanto da rischiare di essere escluso dal Dow Jones, l’indice di borsa riservato alle 30 principali società della borsa valori statunitense. La crisi è tale da aver spinto l’azienda concorrente Qualcomm, sempre secondo Reuters, a prendere in considerazione di acquisire alcune parti di Intel.

I problemi più recenti di Intel hanno coinciso con la crescita registrata da un’azienda concorrente, Nvidia, che più di ogni altra realtà ha goduto del cosiddetto “AI boom”, l’enorme corsa agli investimenti nel mercato delle intelligenze artificiali generative. Oggi Nvidia è infatti leader nella progettazione delle GPU (unità di elaborazione grafica), un tipo di processore molto usato nell’allenamento dei modelli linguistici che sono alla base di chatbot come ChatGPT.

Ma non è solo Nvidia a mettere in difficoltà Intel: negli ultimi anni il mercato dei chip è stato stravolto da diversi fattori che hanno favorito l’ascesa di una concorrenza nuova e agguerrita. Tra tutte, quella di aziende come TSMC e AMD, ma anche di Apple e Samsung. La più importante di tutte, nonostante il grande clamore mediatico che circonda Nvidia, rimane TSMC: a differenza di Intel, nota per gestire sia la fase di progettazione che quella di produzione dei chip, infatti, TSMC si è specializzata esclusivamente nella produzione per conto di altre società, e ha investito fortemente in ricerca e sviluppo, specie nella miniaturizzazione dei transistor.

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Quest’estate, poi, Intel è stata denunciata da un fondo pensioni privato statunitense che l’ha accusata di aver nascosto le condizioni critiche delle sue fonderie di semiconduttori, gli stabilimenti produttivi che costerebbero «miliardi di dollari più di quello che era stato fatto credere agli investitori».

Queste fabbriche, così cruciali per la capacità di Intel di produrre i suoi stessi chip, sono però un tipo di business che richiede enormi capitali: «È per questo che la maggior parte della concorrenza non ha fabbriche proprie, ed è più che felice di affidare la produzione a TSMC», ha spiegato un’analista intervistata dal sito di CNBC. Nvidia, Qualcomm, Broadcom, MediaTek e AMD sono tutte aziende fabless, come vengono indicate quelle che si specializzano nella progettazione e nella vendita di microprocessori, appaltando esternamente la produzione.

Il primo transistor della storia fu presentato nel dicembre del 1947 presso i Bell Labs dell’azienda statunitense AT&T, ed era lungo circa un centimetro. Da allora i transistor sono diventati sempre più piccoli, seguendo la Legge di Moore, descritta nel 1965 dall’informatico e imprenditore Gordon Moore, fondatore della stessa Intel, secondo il quale il numero di transistor in un circuito integrato sarebbe raddoppiato ogni due anni. Attualmente i transistor vengono misurati in nanometri (o miliardesimi di metro) e TSMC produce quelli più avanzati al mondo, tanto da rappresentare circa il 61% del mercato dei semiconduttori. La supremazia di TSMC è tale che la stessa Intel, lo scorso febbraio, ha annunciato un’alleanza con TSMC per la produzione di alcuni chip.

Quando si parla dei problemi di Intel, spesso viene individuata tra le cause l’uscita del primo iPhone e quello che cambiò nel settore della tecnologia mobile. Nella sua biografia scritta da Walter Isaacson e pubblicata nel 2011, il co-fondatore di Apple Steve Jobs raccontò di aver contattato l’allora amministratore delegato di Intel, Paul Otellini, per usare i chip dell’azienda sugli iPhone, visto il rapporto consolidato tra le due aziende. Secondo Jobs, alla fine l’accordo non fu raggiunto perché Intel si dimostrò «lenta» e non disposta ad accettare alcuni termini imposti da Apple (ad esempio, che gli stessi chip di iPhone non venissero venduti ad altre aziende). Alla fine, Apple scelse i chip Samsung, nel 2008 acquisì l’azienda statunitense di semiconduttori P.A. Semi, e due anni dopo uscì il primo iPhone con chip Apple.

La questione iPhone rimase un rimpianto per Otellini, che ne parlò amaramente in un’intervista alla rivista The Atlantic nel 2013, anni dopo aver lasciato l’incarico presso l’azienda: «La cosa che bisogna ricordare è che […] nessuno sapeva cosa avrebbe provocato iPhone. Alla fine c’era un chip a cui erano interessati e per il quale volevano pagare un certo prezzo e non un centesimo in più, e quel prezzo era inferiore al costo da noi previsto».

Per molto tempo prima dell’uscita di iPhone, Intel aveva dominato un mercato diverso, fatto di personal computer e laptop, in cui l’efficienza energetica dei chip non era un fattore così importante: la grande diffusione di smartphone e tablet favorì però l’ascesa di altre aziende, come Qualcomm, che oggi stanno compiendo passi importanti per portare la tecnologia ARM anche nei PC, in cui tuttora domina Intel. Riadattare la propria produzione per produrre i chip per iPhone sarebbe stato molto costoso per Intel, che come molti altri sottostimò le vendite che avrebbe avuto iPhone e decise di non assumersi il rischio. Ciononostante, Intel ha successivamente giovato del mercato degli smartphone grazie al settore del cloud, per il quale produce processori ad alte prestazioni come azienda leader di settore.

Dal 2013 a oggi Intel ha cambiato tre amministratori delegati. Dal 2021 il ruolo è ricoperto da Pat Gelsinger, che ha promesso di rilanciare l’azienda e recuperare terreno su TSMC: per farlo ha investito decine di miliardi di dollari nella costruzione di stabilimenti e fabbriche negli Stati Uniti (dove ha ricevuto di 8,5 miliardi di dollari in finanziamenti da parte del governo statunitense), Irlanda, Germania e Israele. L’esigenza di tagliare costi e investimenti sta però mettendo in crisi questo tipo di operazioni, soprattutto quella in Germania, nonostante fossero previsti aiuti e sovvenzioni governative, mentre l’impianto che doveva costruire in Ohio è già stato posticipato.