Antonio Angelucci vuole anche l’AGI

Il deputato della Lega controlla già quasi tutti i giornali di destra: ora sta cercando di comprare la seconda agenzia di stampa del paese, ma ha un conflitto di interessi evidente e i dipendenti protestano

(ANSA/GUIDO MONTANI)
(ANSA/GUIDO MONTANI)
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Antonio Angelucci è un importante imprenditore italiano di 78 anni, che in decenni ha accumulato ricchezze soprattutto nel settore delle cliniche private. È molto attivo anche nell’editoria e negli ultimi anni è arrivato a controllare tre dei quattro maggiori quotidiani di destra italiani: Il GiornaleIl Tempo e, attraverso una fondazione, Libero, oltre ad alcuni locali del centro Italia. Negli ultimi giorni, dopo diverse indiscrezioni giornalistiche e parziali conferme dei diretti interessati, si sta parlando molto di un suo interesse a comprare anche l’AGI, la seconda agenzia di stampa italiana dopo l’ANSA.

È una possibilità per cui molti si dicono preoccupati e per cui stanno protestando animatamente sia i giornalisti dell’AGI che i partiti di opposizione in parlamento: non solo per il pericolo di una concentrazione di media troppo alta in un singolo proprietario, contraria alle norme italiane ed europee sul pluralismo e sulla libertà di stampa, ma soprattutto perché Angelucci è anche un parlamentare della Lega. Gli viene quindi contestato un possibile conflitto di interessi che metterebbe a rischio l’indipendenza della testata.

I giornalisti dell’AGI – sigla che sta per Agenzia Giornalistica Italia – hanno proclamato cinque giorni di sciopero durante i quali il sito della testata non è stato aggiornato, e hanno annunciato di voler combattere una «battaglia contro la vendita al gruppo Angelucci dell’AGI». Il loro timore è in sostanza che l’acquisto da parte di un politico di maggioranza con molti interessi influenzi la produzione giornalistica dell’AGI, «che per sua natura è oggi imparziale e autonoma da condizionamenti politici», dicono. Hanno anche fatto sapere di aver ricevuto dall’editore la conferma che ci sia stata «una manifestazione non vincolante di interesse» sull’acquisto dell’agenzia.

AGI è di proprietà di ENI, la maggiore azienda dell’energia in Italia e una delle più grandi al mondo, quindi non esattamente un editore senza interessi al di fuori dell’informazione. L’azionista di maggioranza di ENI peraltro è lo Stato italiano, attraverso il ministero dell’Economia e Cassa depositi e prestiti, quindi è difficile sostenere che l’agenzia sia del tutto avulsa da condizionamenti politici. In generale ENI ha da sempre una forte presenza su quasi tutti i giornali e media nazionali perché compra moltissima pubblicità, preziosissima per il sostentamento delle testate in tempi di grave crisi per l’editoria, e sembra poi beneficiare di una certa indulgenza quando ci sono notizie e soprattutto controversie che la riguardano. In ogni caso i giornalisti dell’AGI dicono che ENI «ha sempre garantito autonomia e indipendenza» all’agenzia.

Angelucci non è il primo parlamentare a possedere dei giornali, ma avere un’agenzia di stampa così grande e importante è un’altra cosa: le agenzie di stampa sono servizi che forniscono le notizie a chi dà le notizie, cioè ai giornali, che si abbonano in cambio dei cosiddetti “lanci” d’agenzia, notizie brevi e puntuali che vengono usate spesso come base da approfondire e arricchire per arrivare a farne articoli. Alle agenzie è richiesta la massima imparzialità e uno stile molto asciutto, in modo che poi i giornali possano decidere se e come dare il proprio stile o una certa interpretazione a una notizia. È a garanzia di questa auspicata indipendenza, per esempio, che la principale agenzia di stampa italiana, cioè l’Ansa, è di proprietà di una cooperativa composta da tutti gli editori dei quotidiani italiani. Tutto questo naturalmente vale in teoria: nella pratica i risultati possono variare.

Un’agenzia di stampa ha insomma una grande influenza su quello che pubblicano i giornali, perché sono spesso le agenzie a scegliere la gerarchia delle notizie e quali valorizzare, e i giornali ci fanno molto affidamento: il timore è che un editore che è anche un parlamentare voglia imporre una certa linea, e che questa poi finisca per emergere con più frequenza su tutti i giornali abbonati all’agenzia, finendo così per essere amplificata e influenzare anche i lettori. Normalmente invece un giornale di parte viene riconosciuto agevolmente come tale anche dai non addetti ai lavori. Non è un segreto, per esempio, che gli stessi giornali di Angelucci siano molto schierati a destra: poi un lettore può decidere o meno se comprarli in base a quella linea.

Alcune ricostruzioni giornalistiche in questi giorni hanno comunque fatto notare come l’AGI non fosse già esente da qualche condizionamento da parte della maggioranza: almeno da quando l’ex direttore Mario Sechi l’anno scorso passò a fare il capo ufficio stampa della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, mantenendo però secondo alcuni una certa influenza sulla produzione di notizie dell’agenzia e sul suo orientamento editoriale. Nel frattempo Sechi è passato a fare il direttore di Libero, sempre di Angelucci.

Ci sarebbe poi un altro grosso problema di conflitto di interessi per Angelucci, che riguarda il modo in cui si sostengono economicamente le agenzie di stampa: proprio per via del ruolo fondamentale che gli viene attribuito, la grandissima parte dei loro guadagni dipende da fondi diretti o indiretti dello Stato, con modalità stabilite dal governo di turno (in questo caso quello sostenuto da Angelucci). Quelli diretti sono in sostanza finanziamenti a fondo perduto che vengono assegnati sulla base soprattutto del numero di dipendenti di un’agenzia e della quantità di lanci prodotti (criteri contestabili perché esclusivamente “quantitativi”, con rari tentativi di valutare la qualità del lavoro). Quelli indiretti, minori, vengono invece dati attraverso gli abbonamenti al notiziario delle agenzie che fanno le pubbliche amministrazioni (regioni, comuni, ecc). Oltre a queste due, l’altra grossa fonte di ricavi per le agenzie sono gli abbonamenti dei giornali al loro notiziario.

La scorsa settimana il deputato Peppe Provenzano, del PD, ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Economia per chiedere se il governo non ritenga un’eventuale vendita di AGI ad Angelucci un problema per la pluralità dell’informazione. Tra le altre cose, durante il suo intervento alla Camera Provenzano ha evidenziato in particolare una contraddizione: AGI verrebbe venduta a un parlamentare della Lega da ENI, una controllata del ministero dell’Economia, il quale fa capo al ministro Giancarlo Giorgetti che è a sua volta vicesegretario della Lega.

Mercoledì Giorgetti ha risposto all’interrogazione dicendo che il ministero non ha alcun ruolo operativo in trattative di questo genere per l’AGI e che quindi non può nemmeno confermare che siano in corso. Ha però fatto notare come sia già problematico «che una società partecipata dallo Stato possegga un’agenzia di stampa». Non ha però detto se riterrebbe altrettanto problematico il passaggio di proprietà a un parlamentare della maggioranza.

Provenzano ha anche ricordato le regole dello European media freedom act, una legge europea da poco approvata secondo cui gli Stati membri dell’Unione dovrebbero evitare ampie concentrazioni di media in uno stesso editore, com’è il caso di Angelucci. La legge europea non fissa un limite al numero di testate che si possono possedere, quella italiana invece sì: stabilisce che la diffusione dei giornali di un editore non possa superare il 20 per cento della diffusione di tutti i giornali. Con Il GiornaleIl Tempo Libero Angelucci non ci arriva nemmeno vicino, mentre con AGI aggirerebbe direttamente la questione, perché essendo un’agenzia di stampa non può rientrare in questo calcolo, basato sulla diffusione dei giornali di carta.

La concentrazione di giornali e media in pochi editori in ogni caso non è un fenomeno che riguarda solo Angelucci: è sempre più frequente, in Italia e non solo, perché la crisi dei giornali ha fatto in modo che sempre meno imprenditori vogliano investire nel settore. Quelli che rimangono sono più disposti a farlo su larga scala per ragioni di convenienza economica, ma sono spesso anche editori con larghi interessi anche al di fuori dell’editoria e dell’informazione. Un altro esempio è il Gruppo Gedi che pubblica Repubblica e La Stampa: è della famiglia Agnelli-Elkann che è uno dei principali azionisti della grande azienda automobilistica Stellantis. Gli editori cosiddetti “puri”, cioè che di mestiere fanno solo quello, sono sempre più una rarità ovunque.

(ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)

Angelucci, comunque, formalmente non è proprietario nemmeno dei giornali che già controlla. Nell’autodichiarazione che tutti i deputati devono fornire in parlamento per dire se hanno altri lavori, incarichi o attività imprenditoriali, Angelucci si definisce semplicemente «parlamentare alla Camera». Questo è possibile grazie a un intricato sistema di società proprietarie di altre società, tutte però riconducibili a lui. A parte Libero, i giornali di Angelucci sono di proprietà di una società editoriale che si chiama Tosinvest, il cui presidente del consiglio di amministrazione è Giampaolo Angelucci (che insieme al padre gestisce le attività imprenditoriali della famiglia). Tosinvest invece è di proprietà di due aziende del Lussemburgo (Lantigos Spa e Lantigos SA) che di fatto sono controllate da Angelucci, ma solo indirettamente, perché le ha cedute come polizze sulla vita alla società Swiss Life, sempre sua. Significa che se muore quelle due aziende vanno agli eredi.

Libero invece è un discorso a parte, perché è formalmente di proprietà di una fondazione senza scopo di lucro, la Fondazione San Raffaele, di proprietà del gruppo Angelucci. Questa forma societaria viene usata strumentalmente per accedere ai contributi pubblici diretti ai giornali, per i quali Libero ha preso quasi 3 milioni e 400mila euro per il 2022 (ultimo anno per cui sono stati assegnati i fondi), nonostante i proprietari del giornale siano ben riconoscibili e siano imprenditori. Anche qui come parlamentare di maggioranza Angelucci ha un grosso conflitto di interessi, visto che è il governo a stanziare i fondi per i giornali. Tra novembre e dicembre dell’anno scorso Angelucci fece persino parte per quasi due mesi della commissione Cultura alla Camera, quella che si occupa proprio di fondi all’editoria.

Angelucci è deputato da ormai 16 anni, prima con i partiti di Silvio Berlusconi e poi dal 2022 con la Lega. Dalle dichiarazioni dei redditi risulta al momento il parlamentare più ricco in assoluto. In questi anni, comunque, in aula lo si è visto poco: negli anni da deputato è stato assente nel 99,8 per cento delle votazioni a cui avrebbe dovuto partecipare (i deputati partecipano in media a due votazioni su tre). Negli ultimi tempi ha iniziato un’espansione per certi versi inaspettata nell’editoria: Libero lo possedeva già dal 2001, nel 2016 prese anche Il Tempo e solo l’anno scorso Il Giornale. Oltre ad AGI, da mesi circolano notizie – da prendere con cautela ma con qualche concretezza – di un suo interessamento per Radio Capital, al momento del Gruppo Gedi.