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  • Venerdì 2 febbraio 2024

I civili di Gaza potrebbero dover abbandonare anche Rafah

È uno dei pochissimi posti non ancora occupati da Israele, ma la situazione umanitaria è gravissima e si teme un'offensiva militare anche lì

diverse persone che portano dei fagotti, davanti a delle macerie
Persone in fuga da Khan Yunis (AP Photo/Fatima Shbair)
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Negli ultimi mesi metà dei circa 2,3 milioni di abitanti della Striscia di Gaza ha lasciato la propria casa è si è rifugiata nella zona di Rafah, nel sud della Striscia a ridosso del confine con l’Egitto: Rafah è una delle ultime due città dove l’esercito israeliano non è ancora arrivato, benché sia comunque oggetto di grossi bombardamenti. Più di un milione di persone vive in grandi tendopoli improvvisate, o negli edifici pubblici, a cui manca ormai buona parte dei servizi.

Il trasferimento di centinaia di migliaia di persone verso Rafah è stato reso necessario dagli attacchi sempre più intensi di Israele su Khan Yunis, la città principale del sud della Striscia, dove a sua volta si era rifugiata buona parte della popolazione di Gaza. Giovedì sera però il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto che il prossimo obiettivo dell’esercito sarà proprio Rafah: le persone che si sono rifugiate lì ora si aspettano un’offensiva israeliana da un momento all’altro. Alcuni edifici di Rafah sono stati bombardati da Israele già venerdì. Un imprenditore di 55 anni sentito da Reuters e citato solo con il nome di Emad ha detto che «quando arriveranno i carri armati israeliani» le persone che si sono rifugiate a Rafah avranno due scelte: «Rimanere e morire, o scavalcare il muro di confine con l’Egitto».

La guerra fra Hamas e Israele è iniziata lo scorso 7 ottobre, con gli attacchi senza precedenti del gruppo radicale palestinese contro Israele, in cui furono uccise circa 1.200 persone e altre 253 furono portate nella Striscia come ostaggi. La prima fase dell’invasione israeliana, avviata in risposta all’attacco, si era concentrata sulla città di Gaza, nel nord della Striscia. Tantissime persone si erano quindi spostate verso Khan Yunis, seguendo gli ordini di evacuazione israeliani. Da allora molte di loro hanno dovuto mettersi in viaggio per andare ancora più a sud – appunto verso Rafah – per cercare un rifugio altrove.

Secondo i dati del ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas che governa la Striscia dal 2007, da quando è iniziata la guerra più di 27mila persone palestinesi sono state uccise.

– Leggi anche: Gli attacchi di Israele agli ospedali di Khan Yunis

Rafah era da tempo meta di molti palestinesi in fuga, ma a poco a poco il loro numero è aumentato molto per via degli attacchi su Khan Yunis. La vicinanza dell’Egitto e la presenza in città di uno dei due varchi di confine aperti della Striscia (l’altro è quello di Kerem Shalom, riaperto solo a metà dicembre) hanno reso Rafah un posto migliore di altri in cui rifugiarsi. Nelle aree vicine al muro di confine è possibile avere un po’ di campo per provare a contattare con il cellulare i propri cari (fin dall’inizio della guerra le comunicazioni nella Striscia sono state molto difficoltose). Inoltre dal varco sono potuti entrare i pochi aiuti umanitari per i palestinesi della Striscia dopo il 7 ottobre.

La situazione umanitaria rimane comunque estremamente grave, sia a Rafah sia nel resto della Striscia. Oltre alla difficoltà di far entrare nella Striscia gli aiuti umanitari, molti paesi occidentali hanno detto di aver sospeso i finanziamenti per l’Agenzia dell’ONU per i profughi palestinesi (UNRWA), dopo che alcuni suoi dipendenti erano stati accusati di essere coinvolti negli attacchi del 7 ottobre. L’UNRWA ha detto che se i finanziamenti non saranno ripristinati fra meno di un mese non potrà più lavorare. L’agenzia offre assistenza umanitaria, istruzione e cure mediche alle persone che vivono nei campi profughi palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, in Siria, Giordania e Libano.

– Leggi anche: Cos’è e cosa fa l’UNRWA

Di recente alle difficoltà causate dalla guerra si sono aggiunte quelle portate dalle forti piogge. Le persone che vivono nei campi profughi spesso non hanno la possibilità di scaldarsi, vivono in tende molto leggere e non impermeabili piantate su terreni senza sistemi di drenaggio, che quindi si allagano facilmente.

– Leggi anche: Il video che mostra alcuni soldati israeliani armati in un ospedale della Cisgiordania