Cos’è questa storia del “dossieraggio” su centinaia tra politici e personaggi noti

Intanto non si capisce se è davvero un “dossieraggio”, e altri aspetti sono ancora poco chiari: sono indagati tra gli altri un finanziere, un magistrato e tre giornalisti

Il ministro della Difesa Guido Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto (Kevin Dietsch/Getty Images)
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Negli ultimi giorni molti giornali sono tornati a occuparsi di un’inchiesta della procura di Perugia che ha indagato 16 persone, accusate di avere avuto accesso a informazioni riservate di politici e personaggi noti. I due principali accusati sono un tenente della Guardia di Finanza, Pasquale Striano, e il magistrato Antonio Laudati: entrambi sono stati in servizio per anni alla direzione nazionale antimafia, che controlla e coordina l’attività dei procuratori e della polizia giudiziaria che si occupano di criminalità organizzata sul territorio nazionale. Secondo l’accusa, Striano e Laudati avrebbero sfruttato le banche dati della direzione nazionale antimafia per ottenere notizie riservate e informazioni su centinaia di persone, soprattutto politici.

In realtà dell’esistenza di questa inchiesta si sa dall’agosto del 2023. Già sette mesi fa molti giornali diedero conto dell’indagine nei confronti di Striano e del meccanismo di accesso alle banche dati della direzione nazionale antimafia. Negli ultimi giorni sono emersi nuovi dettagli, in particolare una lunga lista di politici e personaggi “spiati” e il coinvolgimento di tre giornalisti del quotidiano Domani a cui Striano passava le informazioni.

Striano e Laudati sono accusati di falso, accesso abusivo a sistema informatico e abuso d’ufficio. Molte cose però non sono chiare, in questa inchiesta. I giornali hanno parlato di “dossieraggio”, un termine spesso utilizzato in riferimento a una raccolta di informazioni riservate fatta su commissione e a fini ricattatori, ma finora la procura di Perugia non ha spiegato quali siano le motivazioni che hanno spinto Striano a fare oltre 800 accessi al sistema informatico: e la comparsa del termine sui giornali sembra legata solo a una sua più generica accezione usata dalla procura di Perugia (una raccolta di informazioni per preparare delle inchieste). Dai primi accertamenti non sembra sia una questione di soldi, perché nessuno degli indagati è accusato di corruzione.

L’inchiesta fu aperta inizialmente dalla procura di Roma a cui Guido Crosetto, ministro della Difesa, aveva presentato un esposto. Crosetto si era rivolto alla procura dopo la pubblicazione di un articolo del quotidiano Domani che aveva rivelato i compensi ricevuti per alcune sue consulenze fatte ad aziende partecipate pubbliche legate all’industria delle armi, come Leonardo. Domani aveva ipotizzato un conflitto di interessi perché alcune delle consulenze erano proseguite anche dopo la nomina di Crosetto a ministro. Crosetto non querelò Domani per diffamazione perché le informazioni erano vere, ma presentò un esposto per chiedere alla procura di indagare sull’accesso a questi dati riservati.

Indagando la procura di Roma risalì alla fonte dei giornalisti del quotidiano Domani – Striano – e agli strumenti utilizzati per accedere alle informazioni: accesso che sarebbe avvenuto senza i necessari presupposti investigativi o motivazioni tali da giustificare la ricerca di quelle informazioni.

Striano lavorava all’ufficio che si occupa delle cosiddette SOS, le segnalazioni di operazione sospetta: sono le segnalazioni che le banche sono tenute a fare alla Banca d’Italia quando notano movimenti sospetti sui conti correnti, come grossi versamenti in contanti, bonifici provenienti dall’estero e in generale operazioni che non rientrano nelle abitudini di un certo correntista. Lo scopo è evitare operazioni di riciclaggio o scoprire eventuali fondi provenienti da attività criminali. Ogni anno vengono inviate oltre 100mila segnalazioni sospette che vengono valutate dalla direzione nazionale antimafia e girate alle procure del territorio.

Oltre ai dati delle SOS, sia Striano che Laudati potevano entrare in molte altre banche dati: Serpico, dell’Agenzia delle Entrate, che serve a controllare i redditi; SIVA, il Sistema Informativo Valutario, che serve a controllare operazioni finanziarie anomale, Infocamere con i dati del registro delle imprese oltre ovviamente alla banca dati Sidda/Sidna, utilizzata dalla direzione nazionale antimafia per controllare le indagini preliminari e i procedimenti in corso o chiusi dalle procure.

Secondo le ricostruzioni di diversi giornali, Striano avrebbe cercato informazioni su molti membri del governo. Nei giorni in cui Giorgia Meloni annunciò i ministri, a ottobre del 2022, Striano cercò dati sul ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, sulla ministra del Lavoro Marina Calderone e su Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione. Nel settembre del 2021 aveva già cercato informazioni su Francesco Lollobrigida, che poi diventerà ministro dell’Agricoltura, su Adolfo Urso, ora ministro delle Imprese e del Made in Italy, e sull’allora presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Tra gli altri, nell’elenco delle persone controllate da Striano ci sono anche sottosegretari e funzionari dei ministeri.

Oltre ai politici, Striano avrebbe avuto accesso a informazioni riservate di sportivi come l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri, il calciatore Cristiano Ronaldo e l’imprenditore ed ex presidente della Juventus Andrea Agnelli. Nella lista ci sono anche alcuni personaggi dello spettacolo tra cui il cantante Fedez. Le ricerche sarebbero state fatte successivamente a eventi o polemiche in cui erano coinvolte le persone cercate, utilizzando il sistema informatico della direzione nazionale antimafia come una sorta di motore di ricerca decisamente più potente di quelli ordinari.

Queste informazioni venivano poi inviate ad altre persone tra cui un investigatore privato, un amministratore di condominio, un ex ufficiale della Guardia di Finanza che ora lavorerebbe per la sicurezza di un’azienda privata e appunto tre giornalisti di Domani: Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine. Al momento, però, non si sa se Striano abbia inviato le informazioni di sua spontanea volontà o su esplicita richiesta.

Un’altra cosa che non si sa è quanti siano effettivamente gli accessi al sistema informatico, perché la procura di Roma fece un errore durante le indagini: il computer e lo smartphone furono sequestrati a Striano soltanto qualche giorno dopo l’interrogatorio. Quando la polizia giudiziaria arrivò a casa sua, Striano aveva già parlato con i magistrati, sapeva di essere indagato e aveva avuto il tempo di cancellare almeno in parte le comunicazioni.

Durante le indagini i magistrati di Roma si sono poi accorti che altri controlli con lo stesso sistema sarebbero stati fatti anche dal magistrato Antonio Laudati. L’inchiesta è stata quindi trasferita alla procura di Perugia, a cui competono le indagini che interessano magistrati in servizio a Roma.

Laudati ha 70 anni e in passato fu al centro di alcune polemiche quando era a capo della procura di Bari. Nel 2009, poco prima del suo arrivo, la procura si stava occupando di alcuni appalti nel settore della sanità. Tra gli indagati c’era anche un imprenditore, Gianpaolo Tarantini, che parlava al telefono di alcune feste organizzate a casa dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tarantini parlava con una donna, Patrizia D’Addario, ex candidata al consiglio comunale di Bari, che poi raccontò ai giornali e in televisione quello che sapeva su quelle feste. D’Addario raccontò di avere ricevuto soldi – nonché la stessa candidatura alle amministrative – grazie alla sua partecipazione ad alcune feste a casa di Berlusconi. Tarantini fu poi condannato a 2 anni e 10 mesi per aver portato tra il 2008 e il 2009 alcune escort nelle residenze di Silvio Berlusconi.

Laudati si impegnò molto per evitare fughe di notizie sulle indagini. Giuseppe Scelsi, il magistrato titolare dell’inchiesta su Tarantini, chiese il trasferimento per “attriti insanabili” con lui. Scelsi scrisse al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) lamentando il presunto tentativo da parte di Laudati di non fargli concludere l’inchiesta su Tarantini, in particolare il filone sulle feste organizzate a casa di Berlusconi. Per questo Laudati finì sotto inchiesta: ne uscì assolto in primo grado e in appello. Ci furono dei richiami disciplinari contro di lui, che però non ebbero conseguenze.

– Leggi anche: Il caso Laudati

Ora i magistrati di Perugia contestano a Laudati di aver aperto quattro istruttorie senza nessun presupposto investigativo. Secondo l’accusa, lo avrebbe fatto per se stesso e per alcuni amici.

Il caso personale sembra essere il più concreto. Laudati avrebbe ottenuto informazioni sugli affari dell’Ordine dei frati minori e della Lilium Maris, un’azienda in trattativa con l’Ordine per acquistare un vecchio convento in disuso a Santa Severa, vicino a Roma, per costruirci villette. Secondo la procura Laudati, proprietario di un immobile vicino al convento, non voleva nuove costruzioni in quell’area. Per questo con la collaborazione di Striano avrebbe dato informazioni al Messaggero e a Domani (“Vaticano, il convento dei francescani svenduto per costruire villette”, il titolo di un articolo) e avrebbe fatto una segnalazione alla stessa direzione nazionale antimafia nel tentativo di impedire la vendita. Quella segnalazione fu poi inviata alla procura di Roma.

Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo hanno chiesto di essere ascoltati in merito a questa inchiesta dal CSM, dalla commissione nazionale antimafia e dal Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che ha il compito controllare dall’esterno le attività dei servizi di intelligence e di verificare che siano svolte nel rispetto delle leggi e degli interessi nazionali.

Domani ha scritto che nelle contestazioni della procura non c’è traccia di ricerche su informazioni finanziarie relative alle dichiarazioni dei redditi o ai conti bancari di politici e imprenditori, o segnalazioni di operazioni sospette, ma ordinanze di custodia cautelare e informative delle forze dell’ordine già disponibili ai magistrati che indagano e agli avvocati difensori. Insomma, secondo Domani non si può parlare di dossieraggio.

I giornalisti di Domani sono accusati di accesso abusivo e rivelazione di segreto anche se la Costituzione e le leggi italiane garantiscono a giornali e giornalisti la possibilità di pubblicare qualsiasi informazione nell’esercizio del diritto di cronaca, purché questa sia di interesse pubblico e presentata entro certi limiti di pertinenza della notizia e continenza formale (in relazione al modo in cui viene scritta). Il direttore di Domani, Emiliano Fittipaldi, ha scritto che i suoi giornalisti sono tutti indagati per «una sola cosa: aver fatto bene il proprio lavoro, che è quello di trovare buone fonti, ottenere notizie segrete sui potenti di pubblico interesse, verificarle e infine pubblicarle».