L’Avvocatura dello Stato non vuole far risarcire nemmeno la nipote di Sandro Pertini

Come in altri casi simili si sta opponendo alla causa intentata da Diomira Pertini per la morte del padre Eugenio, che era il fratello dell’ex presidente della Repubblica e fu ucciso dai nazisti

Il campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania, dove fu ucciso Eugenio Pertini, fratello di Sandro
Il campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania, dove fu ucciso Eugenio Pertini, fratello di Sandro (Wikimedia/UsArmy)
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Diomira Pertini, figlia di Eugenio Pertini, il fratello del presidente della Repubblica Sandro, ha fatto causa alla Germania per chiedere un risarcimento per la morte del padre, ucciso dalle SS naziste nel 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg, al confine tra Germania e Repubblica Ceca. Diomira oggi ha 90 anni: più che un riscontro economico, con la causa vuole ottenere il riconoscimento storico e morale del crimine di cui fu vittima il padre.

Come lei, negli ultimi anni più di mille familiari di vittime degli eccidi e delle stragi commesse dai soldati nazisti hanno fatto causa alla Germania. I processi sono lunghi e complicati, anche a causa della posizione dell’Avvocatura dello Stato, che rappresenta lo Stato nelle controversie legali e che si sta opponendo con ostinazione a tutte le richieste di risarcimento, compresa quella presentata dagli avvocati di Diomira Pertini.

– Leggi anche: L’Avvocatura dello Stato si sta opponendo ai risarcimenti per le stragi naziste

Sandro Pertini raccontò la storia del fratello Eugenio in un’intervista a Oriana Fallaci del 1973, quando era ancora un deputato del Partito Socialista. Disse che il fratello Eugenio partì per gli Stati Uniti dopo il liceo, e che quando tornò lui era già in carcere, condannato per la sua militanza antifascista. Sandro Pertini ebbe notizie del fratello solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, grazie a un maresciallo dei carabinieri di Genova. Qualche anno prima lo stesso maresciallo aveva incontrato anche Eugenio, ma gli aveva detto erroneamente che Sandro era morto. Sandro Pertini era infatti stato condannato a morte: riuscì a salvarsi evadendo dal carcere romano di Regina Coeli, all’inizio del 1944 insieme a Giuseppe Saragat, entrambi futuri presidenti della Repubblica; la notizia non era ancora arrivata probabilmente al maresciallo.

Convinto della morte del fratello, Eugenio Pertini si iscrisse al Partito Comunista e iniziò un’intensa attività politica. Fu arrestato mentre attaccava manifesti contro i nazisti, picchiato e portato nel campo di concentramento di Bolzano, dove scoprì che il fratello Sandro era ancora vivo. Ma non lo rivide più: Eugenio Pertini fu presto trasferito al campo di concentramento di Flossenbürg, dove fu ucciso. «Questo è il destino, cara Oriana, il destino!», disse Pertini a Fallaci. «Perché sono stato a Flossenbürg, e ho fatto i calcoli, e ho scoperto che nello stesso momento in cui alla testa dei partigiani inneggiavo alla libertà riconquistata in Milano, alla stessa ora dello stesso giorno – il 25 aprile 1945 – mio fratello veniva fucilato nel campo di Flossenbürg», disse Sandro Pertini nell’intervista con Fallaci.

La causa civile intentata da Diomira Pertini è simile a molte altre iniziate negli ultimi anni da familiari delle vittime degli eccidi e delle stragi naziste. A sostegno della richiesta di risarcimento di 250mila euro sono state portate diverse testimonianze e alcune interviste fatte da Sandro Pertini, che divenne presidente della Repubblica nel 1978.

Fino al 2022 questi processi erano stati resi vani dal conflitto di competenze tra l’Italia e la Germania. Lo Stato italiano si era sempre chiamato fuori dalle questioni legali, sostenendo che i parenti delle vittime dovessero rivalersi sulla Repubblica federale tedesca. La Germania si era sempre opposta ai risarcimenti stabiliti dai giudici italiani in virtù degli accordi di Bonn del 1962: all’epoca la Germania corrispose all’Italia 40 milioni di marchi tedeschi come risarcimento complessivo, circa 1,5 miliardi di euro di oggi. Nonostante questo, negli anni successivi diversi giudici condannarono la Germania a risarcire i parenti delle vittime.

Una soluzione fu trovata nel 2022 dal governo di Mario Draghi, che approvò un decreto-legge per istituire un fondo per i risarcimenti. Inizialmente il fondo era di 55,4 milioni di euro, poi aumentato a 61 milioni e gestito dal ministero delle Finanze. In questo modo lo Stato italiano si è fatto carico dei risarcimenti che sarebbero spettati alla Germania.

L’opposizione dell’Avvocatura dello Stato è dovuta proprio al coinvolgimento del ministero delle Finanze, a cui di fatto fanno causa i parenti delle persone uccise dai nazisti. L’Avvocatura, insomma, partecipa a questi processi come controparte e per questo continua a opporsi ai risarcimenti. Nell’ultimo anno lo ha fatto con tesi che hanno sorpreso non solo i familiari delle vittime, ma anche giudici e avvocati.

In molti casi l’Avvocatura ha contestato le prove delle stragi portate dagli avvocati. Ha chiesto la prescrizione del diritto al risarcimento nonostante ci fossero molte sentenze nazionali e internazionali secondo cui i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra non possono andare in prescrizione. In tre cause ha dubitato dell’effettivo danno procurato, in quanto alcuni figli o nipoti delle vittime non erano nati al momento della morte del familiare. Ha sostenuto che in mancanza dell’accettazione dell’eredità (un passaggio formale non obbligatorio in caso di morte) l’erede non abbia diritto al risarcimento.

In un processo discusso al tribunale di Firenze, per esempio, l’Avvocatura si è opposta al risarcimento chiesto dal figlio di un antifascista catturato e ucciso in Germania. Il figlio nacque senza mai conoscere il padre, incarcerato a Firenze prima della deportazione. Durante il processo l’Avvocatura ha sostenuto che l’uomo non abbia diritto al risarcimento perché non avendo conosciuto il padre non ne soffrì la perdita.

Come riportato dal Corriere della Sera, nel caso di Pertini l’Avvocatura sostiene che le testimonianze non dimostrino le sofferenze patite da Eugenio Pertini nel campo di concentramento di Flossenbürg e che non siano chiare le modalità della morte. «Anche se sono trascorsi ottant’anni, per tutte le vittime e i loro familiari rivivere gli atti criminali commessi dai nazisti con le deportazioni e gli eccidi, significa riaprire ferite dolorose», ha detto al Corriere l’avvocata Cristina Florean, che insieme al collega Walter Bissoli assiste Diomira Pertini. «Mettere in discussione le sofferenze patite da chiunque sia stato recluso a Flossenbürg, o andare a sindacare se sia stato o meno ucciso con un colpo di pistola piuttosto che sia morto di stenti, mi sembra assurdo. È come se lo Stato si arrampicasse sugli specchi per rinviare il più possibile il momento in cui il ministero sarà chiamato a risarcire».