Ha riaperto il sito archeologico del palazzo di Alessandro Magno

I resti del più grande edificio dell'antica Grecia si trovano nel nord del paese e negli ultimi 16 anni sono stati restaurati

Il sito archeologico del palazzo di Aigai, in Grecia
Il sito archeologico del palazzo di Aigai, in Grecia, il 5 gennaio 2024 (AP Photo/Giannis Papanikos)
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Domenica in Grecia ha riaperto al pubblico il sito archeologico del palazzo di Aigai. Era la residenza costruita 2.300 anni fa dal re Filippo II di Macedonia, il padre di Alessandro Magno, ed è dove il celebre condottiero dell’antichità venne incoronato re, prima di partire per le sue conquiste militari in Asia. Il sito si trova vicino a Verghina, una cittadina con meno di 3mila abitanti nel nord del paese, che tra l’ottavo secolo e il 399 a.C. fu la prima capitale del regno di Macedonia, e negli ultimi 16 anni è stato sottoposto a un grande restauro. I resti del palazzo coprono una superficie di circa 15mila metri quadrati: ai tempi dell’antica Grecia era la costruzione più grande della regione. Venne poi distrutto dai romani.

Il palazzo era fatto di una serie di cortili circondati da colonnati e comprendeva spazi per riti religiosi e sale da banchetti. Tra le cose che si sono conservate c’è parte dei mosaici che ne decoravano i pavimenti. Le colonne sono in parte fatte di pezzi originali – disposti nelle loro antiche posizioni – in parte di repliche. I resti del palazzo vennero scoperti a partire dal 1855 e negli anni Cinquanta del Novecento l’archeologo Manolis Andronikos scoprì poco distanti le tombe reali della dinastia macedone, compresi i presunti resti di Filippo II.

Il sito archeologico rinnovato è stato inaugurato venerdì dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, che lo ha visitato con la guida di Angeliki Kottaridi, l’archeologa che ha ideato il nuovo museo di Aigai aperto un anno fa, e che ha guidato i lavori di restauro. È in pensione dall’inizio dell’anno.

I resti del palazzo di Aigai e le vicine tombe fanno parte del patrimonio culturale dell’UNESCO. Il loro restauro è stato finanziato con 20,3 milioni di euro, in parte stanziati dall’Unione Europea.

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