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  • Domenica 14 gennaio 2024

La guerra che i ribelli Houthi stanno combattendo da dieci anni

È quella contro il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen, che finora ha fatto centinaia di migliaia di morti e creato una delle crisi umanitarie più gravi del mondo

Un uomo dopo un bombardamento saudita a Sana'a, in Yemen, nel 2016 (AP Photo/Hani Mohammed)
Un uomo dopo un bombardamento saudita a Sana'a, in Yemen, nel 2016 (AP Photo/Hani Mohammed)
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I due bombardamenti compiuti questa settimana dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti contro i ribelli Houthi hanno riportato l’attenzione internazionale sulla guerra in Yemen, iniziata ormai dieci anni fa. La guerra è tra gli Houthi, gruppo di ribelli sciiti sostenuti e finanziati dall’Iran, e il governo yemenita riconosciuto da buona parte della comunità internazionale, che è invece appoggiato da una coalizione di paesi guidata dall’Arabia Saudita.

Oggi i ribelli Houthi controllano il nord ovest del paese, compresa la capitale Sana’a, e gran parte dei territori costieri sul Mar Rosso: sono più influenti e potenti del governo yemenita, che ha sede ad Aden, nel sud ovest, e che si sta dimostrando incapace di fermare gli attacchi compiuti dagli Houthi contro le navi cargo nel Mar Rosso. In Yemen ci sono inoltre diverse basi di al Qaida, organizzazione terroristica attiva soprattutto nel sud e nemica sia dei ribelli Houthi che del governo yemenita.

Il movimento Houthi è emerso tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso nello Yemen del nord, dove la maggior parte della popolazione appartiene a una corrente dell’Islam sciita chiamata zaydismo, che esiste solo in Yemen e viene praticata da circa il 35 per cento della popolazione (il 65 per cento della popolazione è invece sunnita). Gli Houthi sono la principale tribù dello zaydismo yemenita, che ha sempre espresso i leader del gruppo e ha quindi dato il nome a tutto il movimento.

Gli zayditi dominarono il territorio dello Yemen per secoli, fino a che, nel 1962, il loro governo fu rovesciato e fu istituita una repubblica araba guidata dai sunniti. Nei decenni successivi le regioni abitate dagli Houthi, senza ormai più potere politico, diventarono tra le più povere del paese, e lo zaydismo fu minacciato dall’espansione del sunnismo wahabita, una forma molto estremista dell’Islam promossa dalla vicina Arabia Saudita. Per questo a partire dagli anni Ottanta gli Houthi cominciarono a formare gruppi e associazioni per rivitalizzare la propria corrente religiosa e contrastare l’espansione dell’influenza saudita.

Il movimento degli Houthi era inizialmente pacifico e improntato all’insegnamento religioso, ma nel tempo e dopo varie scissioni si trasformò in una milizia armata che aveva l’obiettivo di sovvertire il governo yemenita.

La prima ribellione armata organizzata dagli Houthi contro il governo si tenne nel 2004: fu repressa con la forza, il capo del movimento Hussein al Houthi fu ucciso, ma molti giovani sciiti decisero di unirsi al gruppo, anche come conseguenza della violenza attuata dall’esercito yemenita. Le cose si aggravarono ulteriormente nel 2011, con la primavera araba, cioè con una delle grosse rivolte contro regimi autoritari in carica da decenni in diversi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Nel caso dello Yemen la rivolta aveva come bersaglio il regime del presidente Ali Abdullah Saleh, che governava dal 1990. Saleh fu costretto a dimettersi e si creò un vuoto di potere, di cui gli Houthi approfittarono per conquistare la provincia settentrionale di Saada.

La guerra civile in Yemen iniziò nel 2014, quando gli Houthi, concentrati soprattutto nel nord del paese, cominciarono a conquistare territori verso sud fino ad arrivare alla capitale Sana’a, dove costrinsero il presidente Abd Rabbu Mansur Hadi a fuggire prima nella città meridionale di Aden e poi in Arabia Saudita. A quel punto l’Arabia Saudita, per non dover gestire alle sue frontiere la presenza di un gruppo sciita alleato con l’Iran, suo storico nemico, avviò una massiccia campagna di bombardamenti contro gli Houthi, proseguita poi a fasi alterne per diversi anni.

Lo Yemen era già da tempo uno dei paesi più poveri del Medio Oriente, era considerato uno “stato fallito”, aveva un’amministrazione pubblica corrotta e inefficiente e un governo incapace di controllare il territorio e mantenerlo sicuro.

La situazione in Yemen degenerò ben presto in una guerra civile, con l’Arabia Saudita a sostenere le forze del governo yemenita e l’Iran gli Houthi, armandoli e addestrandoli: anche per questo molti analisti definirono quella in Yemen una “guerra per procura” (proxy war, in inglese), in cui due stati rivali si combattono indirettamente in un territorio terzo. Per l’Arabia Saudita le cose si complicarono ulteriormente nel 2019, quando gli Emirati Arabi Uniti, preziosissimi alleati nella guerra, si ritirarono dalla coalizione. Il grosso dei combattimenti si concentrò tra il 2015 e il 2018, ma in poco tempo si arrivò a uno stallo che di fatto dura ancora oggi.

Porti e aeroporti vennero bloccati, ampie porzioni del paese vennero bombardate e distrutte e cominciò un’epidemia di colera che causò la morte di migliaia di persone. La guerra provocò una gravissima crisi umanitaria, con oltre 350mila morti e milioni di persone che ancora oggi soffrono la fame e hanno condizioni di vita estremamente precarie: ancora all’inizio del 2023, prima della guerra nella Striscia di Gaza, l’ONU definiva la crisi umanitaria in Yemen come la più grave del mondo.

La guerra civile distrusse ampie parti di Sana’a, la capitale. Come il resto dello Yemen, Sana’a ha una storia antichissima, è un luogo storicamente e culturalmente importante per la civiltà islamica, e la sua parte più caratteristica è la città vecchia: si stima sia abitata da circa 2.500 anni ed è resa molto riconoscibile dai suoi edifici a torre costruiti in mattoni, con porte e finestre decorate in gesso bianco. Proprio per questo fino a prima dell’inizio della guerra civile Sana’a, coi suoi edifici, mercati e quartieri antichi, e in generale lo Yemen, erano frequentati dai turisti.

L’inizio delle guerra civile ha cambiato tutto: la città fu in più occasioni bombardata, furono distrutte case, tra cui alcuni degli storici edifici in mattoni e gesso, e luoghi storici e culturalmente rilevanti, come il Miqshamat al-Qasimi, famoso giardino urbano, colpito da un bombardamento nel 2015.

Anche gli edifici rimasti in piedi iniziarono a decadere: sia per la mancanza di manutenzione, un problema esistente anche prima dell’inizio della guerra, sia perché le rigide regole religiose imposte dagli Houthi impedirono progressivamente una serie di attività. Furono chiusi bar, caffè, hotel e altri luoghi pubblici che fino a quel momento avevano movimentato la vita della città.

La guerra civile proseguì in modo intermittente fino al 2022, quando le parti accettarono un cessate il fuoco. Da allora sono cominciati negoziati di pace che hanno coinvolto gli Houthi e l’Arabia Saudita.

L’inizio di una guerra nella Striscia di Gaza, nell’ottobre del 2023, ha rappresentato una grossa opportunità politica per gli Houthi, perché ha dato loro la possibilità di provare a rafforzare ulteriormente il loro dominio sullo Yemen e fare in modo che venga riconosciuto anche fuori del paese. Per gli Houthi inoltre gli attacchi nel Mar Rosso, presentati come un atto di ritorsione contro Israele, sono di fatto un modo per ottenere legittimità e prestigio all’interno del mondo islamico, accreditandosi come importanti avversari di Israele nella regione e come difensori della causa palestinese.

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