Le indagini e il processo sulla nave Iuventa, dall’inizio

Più di 20 persone legate a tre ong sono accusate di favoreggiamento dell'immigrazione illegale: dopo più di sette anni, la procura ha chiesto il non luogo a procedere

(EPA/DOMENIC AQUILINA)
(EPA/DOMENIC AQUILINA)
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Il caso della nave Iuventa fu una delle più grandi inchieste svolte in Italia nell’ambito dei soccorsi in mare di migranti, che ha coinvolto tre ong, oltre venti imputati, una nave sequestrata e decine di pagine di intercettazioni.

L’indagine cominciò a settembre del 2016, quando fu presentata una denuncia che accusava diverse ong di essere coinvolte in episodi ambigui o sospetti legati alle operazioni di soccorso di migranti al largo delle coste libiche. La denuncia fu presentata da Pietro Gallo e Floriana Ballestra, due agenti di sicurezza che al tempo erano dipendenti della Imi Security Service, una società di sicurezza privata. I due, insieme al collega Lucio Montanino, furono ingaggiati per lavorare sulla nave Vos Hestia noleggiata da Save the Children, una delle ong più note tra quelle che operavano nel Mediterraneo centrale.

A settembre Gallo, Montanino e Ballestra salirono a bordo della nave per aiutare a gestire la sicurezza. Al tempo la Vos Hestia operava a poca distanza dalle acque territoriali libiche, insieme a imbarcazioni di altre ong. Nel giro di qualche settimana si resero conto che, a loro dire, l’attività delle ong era irregolare e andava denunciata: Gallo e Ballestra scrissero al Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (il Dis, cioè i servizi segreti); allo staff di alcuni politici, tra cui l’allora segretario della Lega Nord Matteo Salvini e il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista; e infine decisero di sporgere denuncia alla polizia.

L’accusa principale fu rivolta all’equipaggio della nave Iuventa, di proprietà della piccola ong tedesca Jugend Rettet: secondo Gallo e Ballestra l’ong aveva rapporti ambigui con i trafficanti e sembrava che fosse in combutta con loro per trasferire i migranti dalle imbarcazioni di fortuna su cui viaggiavano alla Iuventa. Partirono così le indagini.

Gallo continuò a lungo a passare informazioni alla Lega, ma in una successiva intervista al Fatto Quotidiano disse di «vergognarsi» di averlo fatto: «[Speravamo] che le nostre denunce, dal versante politico, portassero a una regolamentazione del ruolo delle ong nel Mediterraneo, non alla loro sparizione dai soccorsi».

A maggio del 2017 la polizia decise di inviare a bordo della Vos Hestia un proprio agente sotto copertura, come confermato in seguito anche da Save the Children e raccontato da un’approfondita inchiesta pubblicata dal sito The Intercept. Le indagini divennero pubbliche qualche mese dopo, a inizio agosto, quando i procuratori di Trapani ordinarono il sequestro della nave Iuventa.

Le indagini durarono quasi cinque anni. Tra le altre cose vennero intercettati molti giornalisti che non erano indagati ma si occupavano spesso di immigrazione: fu un fatto controverso, dato che la sorveglianza telefonica di persone non indagate dovrebbe essere fatta solo in casi rari ed eccezionali. Inoltre i rapporti confidenziali dei giornalisti con le loro fonti sono protetti dalla legge.

(ANSA/ELIO DESIDERIO)

In quegli anni si discuteva molto di immigrazione e soprattutto dell’operato delle ong, anche con tesi che poi sono state smontate dai fatti. Una di queste era quella del “pull factor”, secondo cui la sola presenza di navi delle ong nel Mediterraneo centrale incoraggerebbe i migranti a partire dalla Libia o dalla Tunisia. Per un certo periodo la tesi fu sostenuta anche da alcuni rapporti di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ma è stata smontata da tempo da diversi esperti e non viene più citata nemmeno da Frontex nei documenti interni che condivide coi governi europei.

Ad aprile del 2017 l’allora vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (del Movimento 5 Stelle) definì per la prima volta le ong come «taxi del Mediterraneo», un’espressione dispregiativa che poi è stata spesso utilizzata da chi critica le operazioni di soccorso. Sempre in quel periodo si parlò molto anche delle accuse presentate dal procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che in più occasioni disse di essere certo dell’esistenza di collegamenti tra ong e gruppi di scafisti, pur specificando di non avere prove utilizzabili in un eventuale procedimento giudiziario. Le accuse si sono rivelate poco solide.

– Leggi anche: Il vero “pull factor” per i migranti è il meteo

Le indagini sul caso Iuventa si conclusero nel 2021. Fu il primo caso di questo tipo ad arrivare alla fase dell’udienza preliminare, che cominciò nel maggio del 2022. Vennero coinvolte 21 persone che tra il 2016 e il 2017 avevano lavorato a bordo della Iuventa, della Vos Hestia e anche della Vos Prudence, un’altra nave gestita dall’ong Medici Senza Frontiere. Sono persone che guidavano le navi o avevano organizzato le missioni, oppure che semplicemente si trovavano a bordo nei giorni di alcuni episodi giudicati particolarmente sospetti dalla procura. Furono indagate anche Medici Senza Frontiere, Save the Children e Vroon Offshore Services, la società armatrice che noleggiò alle ong le navi Vos Hestia e Vos Prudence.

L’accusa principale è quella di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, un reato secondo cui è punito con il carcere chi «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato». Secondo l’accusa le ong si accordavano segretamente con i trafficanti di esseri umani in Libia e concordavano l’orario e il luogo in cui farsi trovare per raccogliere i migranti che partivano dalle coste libiche a bordo delle proprie navi.

Attivisti ed esperti di diritti umani su una nave con uno striscione con la scritta “Free Iuventa” (Britta Pedersen/dpa-Zentralbild/dpa)

La difesa ha sempre smentito le accuse. Poco dopo l’inizio della fase preliminare del processo Nicola Canestrini, uno degli avvocati che difendevano Jugend Rettet, disse che studiando le carte processuali non aveva trovato «nessun contatto» fra l’equipaggio della Iuventa e «persone coinvolte nelle tratte degli esseri umani in Libia, nonostante siano stati analizzati a fondo computer e cellulari» degli indagati. Canestrini sostenne che il processo avesse una natura «politica», e che il suo obiettivo fosse quello di dare una forma concreta alle accuse che diversi partiti politici negli anni avevano rivolto alle ong che soccorrevano le persone nel Mediterraneo.

Uno dei principali episodi contestati, di cui si parlò molto sui giornali, riguarda la presunta riconsegna di alcune imbarcazioni usate per trasportare migranti fatta dall’equipaggio della Iuventa ai trafficanti libici. Nel decreto di sequestro preventivo della nave si legge che il 18 giugno del 2017 alcuni membri dell’equipaggio «riconsegnavano, dopo averle legate fra loro» tre imbarcazioni «ai trafficanti libici», una delle quali sarebbe poi stata riutilizzata pochi giorni dopo, il 26 giugno. Le foto della presunta riconsegna di questa imbarcazione furono pubblicate dai principali giornali italiani e sono online ancora oggi. Questa accusa fu smentita nel 2018 da una dettagliata inchiesta di Forensic Architecture, un gruppo di lavoro dell’università di Londra.

La fase dell’udienza preliminare è durata quasi due anni. Il 28 febbraio la procura di Trapani, la stessa che aveva formulato le accuse, ha chiesto il non luogo a procedere e il dissequestro della nave Iuventa, che ormai è diventata inutilizzabile. La decisione del GUP dovrebbe arrivare verso metà aprile (e non a inizio marzo, come inizialmente annunciato). Negli anni le indagini sono state estese anche ad altre procure, che però con tutta probabilità seguiranno la decisione presa dai giudici di Trapani, dove si è svolta la parte principale della vicenda.