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  • Lunedì 19 febbraio 2024

Invitalia ha chiesto l’amministrazione straordinaria per l’ex ILVA

La richiesta è stata fatta al ministero delle Imprese e del Made in Italy dopo mesi di negoziazioni fallite, mentre Acciaierie d'Italia ha chiesto il concordato preventivo

(ANSA/LUCA ZENNARO)
(ANSA/LUCA ZENNARO)
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Domenica Invitalia ha chiesto formalmente al ministero delle Imprese e del Made in Italy di attivare la procedura di amministrazione straordinaria per Acciaierie d’Italia, la società che gestisce lo stabilimento di produzione di acciaio noto come ex ILVA di Taranto, il più grande in Europa, e altri in Liguria, Piemonte e Veneto. Invitalia, la società che si occupa degli investimenti dello Stato, controlla il 32 per cento dell’ex ILVA, mentre il restante 68 per cento è di proprietà della multinazionale franco-indiana ArcelorMittal, che però da tempo non vuole più investire negli impianti.

L’amministrazione straordinaria è la procedura del diritto fallimentare che permette alle aziende in crisi di restare operative concordando con un tribunale un piano di risanamento dei debiti. Finora ArcelorMittal si era sempre opposta alla possibilità di attivare l’amministrazione straordinaria, mentre il governo italiano è favorevole, soprattutto per evitare di dover chiudere l’impianto e dover gestire migliaia di licenziamenti. L’ex ILVA infatti è in crisi da anni, ma di recente ha iniziato ad avere un grosso problema di liquidità e la maggior parte dei suoi impianti si è gradualmente dovuta fermare.

Lo scorso anno il governo aveva approvato un decreto-legge che stabiliva che, in caso di aziende ritenute “strategiche”, l’azionista pubblico con almeno il 30 per cento delle quote avrebbe potuto chiedere l’amministrazione straordinaria senza l’assenso degli altri soci. Il governo stava cercando da tempo di attivare la procedura: ArcelorMittal aveva fatto ricorso invocando l’incostituzionalità del provvedimento, ma era stato respinto dal tribunale di Milano.

ArcelorMittal ha chiesto che venga invece presa una misura alternativa: il concordato preventivo con riserva, un’altra procedura che si può attivare in presenza di grossi debiti per provare a evitare il fallimento di un’azienda. Il concordato, in particolare, prevede che l’azienda in questione (ArcelorMittal) provi a negoziare con i creditori una ristrutturazione del debito.

La storia dell’ex ILVA è piuttosto complessa. ArcelorMittal comprò lo stabilimento all’asta nel 2018, prendendosi il compito di risanare una società molto compromessa da anni di indagini per danni ambientali. Da allora la multinazionale ha però fatto pochi investimenti per rilanciare la produzione, non rispettando le promesse fatte al momento dell’acquisizione per via delle decisioni del governo di Giuseppe Conte che cancellò il cosiddetto scudo penale compromettendo i presupposti del contratto. Alla fine del 2020 lo Stato aveva deciso di tornare nella società per non lasciare il controllo dell’impianto più importante di un settore strategico come la siderurgia, e per evitare le conseguenze sociali di una chiusura.

Negli ultimi mesi il governo ha cercato in più occasioni di convincere ArcelorMittal a fare nuovi investimenti nell’acciaieria, senza riuscirci: a inizio gennaio le due parti si erano di nuovo incontrate, senza trovare nessun accordo.

– Leggi anche: Lo Stato e ArcelorMittal non si sono messi d’accordo sull’ex ILVA

Inizialmente sembrava che le possibilità per il futuro dell’ex ILVA fossero due: quella più conveniente per lo Stato era la separazione consensuale, cioè l’acquisizione delle quote di ArcelorMittal tramite un accordo economico. Questo avrebbe permesso allo Stato di tornare in possesso dell’azienda per tutelarne il valore produttivo e i posti di lavoro, e ad ArcelorMittal di rifarsi almeno in parte del suo investimento finanziario. L’accordo però non è mai stato trovato.

L’altra opzione è appunto l’amministrazione straordinaria che consentirebbe di tenere aperta l’azienda ma rischierebbe di aprire un lungo contenzioso legale tra le due parti in causa, dato che lo Stato e ArcelorMittal hanno qualcosa da recriminarsi l’un l’altro relativamente ai mancati investimenti promessi in passato. Un contenzioso, inoltre, renderebbe ancora più incerto il futuro dello stabilimento e porterebbe a un blocco immediato dei pagamenti dei fornitori, con conseguenze pesanti per l’occupazione.