I manifesti elettorali per le europee dicono molto di come stanno i partiti

La Lega è la più estrema, Fratelli d'Italia punta tutto su “Giorgia” e Forza Italia ancora su Berlusconi, mentre il PD rimane sul generico

(Mauro Scrobogna / LaPresse)
(Mauro Scrobogna / LaPresse)
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Entro il primo maggio i partiti politici dovranno presentare le liste dei candidati alle elezioni europee, per cui si voterà l’8 e il 9 giugno prossimi, ma già da alcune settimane le città italiane hanno cominciato a riempirsi di manifesti elettorali: alcuni promuovono direttamente i singoli candidati, altri più genericamente i partiti e i loro leader, con stili comunicativi riconoscibili e tra loro molto diversi, anche tra partiti di una stessa parte politica.

Alle elezioni europee infatti si vota con un sistema proporzionale puro, quindi non ci si presenta in coalizioni e ogni partito conta per sé, eleggendo parlamentari europei esclusivamente sulla base dei voti che prende: questo fa in modo che i partiti siano tutti in competizione tra loro, anche quelli che abitualmente si considerano alleati. Ancor più che in altre occasioni, insomma, nella campagna elettorale per le europee le scelte comunicative dei partiti mostrano bene su quali temi politici vogliano puntare per attrarre voti, e dicono molto del periodo che stanno attraversando in termini di consensi e umore.

Uno dei manifesti più sobri tra quelli proposti dalla Lega, con il leader del partito Matteo Salvini e allusioni alle sue politiche antiambientaliste da ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture (Matteo Nardone/Pacific Press via ZUMA Press Wire)

La Lega per esempio sta avendo ormai da tempo un grave calo di consensi, che a queste europee rischia di risaltare in modo particolare in confronto ai risultati di cinque anni fa: alle ultime europee del 2019 infatti fu nettamente il primo partito italiano e raggiunse il suo massimo storico di preferenze con oltre il 34 per cento dei voti, mentre oggi i sondaggi lo danno intorno all’8 per cento. Anche per questo ha impostato una campagna elettorale molto aggressiva nei toni, esasperando alcune delle sue battaglie più riconoscibili dell’ultimo decennio, tutte più o meno incentrate sull’euroscetticismo. Molto di questo calo di consensi dipende dalla sempre minore popolarità del leader del partito Matteo Salvini: secondo Dino Amenduni, che insegna comunicazione politica all’università di Perugia, questo è «l’ultimo tentativo che fa Salvini di smuovere l’elettorato euroscettico».

La sua infatti è una campagna molto simile a quella del 2019, nei temi e negli slogan, probabilmente proprio per il fatto che all’epoca funzionò. Amenduni dice che dopo cinque anni, «in un periodo storico diverso, è difficile che quella stessa formula funzioni di nuovo».

Una serie di manifesti molto presenti nelle città – soprattutto in Veneto – ha come slogan «Cambiamo l’Europa, prima che lei cambi noi», associato di volta in volta a immagini piuttosto violente nei confronti di singole persone o di categorie specifiche: come quella in cui si vede la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen vestita in uniforme militare, con il dito sulla bocca come per intimare il silenzio (apparentemente creata con un software di intelligenza artificiale).

O ancora quella decisamente islamofoba, e molto criticata, in cui la stessa frase è affiancata a una donna che indossa un hijab, il tradizionale velo islamico. Quest’ultima sembra alludere abbastanza apertamente alla teoria complottista della sostituzione etnica, una tesi razzista molto usata dall’estrema destra internazionale secondo cui esisterebbe una cospirazione globale per sostituire le persone bianche con quelle di altre etnie.

Secondo gli esperti di comunicazione politica il motivo per cui la Lega sta insistendo così tanto sui temi dell’estrema destra è che Fratelli d’Italia, per via del suo ruolo di principale forza politica del governo, sta cercando almeno in ambito europeo di assumere toni un po’ più istituzionali del passato, abbandonando la sua abituale retorica più estremista. Secondo Amenduni però c’è il rischio che la Lega «si appiattisca troppo sui vecchi temi di Fratelli d’Italia», e che gli elettori finiscano per percepirla come un suo «doppione», arrivando poi nel voto a «preferire l’originale».

Fratelli d’Italia invece sta puntando soprattutto sul consenso personale di cui ancora gode la sua leader e presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nonostante sia al governo ormai da un anno e mezzo. A differenza di Salvini, Meloni si è candidata alle europee e sarà capolista in tutte le cinque circoscrizioni in cui è suddivisa l’Italia per il voto (in tutta Italia quindi comparirà per primo il suo nome tra i candidati del suo partito), e poi in caso di elezione rinuncerà al ruolo da parlamentare europea perché in conflitto con quello di presidente del Consiglio: la sua candidatura serve insomma ad attrarre più voti possibili tra chi magari conosce meno gli altri candidati di FdI.

Amenduni dice che la scelta di Meloni è un tentativo di ottenere con questa elezione un grande consenso personale, come già successe nel 2014 a Matteo Renzi (che portò il Partito Democratico al 40,8 per cento) e a Salvini nel 2019 (che arrivò al 34). Entrambi quei successi elettorali però si rivelarono piuttosto deboli sul lungo periodo.

Anche in questo caso nei manifesti questo meccanismo è evidente, e riflette la richiesta fatta esplicitamente da Meloni agli elettori di indicare il voto nei suoi confronti scrivendo sulla scheda semplicemente “Giorgia”, senza il cognome. «Dal punto di vista pratico è inutile», dice Amenduni, «ma in generale è una forzatura che in questo momento forse neanche le serviva: può funzionare per dimostrare la propria forza nei rapporti interni alla maggioranza», ma se dovesse andare male «la sconfitta sarà molto più imputabile a lei perché si è esposta».

(ANSA/MATTEO CORNER)

Forza Italia invece, l’altro dei tre principali partiti di governo, fa ancora molta fatica a rendere la propria immagine indipendente da quella del fondatore del partito Silvio Berlusconi, morto lo scorso anno. L’attuale segretario Antonio Tajani è un leader meno carismatico e meno capace di accentrare le attenzioni rispetto al suo predecessore: per questo il partito ha ritenuto valida a livello comunicativo la scelta di proporre ancora l’immagine di Berlusconi nei manifesti elettorali, mantenendo persino il suo cognome nel simbolo.

(Mauro Scrobogna/LaPresse)

Tra i tre partiti di governo Forza Italia è quello che ha una storia di destra più moderata, sia in Italia sia soprattutto in ambito europeo, dove ha sempre fatto parte del Partito Popolare, il principale partito di centrodestra europeo: anche per questo la sua campagna elettorale pone esplicitamente il partito come «una forza rassicurante». Se la Lega è il partito che cerca di attrarre i voti dell’elettorato più di destra ed estremista tra quello che sostiene il governo, Forza Italia sta certamente cercando un consenso più “di centro” e “centrodestra”, marcando appositamente la distanza con i due alleati. Amenduni dice che è una linea comunicativa sensata, visto che l’elettorato più moderato è meno disposto a votare due partiti più marcatamente di destra come Lega e Fratelli d’Italia (nonostante la campagna di Fratelli d’Italia si stia dimostrando tutto sommato morbida nei toni).

Il Partito Democratico ha fatto invece una scelta completamente diversa e ha avviato una campagna elettorale sui manifesti senza il volto dei candidati, abbastanza coerente con la storia del partito che è da sempre contrario alle personalizzazioni: è il motivo per cui c’è stata una forte opposizione interna alla possibilità di mettere il cognome della segretaria, Elly Schlein, sul simbolo del partito per queste elezioni. «Negli ultimi vent’anni la personalizzazione della politica è stata più a destra che a sinistra, e l’elettorato progressista non la apprezza particolarmente», dice Amenduni.

I manifesti sono concentrati su temi molto generici: le liste d’attesa per una visita medica con la sanità pubblica, le critiche alla destra per la criminalizzazione dell’immigrazione, la necessità del salario minimo, il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Per quanto coerenti con lo stile del partito, questi manifesti sono stati comunque criticati perché ritenuti un po’ anonimi e non molto chiari e diretti. Anche l’equilibrio tra i vari elementi dei manifesti (foto, slogan, simbolo del partito) non è stato apprezzato da alcuni esperti di comunicazione. L’ultima volta che il PD provò a personalizzare la campagna elettorale fu con l’ex segretario Enrico Letta alle elezioni politiche del 2022, e i risultati furono deludenti.

Tra i partiti che si collocano nell’area di centrosinistra ci sarebbe poi il Movimento 5 Stelle, ma a parte alcune campagne locali su singoli candidati non sta facendo investimenti per una campagna sui manifesti, com’è abbastanza in linea con la tradizione del partito, che ha sempre preferito le campagne online.

Al centro invece Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda hanno fatto scelte ondivaghe e non del tutto coerenti: si presenteranno divisi nonostante facciano parte dello stesso gruppo al parlamento europeo; Renzi era stato il primo tra i leader politici a cominciare a riempire le città con manifesti col proprio volto ma poi aveva molto ridimensionato la propria presenza in campagna elettorale, per poi decidere solo all’ultimo di presentarsi con la lista Stati Uniti d’Europa, che riunisce vari partiti dell’area di centro; Calenda invece aveva detto inizialmente che non si sarebbe candidato, ma ha poi deciso di farlo seguendo l’esempio di altri leader politici come Meloni e Schlein. Non alleandosi, entrambi i partiti rischiano di restare sotto la soglia di sbarramento del 4 per cento, e quindi di non eleggere europarlamentari.