I controlli alla frontiera con la Slovenia usati per propaganda politica

Dovevano durare 10 giorni e vanno avanti da 6 mesi: secondo il governo hanno ridotto gli arrivi dei migranti dalla “rotta balcanica”, ma non è proprio così

di Riccardo Congiu

Caricamento player

Ormai da più di sei mesi l’Italia ha ripreso a fare controlli nei varchi di frontiera al confine con la Slovenia a Nordest, in Friuli Venezia Giulia, sospendendo così il trattato di Schengen, che permette la libera circolazione delle persone all’interno di quasi tutti i paesi dell’Unione Europea più altri quattro (Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein). La sospensione venne annunciata con poco preavviso e inizialmente sarebbe dovuta durare solo 10 giorni, ma è stata via via prorogata dal governo un po’ in sordina e al momento è in vigore fino al prossimo 18 giugno. I ministri degli Esteri e dell’Interno hanno già fatto sapere che con ogni probabilità sarà ulteriormente prorogata.

La motivazione ufficiale della sospensione sono presunte minacce terroristiche legate alla guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Nel frattempo, pubblicamente, il governo italiano e la giunta del Friuli Venezia Giulia, entrambi guidati dalla destra, stanno usando la reintroduzione dei controlli alla frontiera slovena come strumento di propaganda. Sostengono che la misura serva anche a limitare l’arrivo in Italia di persone migranti dalla cosiddetta “rotta balcanica”, cioè il lungo e difficile percorso che parte dall’Asia e via terra attraversa la Grecia, l’Albania, poi la Croazia e la Slovenia per arrivare proprio in Friuli Venezia Giulia.

Al di là dei problemi dal punto di vista del diritto internazionale, che ci sono, secondo molte testimonianze sul campo gli arrivi non stanno realmente diminuendo. I controlli alla frontiera sono strutturalmente carenti e inefficaci, al punto che se ne lamentano gli stessi agenti di polizia che li dovrebbero fare.

A dispetto delle ragioni ufficiali legate al terrorismo, da subito il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva detto che l’obiettivo del governo era anche «evitare un ingresso incontrollato sul territorio nazionale» di migranti dal confine a Nordest. Più di recente, in un’intervista al Gazzettino in cui gli era stato chiesto dei risultati ottenuti con la sospensione di Schengen, Piantedosi aveva spostato l’attenzione unicamente sui flussi migratori. «I controlli si sono rivelati proficui», aveva detto, mettendo poi in fila un po’ di dati: «Dal 21 ottobre 2023 ad oggi sono stati rintracciati 2.613 stranieri irregolari, di questi 1.542 sono stati respinti». Le minacce terroristiche non venivano menzionate.

Anche l’assessore regionale del Friuli Venezia Giulia alla Sicurezza e all’Immigrazione, Pierpaolo Roberti, parlando della sospensione del trattato di Schengen si è sempre concentrato quasi esclusivamente sui flussi migratori. Nelle ultime settimane è stato molto pubblicizzato un dato da lui diffuso in consiglio regionale, secondo cui nei primi tre mesi del 2024 l’arrivo di migranti dalla rotta balcanica in Friuli Venezia Giulia si sarebbe «dimezzato» rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, proprio per via della reintroduzione dei controlli alla frontiera. I dati non ufficiali, ma forniti da funzionari della Regione, sono di circa 4.500 ingressi registrati tra gennaio e marzo del 2023 contro i 2.300 del 2024. «Il calo dei flussi migratori del 2024 è legato alla sospensione del trattato di Schengen sulla libera circolazione in Europa», aveva detto Roberti.

Roberti dice che questa stima si basa sul numero di persone che si presentano spontaneamente in questura quando arrivano in Italia, più quelle «rintracciate durante i controlli alla frontiera». Ma è un dato che non tiene conto delle moltissime persone che riescono a entrare in Italia senza essere intercettate dalle autorità: il Consorzio italiano di solidarietà (ICS), un’associazione che fornisce cibo e beni di prima necessità ai migranti che arrivano in Friuli Venezia Giulia, fa sapere per esempio di non aver notato alcuna diminuzione nel numero di persone a cui prestano soccorso una volta entrate in Italia.

L’ICS raduna molte informazioni su queste persone, intervistandone migliaia ogni anno e studiando approfonditamente la loro storia migratoria: sulla base dei dati che hanno raccolto sul campo hanno notato semmai che negli ultimi mesi è diminuito il numero di persone che vogliono fare richiesta d’asilo in Italia. Sono quelle che entrano in Italia senza essere fermate dalle forze dell’ordine ma sono solo di passaggio, e vanno poi verso altri paesi europei per chiedere accoglienza lì: è un aspetto che i partiti di destra non citano volentieri, perché contraddice la loro retorica secondo cui l’Italia sarebbe il paese che si fa maggiormente carico della pressione migratoria verso l’Europa.

Con i metodi attualmente a disposizione è praticamente impossibile dimostrare una diminuzione degli ingressi di migranti in Italia dalla rotta balcanica, proprio perché molti sfuggono alle rilevazioni: lo dice chi lavora con i migranti che arrivano, compresi gli agenti di polizia di frontiera. È verosimile, peraltro, ipotizzare che i migranti che arrivano in Italia evitino i varchi di frontiera per non passare dai controlli della polizia, soprattutto se non hanno intenzione di fare domanda d’asilo in Italia: «L’ultima cosa che fa qualcuno che porta con sé dei migranti è passare dove ci sono i poliziotti», sintetizza efficacemente Alessandro Nencha, segretario provinciale a Gorizia del SIULP, il principale sindacato di polizia.

Il confine tra Italia e Slovenia, tutto compreso in Friuli Venezia Giulia tra le province di Udine, Gorizia e Trieste, è lungo 232 chilometri. Su ampi tratti ci sono boschi, su altri le Alpi Giulie, e per questo è molto difficile da presidiare interamente: lo stesso assessore Roberti dice che la regione ha «un confine che sostanzialmente è tutto facilmente permeabile». Nencha, che lavora al confine da molto tempo, dice che «anche se chiudi un posto, ne hai altri mille da cui passare».

La sospensione del trattato di Schengen e il ripristino dei controlli alla frontiera significano concretamente che in alcuni dei tratti in cui passano le auto tra Italia e Slovenia sono stati messi o riattivati varchi dove la polizia ferma a campione alcuni veicoli. Un varco che occupa qualche decina di metri però ha accanto chilometri di boschi non presidiati dove si può arrivare a piedi, o strade meno battute in cui si può arrivare con un veicolo. «Chi ha fatto frontiera sa benissimo che la maggior parte dell’immigrazione clandestina non passa per le strade, passa da vie non convenzionali», dice Nencha.

Il punto in cui è più facile presidiare le frontiere è la città di Gorizia, che si trova esattamente sul confine e che proprio il confine divide da Nova Gorica: fino al 1947 la città era una sola, ma con il trattato di Parigi alla fine della Seconda guerra mondiale la parte che oggi è Nova Gorica fu ceduta dall’Italia alla Jugoslavia, insieme all’Istria e a una grossa parte della Venezia Giulia. A Gorizia ci sono ancora diverse vie che partono in Italia e arrivano in Slovenia e viceversa, e chi abita nelle due città è abituato ad andare da una parte all’altra senza fare troppo caso al passaggio tra i due Stati.

– Leggi anche: Il Muro di Gorizia, prima di Berlino

Gorizia è insomma la parte di confine più urbanizzata e quindi maggiormente controllabile, e in città sono stati riattivati diversi varchi a poca distanza l’uno dall’altro. Eppure anche qui ci sono punti senza forze dell’ordine, da cui si può tranquillamente transitare evitando i controlli, sia a piedi che con un mezzo. Tra il varco di via San Gabriele e quello di Casa Rossa, a circa un chilometro e mezzo l’uno dall’altro, per esempio, c’è il vecchio varco del Rafut che oggi ha ancora cartelli e indicazioni che segnalano il confine tra Italia e Slovenia, ma nessun presidio della polizia.

Il vecchio varco del Rafut (Il Post)

Da quando è stato sospeso il trattato di Schengen, il sindacato di polizia si è più volte lamentato di come sono organizzati i controlli, e del fatto che in questo modo servano a poco. Nencha spiega che uno dei problemi principali è che il ripristino dei varchi di frontiera ha creato sostanzialmente dei «posti fissi», mentre la conformazione del territorio avrebbe bisogno di pattuglie di polizia di frontiera che si spostano lungo il confine, pur sapendo che anche in questo modo è impossibile controllare ovunque.

L’altro problema segnalato dal sindacato di polizia è che il ministero dell’Interno sta continuando a trattare la sospensione di Schengen come temporanea, ma per quanto è stata prolungata avrebbe bisogno di un’organizzazione più stabile: per la riapertura dei varchi sono stati inviati circa 350 agenti e militari in più nelle tre province interessate, ma questi nella maggior parte dei casi non sono specializzati in controlli di frontiera (cosa che rende tutto più macchinoso) e non conoscono bene la zona, quindi non possono muoversi agevolmente sul resto del confine. Inoltre, visto che il ripristino dei controlli non è permanente, gli agenti e i militari in più restano ai controlli di frontiera solo per poche settimane, e poi si danno il cambio con altri. Nella provincia di Gorizia per esempio vengono mandate più o meno ogni due settimane tra le 60 e le 70 persone in più rispetto ai circa 30 agenti abituali che lavorano alla frontiera. È un costo non indifferente, perché sono persone che arrivano da tutta Italia e bisogna garantire loro il soggiorno, i pasti e un’indennità economica giornaliera.

Anche il sindacato dei carabinieri si è lamentato del fatto che venga usato il loro personale per rafforzare i controlli alle frontiere.

La giunta regionale finora ha risposto alle proteste con un finanziamento per acquistare strumenti che dovrebbero aiutare il lavoro degli agenti alla frontiera: tra questi i droni e le cosiddette “fototrappole”, cioè fotocamere posizionate nei percorsi dove passano i migranti che scattano una foto quando rilevano un movimento (sono quelle che vengono usate solitamente per osservare il passaggio di animali). Già più di un anno fa la giunta del Friuli Venezia Giulia annunciò con enfasi la consegna di 65 fototrappole alla polizia di frontiera, sempre con l’obiettivo di contrastare l’arrivo di migranti, ma in realtà non si sa bene che fine abbiano fatto: l’opposizione in consiglio regionale ne ha più volte chiesto conto, anche attraverso un’interrogazione regionale, senza ottenere risposte. L’assessore Roberti assicura che sono state consegnate, ma che «come vengono utilizzate non lo voglio nemmeno sapere».

Il sindacato di polizia dice di non saperne niente, e anche le associazioni sul territorio come l’ICS dicono di non avere notizia del loro utilizzo. «In ogni caso dopo che ho la foto di una persona che passa di lì, ma non ho la persona, cosa me ne faccio?», si chiede Alessandro Nencha del sindacato di polizia. Gianfranco Schiavone, studioso esperto di diritto dell’immigrazione e presidente dell’ICS, fa notare che per il diritto internazionale avere le immagini di migranti entrati in Italia scattate dalle fototrappole sarebbe solo un problema per la giunta del Friuli Venezia Giulia: se le istituzioni sanno che sono entrate persone nel paese, infatti, dovrebbero fornire a queste una corretta informazione sul loro diritto a chiedere asilo in Italia. «Paradossalmente, le fototrappole evidenzierebbero più velocemente la presenza di persone di cui doversi occupare e che non si possono rimandare indietro», dice Schiavone.

Un altro dei punti di Gorizia in cui passa il confine tra Italia e Slovenia (Il Post)

Infine, sostenere che grazie alla sospensione di Schengen siano diminuiti gli arrivi e che molti migranti siano stati respinti, come hanno fatto Piantedosi e Roberti, segnala in realtà un cortocircuito nel comportamento delle istituzioni. «È un paradosso», dice Schiavone, «perché il ripristino dei controlli non modifica le normative sull’accesso alla protezione internazionale», cioè sul diritto dei migranti di chiedere asilo in Italia. I migranti, insomma, hanno gli stessi diritti di prima di chiedere asilo in Italia, quindi promuovere un calo degli arrivi e un aumento dei respingimenti grazie a un maggior numero di controlli per Schiavone significa «inneggiare all’illegalità». Potrebbe voler dire che alle persone fermate ai varchi non sono state date informazioni adeguate su come chiedere asilo, come invece prescrive il diritto internazionale.

Molto dipende anche dai paesi di provenienza delle persone che arrivano: se non rientrano nella lista dei paesi che l’Italia considera “sicuri”, allora in teoria ci sono più possibilità che le loro richieste di protezione internazionale vengano accolte. Schiavone ha fatto una richiesta di accesso agli atti per sapere la provenienza delle persone che il ministero dell’Interno dice di aver respinto, ma non ha ancora avuto una risposta.

– Leggi anche: Il governo italiano ha ampliato la lista dei paesi “sicuri” per i migranti

Diversi altri paesi europei hanno sospeso il trattato di Schengen su parte dei loro confini, e alcuni a differenza dell’Italia citano esplicitamente l’immigrazione tra le ragioni del ripristino dei controlli alle frontiere. Dal punto di vista del diritto dell’Unione Europea la legittimità dei controlli ai migranti che arrivano è una questione complicata: i migranti hanno il diritto di chiedere asilo e i paesi devono metterli nelle condizioni di poterlo chiedere, ma allo stesso tempo i paesi hanno il diritto di garantire la propria sicurezza. Sono princìpi ampi, che ciascun paese interpreta in maniera diversa a seconda dell’orientamento e delle contingenze dei governi di turno.