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  • Venerdì 22 dicembre 2023

L’ex ILVA di Taranto si sta fermando

Per la prima volta nella storia della fabbrica è rimasto in funzione solo un altoforno e la produzione si è più che dimezzata

(Ansa/Manuel Dorati)
(Ansa/Manuel Dorati)
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Dalla scorsa estate l’ex ILVA di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, ha rallentato molto la produzione di acciaio. Su quattro altiforni, i grandi impianti usati nelle acciaierie per produrre ghisa e acciaio a partire da minerali di ferro e carbone, da dicembre ce n’è attivo soltanto uno. Già da agosto però quelli funzionanti erano rimasti due, e le conseguenze sono state evidenti: nel 2023 l’acciaio prodotto nello stabilimento non raggiungerà i tre milioni di tonnellate, mentre negli anni precedenti la media era stata di 7 milioni di tonnellate. Se per tutto il 2024 dovesse funzionare un solo altoforno si prevede un’ulteriore riduzione nella produzione, che i sindacati stimano in 1,7 milioni di tonnellate di acciaio.

Un tempo l’ILVA ebbe cinque altiforni, ma uno (il numero 3) fu demolito nel 2019 dopo essere rimasto spento 25 anni. Quelli attualmente inattivi invece hanno interrotto la produzione soprattutto per interventi di manutenzione, resi necessari dal deterioramento della struttura, o per il loro eccessivo impatto ambientale: non è ben chiaro fino a che punto le difficoltà economiche dell’azienda abbiano ritardato gli interventi e peggiorato la situazione. In tutta la sua storia l’ex ILVA non è mai arrivata ad avere un solo altoforno funzionante, e far ripartire quelli inattivi, se possibile, sarà complicato e delicato.

L’ex ILVA ha una storia molto travagliata. È in crisi da molti anni ma è considerata troppo grande e strategica per essere lasciata fallire, e allo stesso tempo la sua presenza a Taranto è da tempo contestata per l’inquinamento che produce e i rischi per l’ambiente e la salute delle persone. Nel 2020 venne rilevata da Acciaierie d’Italia, una società posseduta al 62 per cento dalla multinazionale franco-indiana ArcelorMittal e per la restante parte da Invitalia, che si occupa degli investimenti dello Stato italiano. Alla fine di dicembre del 2022 il governo aveva concesso un prestito di 680 milioni di euro ad Acciaierie d’Italia (il decimo fatto con soldi pubblici all’ex ILVA) per evitare un altro fallimento dopo quello del 2015 (quando ancora si chiamava ILVA).

In queste settimane però sembra di nuovo essersi fatta concreta la prospettiva di una chiusura, perché ArcelorMittal ha detto che non intende pagare i debiti contratti finora. Mercoledì il governo ha incontrato i sindacati e ha assicurato che «sarà garantita la continuità aziendale». Venerdì invece c’è stato il terzo incontro in un mese tra i soci di Acciaierie d’Italia: sembrava si dovesse decidere se e come coprire i debiti dell’azienda, ma i rappresentanti di Invitalia non si sono presentati ed è stato fissato un nuovo consiglio di amministrazione per il prossimo 28 dicembre. Una delle ipotesi più accreditate è che Invitalia decida di convertire il prestito dello scorso anno di 680 milioni nell’acquisto di quote societarie, prendendo così la maggioranza delle azioni e il controllo dell’azienda. In un secondo momento potrebbe fare un aumento di capitale per pagare le bollette del gas e i debiti, contratti soprattutto con i fornitori: a dicembre non saranno pagati stipendi e tredicesime ai circa 10mila dipendenti delle aziende dell’indotto, cioè quelle il cui lavoro dipende in gran parte dall’ex ILVA.

All’inizio di dicembre l’azienda aveva fermato l’altoforno 2 per quella che aveva definito una «manutenzione programmata». “Fermare” un altoforno è diverso da spegnerlo: nel secondo caso ci vogliono diverse settimane, dal momento che l’impianto lavora a una temperatura di duemila gradi e dev’essere del tutto raffreddato. Per questo, nei casi in cui serve solo un intervento di manutenzione temporaneo solitamente l’impianto si “ferma” e basta, cioè smette di produrre ghisa ma continua a essere riscaldato e resta a circa mille gradi.

L’altoforno 2 funzionava già in modo intermittente per via di frequenti incidenti. Il sito VeraLeaks, che segue spesso con articoli, foto e video di denuncia le vicende dell’ex ILVA, ha scritto che l’altoforno 2 ha «gravi problemi alla corazza», cioè la parte esterna della struttura, che diventa incandescente nella parte inferiore perché il rivestimento interno in mattoni refrattari (cioè resistenti ad alte temperature) è molto usurato. «Si rischia che la ghisa buchi la corazza metallica esterna», ha scritto ancora VeraLeaks. «In passato, almeno un paio di volte, il problema era stato tamponato mettendo delle toppe con il cemento, ma ormai questo altoforno è a fine campagna», dice il direttore di VeraLeaks Luciano Manna.

Nel 2015 l’altoforno 2 fu sequestrato dai magistrati dopo la morte di un operaio, Alessandro Morricella, investito da una fiammata mista a ghisa incandescente. La procura di Taranto ordinò di fermarlo e poi spegnerlo, ma il tribunale del riesame sospese la procedura di spegnimento, accogliendo un ricorso dei commissari straordinari dell’ILVA.

L’attuale fermo dell’altoforno 2 è stato invece deciso nei giorni in cui i soci di Acciaierie per l’Italia si incontravano per decidere il futuro dello stabilimento e per evitare il secondo fallimento nel giro di pochi anni. Nella prima riunione dei soci, il 23 novembre, ArcelorMittal aveva detto di essere indisponibile a rifinanziare l’ex ILVA. La riunione era stata aggiornata al 6 dicembre, ma i soci non erano riusciti a trovare un accordo e avevano di nuovo rimandato tutto al 22 dicembre.

Nel frattempo l’acciaieria ha ridotto molto la sua attività, anche se il rallentamento era cominciato già ad agosto, quando Acciaierie d’Italia aveva fermato l’altoforno 1, questa volta per installare un filtro che nelle intenzioni dovrebbe diminuire le emissioni inquinanti. Per Manna però questa procedura sarebbe «una scusa» per arrivare gradualmente a spegnere l’altoforno, «perché ha seri problemi e avrebbe bisogno di una manutenzione straordinaria». VeraLeaks ha denunciato due incidenti avvenuti a novembre del 2022 e a marzo del 2023 nell’altoforno 1: sono esplose delle tubiere, cioè le corone di tubi dalle quali esce l’aria calda per la combustione, e c’è stata di conseguenza «la fuoriuscita di ghisa liquida sul piano di colata».

Attualmente l’unico in funzione è l’altoforno 4, ma dovrà essere a sua volta fermato per cambiare i cuscinetti dei rulli del nastro trasportatore, dove nel 2016 morì un operaio di 25 anni di una ditta dell’indotto, Giacomo Campo, durante un intervento di riparazione. Per la morte di Campo sono stati rinviati a giudizio sei funzionari dell’ILVA, tra cui il caporeparto, e tre dipendenti della Steel Service, la ditta in cui l’operaio lavorava. Sono accusati di omicidio colposo e di violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. A settembre c’è stato un incidente analogo: non sono morte persone, ma il fermo per riparare i rulli è considerato necessario.

Secondo Manna, che cita fonti interne all’azienda, i cuscinetti saranno sostituiti da altri cuscinetti «usati», presi da un altro nastro trasportatore dell’acciaieria perché l’azienda non ha i soldi per comprarne di nuovi. L’altoforno 4 è considerato quello con più problemi e il più pericoloso. Tra il 13 e il 20 novembre VeraLeaks ha pubblicato una serie di immagini in cui si vede una grossa colonna di fumo che esce dalla ciminiera: era un evento anomalo ma non era stato segnalato al Comune, come invece dovrebbe succedere per fare in modo che il sindaco possa valutare eventuali interventi, come la chiusura delle scuole o ordinare alla popolazione di tenere le finestre chiuse. La denuncia ha provocato l’intervento dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA), ma l’altoforno non è stato fermato.

L’altoforno 5 è invece stato spento nel 2015 perché inquinava troppo e non ottenne l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA). Fu imposto di chiuderlo e ricostruirlo, ma finora è stato solo chiuso. Era il più grande di tutti e per molti anni è stato il simbolo dell’inquinamento provocato dalla fabbrica nel vicino quartiere Tamburi di Taranto. Secondo i vertici di ArcelorMittal, una sua riattivazione consentirebbe alla fabbrica di tornare a produrre come prima. In un tavolo di lavoro al ministero delle Imprese e del Made in Italy il 19 gennaio di quest’anno, l’amministratrice delegata di ArcelorMittal, Lucia Morselli, ha detto che l’azienda avrebbe investito sulla sua riapertura. L’annuncio finora non ha avuto alcun seguito.