Dopo tre mesi la NASA ha infine aperto il suo barattolo

Quello della missione OSIRIS-REx con i frammenti prelevati da un asteroide grazie a un viaggio di miliardi di chilometri: si erano incastrati due elementi del coperchio

Il TAGSAM visto dall'alto con i detriti dell'asteroide Bennu al suo interno (NASA)
Il TAGSAM visto dall'alto con i detriti dell'asteroide Bennu al suo interno (NASA)
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Dopo quasi tre mesi di lavoro, i tecnici della NASA sono infine riusciti ad aprire completamente il contenitore che conserva al proprio interno i campioni dell’asteroide Bennu, portati sulla Terra alla fine dello scorso settembre dalla missione OSIRIS-REx dopo un viaggio di miliardi di chilometri. Il contenitore era stato recuperato con grande cura e attenzione, ma dopo i primi tentativi di aprirlo erano emersi problemi a due elementi del sistema di chiusura, tali da rendere necessario lo studio di nuove procedure per aprirlo mantenendolo isolato per evitare contaminazioni dall’esterno.

Nell’autunno del 2023 i tecnici della NASA erano riusciti a recuperare alcuni frammenti di Bennu, ma una parte significativa dei detriti era rimasta bloccata all’interno del contenitore: il componente più importante della missione. Il prelievo del materiale spaziale era avvenuto nel 2020 attraverso un braccio robotico, che si era poggiato per qualche istante sulla superficie dell’asteroide. Alla sua estremità c’era il TAGSAM, il contenitore cilindrico la cui apertura si era poi bloccata.

Il sistema di prelievo era stato progettato come una sorta di aspirapolvere, con un flusso di gas per generare una piccola turbolenza alla base del TAGSAM in modo da fare sollevare i detriti, che venivano poi convogliati in una camera di raccolta lungo la circonferenza del dispositivo. Il prelievo era andato meglio del previsto, tanto da intasare parte dello strumento di raccolta. Il TAGSAM era stato poi collocato da un braccio robotico all’interno di una capsula, che dopo avere compiuto un lungo viaggio era rientrata nell’atmosfera terrestre finendo nel deserto dello Utah (Stati Uniti), dove era stata recuperata e trasportata al Johnson Space Center di Houston, in Texas, per procedere con l’apertura e l’ispezione del TAGSAM.

L’apertura della capsula era avvenuta dentro una teca isolata dall’esterno e sottoposta a un flusso continuo di azoto, un gas inerte per impedire l’ingresso di altre sostanze. Nella teca erano anche presenti gli strumenti previsti per aprire il TAGSAM ed estrarne il contenuto, come sperimentato in varie simulazioni negli anni di preparazione e gestione della missione. A ottobre dello scorso anno i tecnici avevano iniziato a rimuovere i 35 elementi che tenevano chiuso il coperchio del serbatoio in cui erano raccolti i detriti di Bennu. Nel farlo si erano accorti che due elementi si erano incastrati e che non potevano essere rimossi, impedendo il sollevamento del coperchio per raggiungere il serbatoio con i pezzi di Bennu.

Attività di apertura del TAGSAM (NASA)

Disponendo solamente di una varietà limitata di strumenti, quelli testati e certificati per entrare in contatto con i detriti, i tecnici non erano riusciti a risolvere il problema e ad aprire completamente il contenitore. Nelle settimane seguenti gli ingegneri della NASA si erano quindi messi al lavoro per sviluppare nuovi strumenti fatti appositamente per sbloccare la chiusura del contenitore, utilizzando acciaio inossidabile non magnetico solitamente impiegato per la produzione degli strumenti utilizzati dai chirurghi nelle sale operatorie.

Dopo varie prove e tentativi, a metà gennaio i tecnici della NASA erano infine riusciti a sbloccare i due elementi, ottenendo circa 250 grammi di detriti di Bennu, che saranno studiati da vari gruppi di ricerca in giro per il mondo per estendere le conoscenze sui processi che portarono alla formazione del nostro Sistema solare. A ottobre dello scorso anno l’analisi dei frammenti che era stato possibile estrarre con maggiore facilità aveva portato a identificare indizi sulla presenza di carbonio e acqua, importanti per lo sviluppo della vita per come la conosciamo. Da tempo si ipotizza che nel periodo in cui si formò il Sistema solare furono questi ingredienti provenienti dall’esterno a rendere possibili le prime forme di vita terrestri.