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  • Domenica 14 aprile 2024

Il declino della dinastia politica Gandhi in India

Il Partito del Congresso, di centrosinistra, ha governato per decenni, ma ora rischia di perdere non solo le prossime elezioni ma anche il ruolo di principale partito dell'opposizione indiana

Rahul Gandhi a Lucknow, capitale dell'Uttar Pradesh (AP Photo/Rajesh Kumar Singh, File)
Rahul Gandhi a Lucknow, capitale dell'Uttar Pradesh (AP Photo/Rajesh Kumar Singh, File)
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La prossima settimana in India inizierà il lungo processo elettorale per rinnovare completamente il parlamento del paese: sarà strutturato in sette fasi e durerà fino a inizio giugno. Il risultato non è in discussione: tutti i sondaggi danno largamente in vantaggio il partito di governo, il Bharatiya Janata Party (BJP) del primo ministro nazionalista induista Narendra Modi, e danno molto indietro la coalizione INDIA che unisce 26 partiti di opposizione. Le difficoltà dell’opposizione dipendono in larga parte dalla crisi di chi avrebbe dovuto guidarla, cioè l’Indian National Congress, il Partito del Congresso, storico partito di centrosinistra guidato da generazioni dalla famiglia Nehru-Gandhi.

Il Congress, come viene abitualmente chiamato il partito in India, non solo quasi certamente perderà le elezioni, ma rischia anche di perdere il ruolo di principale alternativa al BJP. È molto probabile infatti che in diversi stati venga superato da partiti regionali e formazioni politiche più piccole: il sistema elettorale indiano, che è un maggioritario puro, potrebbe infatti favorire questi partiti rispetto all’opposizione “tradizionale”.

Al centro del Congress continua a esserci la famiglia Gandhi. Nonostante non sia più presidente del partito dal 2019, Rahul Gandhi ne è il leader riconosciuto. Sonia Gandhi, la madre, è ancora considerata una figura centrale, Priyanka, sorella di Rahul, è segretaria generale (un ruolo creato recentemente) e potrebbe essere candidata per la prima volta, a 52 anni, in queste elezioni.

Priyanka e Rahul Gandhi, in Kashmir durante la “marcia per la democrazia” (AP Photo/Mukhtar Khan)

Quella di Rahul e Priyanka è la quarta generazione della “dinastia politica” dei Nehru-Gandhi, che hanno governato per decenni l’India. Jawaharlal Nehru fu il primo primo ministro indiano e governò fra il 1947 e il 1964. La figlia Indira fu prima ministra complessivamente per 16 anni in vari mandati fra il 1966 e il 1984: prese il cognome del marito, Feroze Gandhi, che era inizialmente Gandhy ma fu cambiato da quest’ultimo in onore del Mahatma Gandhi, con cui non aveva parentele. Dopo Indira venne il figlio Rajiv Gandhi, ucciso nel 1991 e sostituito alla guida del partito da Sonia, sua moglie, nata e cresciuta in Italia (andò a vivere stabilmente in India a 21 anni). Una decina di anni fa Sonia lasciò formalmente il posto a Rahul, restando però rilevante all’interno del partito.

L’ultima generazione dei Gandhi è anche quella più debole: il carisma personale di Rahul è sempre stato considerato limitato, la storia politica del Congress si è complicata per scandali e per un certo immobilismo politico, e la svolta autoritaria di Modi ha limitato molto gli spazi per l’opposizione. L’azione repressiva, attuata anche per via giudiziaria, si è spesso concentrata proprio sul principale partito di opposizione: ad agosto 2023 Rahul fu condannato a due anni di prigione per aver diffamato Modi (pena poi sospesa dalla Corte Suprema).

Alla riduzione degli spazi democratici si sono aggiunti problemi nella conduzione del partito. Sono stati riassunti all’agenzia Reuters da Chunni Lal Sahu, deputato dello stato del Chhattisgarh che nel 2023 è passato dal Congress al partito governativo BJP: «Invece di indagare le ragioni delle sconfitte, si è deciso di ignorarle. C’è un gruppo di persone che gestisce il partito come se fosse un’azienda privata a responsabilità limitata».

Sahu non è l’unico ad aver lasciato il Congress: il BJP dice che dal 2014 a oggi gli esponenti del Congress passati al partito di governo sono stati alcune migliaia. Le opposizioni sostengono però che alcuni di questi passaggi siano avvenuti dopo l’inizio di azioni giudiziarie contro i politici in questione, azioni che sarebbero poi state lasciate cadere dopo che questi politici avevano cambiato partito.

Al centro il presidente Mallikarjun Kharge, fra Sonia e Rahul Gandhi (AP Photo/Manish Swarup)

Nel 2022 il Congress scelse il suo nuovo presidente: Mallikarjun Kharge, allora ottantenne, molto vicino alla famiglia Gandhi, vinse piuttosto facilmente fra gli iscritti contro Shashi Tharoor, ex funzionario dell’ONU e sostenuto dalla componente più progressista e giovane del partito. Quell’elezione confermò ancora una volta la centralità della famiglia Gandhi sul partito.

A settembre Rahul Gandhi ha lanciato una lunga “marcia per la democrazia”, camminando per oltre 3.500 chilometri attraverso l’India: l’operazione è stata ripetuta il mese scorso, ma nonostante qualche temporaneo entusiasmo non sembra aver aumentato in modo sensibile il sostegno per il partito. Il Congress rischia di perdere anche in stati che erano considerati bacini elettorali sicuri, come l’Uttar Pradesh. In altri, in cui i cosiddetti partiti regionali sono più forti, ha provato a costruire alleanze: negli ultimi mesi però ci sono state importanti defezioni, causate soprattutto dalla difficoltà di mettersi d’accordo sulle candidature e sulle ripartizioni di collegi e seggi.

L’India è una repubblica federale e parlamentare: la Lok Sabha, la Camera del Popolo, è il ramo più importante del parlamento, mentre il Consiglio degli Stati di fatto regola i rapporti fra governo federale e stati. I 543 membri del Lok Sabha vengono eletti in altrettanti distretti, con elezioni maggioritarie: dimensioni, popolazione e differenze interne dell’India hanno favorito la nascita dei partiti regionali. In un panorama politico dominato dal BJP, anche con pratiche non totalmente democratiche, questo genere di formazioni politiche è spesso il principale o unico ostacolo al partito di governo, potendo contare su un forte sostegno a livello locale.

Due dei maggiori partiti regionali, il Trinamool Congress (TMC) e il Bahujan Samaj Party (BSP), hanno lasciato l’alleanza INDIA e hanno deciso di presentare propri candidati indipendenti. Il BSP rischia di complicare ulteriormente le cose per il Congress in Uttar Pradesh, mentre il Trinamool Congress è il partito maggioritario nel Bengala occidentale, sostenuto anche dalla popolazione musulmana, che nello stato arriva al 30 per cento del totale. Alle elezioni del 2019 elesse nel parlamento indiano 21 deputati contro i 52 del Congress.

Altri tre partiti ottennero risultati simili: il DMK (Federazione Dravidiana progressista) è attualmente l’alleato maggiore del Congress, maggioritario nello stato meridionale del Tamil Nadu e rappresentante dell’etnia tamil (23 deputati nel 2019). Lo YSR (Partito Congress dei giovani, dei lavoratori e degli allevatori) è radicato nello stato del sud dell’Andhra Pradesh, è di centrosinistra ma fuori dall’alleanza INDIA (22 deputati nel 2019); lo Shiv Sena governa dal 2019 il Maharashtra (stato centro-occidentale) da posizioni di destra e di nazionalismo indù ed è alleato del BJP.

La preparazione di un comizio del Congress a Delhi (AP Photo/Manish Swarup)

I partiti regionali sono almeno una cinquantina: negli ultimi anni alcuni hanno stretto accordi con il partito di Modi, altri invece sono un problema per il governo ma solo a livello locale, come il partito dell’Uomo Qualunque (AAP) nella capitale Delhi. Il leader dell’AAP Arvind Kejriwal è stato arrestato a fine marzo in seguito a un’indagine giudiziaria che le opposizioni considerano motivata politicamente.

I risultati di questi partiti regionali definiranno le dimensioni della vittoria del partito di governo e rischiano di acuire la crisi del Congress: un ulteriore ridimensionamento potrebbe anche segnare la fine della dinastia politica della famiglia Gandhi. È un’ipotesi che era già stata prospettata in passato: i tentativi di recuperare l’antico status sembrano però sempre meno efficaci. Una maggiore frammentazione politica è invece ben vista dal partito di Modi, che diventerebbe così l’unico vero grande partito nazionale.

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