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  • Giovedì 15 febbraio 2024

La crisi della chianina

Nell'ultimo anno le vendite della sua carne sono diminuite del 20% e gli allevatori toscani dicono che i costi per mantenere le mucche hanno superato i ricavi

Una mucca di razza chianina
Una mucca di razza chianina (Uwe Anspach/Ansa)
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Nell’ultimo anno le vendite della carne di chianina, una razza di mucche allevate principalmente in Toscana tra le province di Arezzo e Siena, sono calate del 20 per cento. È stato il calo più significativo degli ultimi anni, che ha causato tra le altre cose una diminuzione dei prezzi con effetti su tutta la filiera, fino alla ristorazione: la carne di chianina infatti è considerata molto pregiata e la si usa spesso per fare la bistecca alla fiorentina, uno dei piatti più celebri della cucina toscana. La crisi della chianina ha diverse ragioni e si ripercuote soprattutto sugli allevatori del Centro Italia, che stanno accumulando mucche nelle stalle perché diventate ormai poco ambite per il mercato.

La chianina è una delle razze bovine italiane più note. Le altre sono la piemontese (tra cui rientra la fassona), la romagnola, la marchigiana, la maremmana. Era una razza conosciuta già nell’antichità, veniva utilizzata dagli etruschi e dai romani per i lavori nei campi e in generale per trainare carri. Come si può facilmente intuire dal nome, la chianina è originaria della Val di Chiana, che si trova tra il lago di Chiusi e quello di Montepulciano, nelle province di Arezzo e Siena in Toscana, e di Perugia e Terni in Umbria.

Le mucche di razza chianina sono di taglia grande e la loro carne è magra, con sottili fibre muscolari. La sapidità della carne di chianina dipende soprattutto dai tempi di frollatura, cioè un processo di stagionatura in frigorifero che rende la carne più tenera e saporita. Per la bistecca alla fiorentina servono almeno dieci giorni di frollatura, ma generalmente il tempo va da trenta a quaranta giorni e alcune macellerie e ristoranti propongono frollature anche molto più lunghe.

L’allevamento delle mucche di razza chianina per produrre carne certificata è regolato da un disciplinare approvato dall’Unione Europea e controllato dal consorzio “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP”, di indicazione geografica protetta. Le regole definiscono l’area in cui le mucche devono essere allevate e da cui devono provenire i foraggi utilizzati per l’alimentazione, oltre alle norme per la macellazione.

Secondo le associazioni che rappresentano gli allevatori, nell’ultimo anno l’allevamento di questa razza è diventato insostenibile perché i costi per la cura e l’alimentazione delle mucche hanno superato i ricavi. «L’allevamento delle mucche di razza chianina è molto più complicato rispetto alle altre: è come paragonare un cavallo da corsa, purosangue, e un bardotto», dice Marcello Polverini, allevatore della Valtiberina (il bardotto è un incrocio tra un cavallo e una femmina di asino). «La gestione richiede molta attenzione. Negli ultimi due o tre anni c’è stata una crisi di mercato enorme, abbiamo le stalle piene, non riusciamo a vendere questa eccellenza».

Nel giro di un anno il prezzo per un chilo di chianina è diminuito da 8,5 euro a circa 7,5, e nonostante la carne costi di meno sono calate molto anche le vendite, di circa il 20%. Secondo la sezione di Arezzo dell’associazione CIA – Agricoltori Italiani, le ragioni della crisi sono molte. La principale riguarda le abitudini alimentari delle persone, in particolare la tendenza a mangiare meno carne.

La gran parte delle persone che scelgono di mangiare meno carne lo fa per diversi motivi: c’è una maggiore consapevolezza delle sofferenze inflitte agli animali negli allevamenti intensivi, ed è ormai noto che ridurre il consumo di carne è un comportamento individuale utile a limitare le emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale. C’è poi chi lo fa per ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiache e certi tipi di tumore che possono essere legati al consumo abituale di alimenti come la carne processata.

Moltissimi studi scientifici realizzati negli ultimi anni hanno confermato che mangiare meno carne porta benefici all’ambiente e alla salute. Un rapporto realizzato nel 2019 dalla ong EAT assieme all’autorevole rivista scientifica Lancet, per esempio, ha proposto una serie di cambiamenti nella dieta globale per migliorare la salute delle persone e aumentare la sostenibilità della produzione di cibo. Il rapporto consiglia un raddoppio nei consumi di alimenti come frutta, verdura, legumi e frutta a guscio, e una riduzione superiore al 50 per cento del consumo mondiale di prodotti come gli zuccheri aggiunti e la carne rossa, «soprattutto mediante la riduzione dell’eccessivo consumo nei paesi più ricchi».

– Leggi anche: Un po’ di risposte sulla carne e il cancro

Secondo il rapporto, la versione ottimale della “dieta della salute planetaria” prevede di non consumare affatto carne rossa, a patto di ricavare la giusta quantità di proteine da altre fonti. «Mangiamo meno carne, che non fa troppo bene, ma mangiamo una carne di altissima qualità come la chianina», continua Polverini. «Per questo invito i consumatori a chiedere al macellaio la carne marchiata dal consorzio IGP».

Un altro motivo del calo legato alle abitudini dei consumatori riguarda la diffusione dei supermercati e la progressiva diminuzione delle macellerie. Molti supermercati, infatti, non sono attrezzati per la frollatura e di conseguenza non propongono la chianina. Anche le regole sulla denominazione non aiutano gli allevatori: un hamburger può essere definito “di chianina” anche se è composto soltanto per il 20 per cento di carne di razza chianina. Questo stratagemma commerciale limita inevitabilmente le vendite di carne certificata.

Infine la CIA – Agricoltori Italiani ha rilevato anche un fenomeno di speculazione a danno degli allevamenti medi e piccoli. Nell’ultimo anno alcuni grandi produttori hanno immesso sul mercato carne sottocosto, a prezzi insostenibili per la maggior parte degli altri allevamenti. «Quando saranno padroni del mercato, potranno fare coi prezzi quello che vorranno», ha detto Massimiliano Dindalini, direttore della CIA di Arezzo. Secondo l’associazione, c’è il rischio che nei prossimi anni la filiera della chianina sarà molto più concentrata e gestita da pochi grandi allevamenti, con conseguenze sia sul prodotto che sull’economia del territorio di origine della razza.