• Mondo
  • Domenica 7 gennaio 2024

La politica indiana non ha più il senso dell’umorismo

È ormai raro che i politici ridano di loro stessi come facevano un tempo, e l'insofferenza per la satira è sempre più diffusa e aggressiva

Una vignetta di Manjul pubblicata sul suo profilo Facebook.
Una vignetta di Manjul pubblicata sul suo profilo Facebook.
Caricamento player

Nelle ultime settimane sui giornali indiani e internazionali si è discusso del senso dell’umorismo, o meglio della sua presunta scomparsa, nella politica nazionale, a partire da un episodio che ha visto coinvolti il deputato dell’opposizione Kalyan Banerjee e il vicepresidente del paese Jagdeep Dhankhar. La conclusione piuttosto condivisa di queste riflessioni e delle persone intervistate è che in India sia sempre più raro che i politici ridano di loro stessi e che l’insofferenza per la satira sia invece sempre più diffusa.

«La controversia sul fatto che il deputato del Congresso Kalyan Banerjee abbia imitato il vicepresidente Jagdeep Dhankhar fuori dalla Camera è un chiaro segno dell’assenza di umorismo nella politica del paese, piuttosto che di una mancanza di rispetto per Dhankhar o per il suo ruolo», ha scritto ad esempio il Deccan Herald, quotidiano indiano in lingua inglese.

Il 19 dicembre, durante una protesta organizzata contro la sospensione dalla Camera bassa di quasi 150 parlamentari dell’opposizione accusati di indisciplina, Kalyan Banerjee ha imitato la voce, la camminata e i modi di fare di Jagdeep Dhankhar sui gradini del parlamento di Nuova Delhi. Dhankhar, che è vicepresidente dell’India dal 2022, ha definito la performance di Banerjee «vergognosa, ridicola e inaccettabile». Il primo ministro Narendra Modi ha telefonato al suo vice per esprimergli sostegno e vari ministri del loro partito, il Bharatiya Janata (BJP), hanno attaccato Banerjee per il gesto che ha fatto e per averlo fatto proprio sui gradini del «sacro tempio della democrazia».

Banerjee si è difeso dicendo di avere diritto alla libertà di espressione e ha definito l’imitazione una forma d’arte: «Se qualcuno non capisce l’arte, cosa posso farci? (…) L’arroganza del BJP è così grande che ha perso il senso dell’umorismo. Anche l’umorismo è una forma di protesta».

A sostegno della tesi che l’umorismo sia gradualmente scomparso dalla vita politica indiana, ma anche dalla vita pubblica in generale, il Business Standard, quotidiano economico indiano, riporta aneddoti del passato, quando invece le cose erano diverse. Gandhi aveva uno spirito acuto e quando venne definito Mahatma (maha grande, atma anima) dal poeta e filosofo Rabindranath Tagore, nobel per la Letteratura nel 1913, accettò poco volentieri l’appellativo, e facendo dell’autoironia disse che non era il caso di dire che aveva dei “seguaci”, perché era già tanto se lui riusciva a seguire se stesso.

Jawaharlal Nehru, primo primo ministro dopo l’indipendenza del 1947 dagli inglesi, invitò Kesava Shankar Pillai, considerato il padre delle vignette politiche in India, a non risparmiarlo. Ex presidenti come Fakhruddin Ali Ahmed, Zail Singh e Shankar Dayal Sharma (in carica tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta) furono spesso oggetto di caricature, derisi e persino ridicolizzati. Ed è rimasto piuttosto famoso quel che fece Piloo Mody, deputato tra il 1967 e il 1983. Mody era un uomo alto e massiccio e mentre ascoltava il discorso di un ministro in parlamento si alzò e gli diede le spalle in segno di dissenso e disprezzo. Quando il ministro se ne lamentò e lo speaker chiese a Mody chiarimenti, lui si alzò di nuovo, lo invitò a guardarlo bene e aggiunse: «Non ho né davanti, né di dietro, né fianchi. Sono tutto rotondo. Come avrei potuto, dunque, mostrare il mio di dietro al ministro?». La Camera scoppiò a ridere fragorosamente.

Se un tempo nessuno riteneva il parlamento un luogo incompatibile con l’umorismo, nel corso dei decenni le cose sembrano essere cambiate. Qualche anno fa, nel 2009, il deputato del Congresso ed ex viceministro degli Esteri Shashi Tharoor si era dovuto scusare per una frase scritta su Twitter: gli avevano chiesto se avrebbe mai fatto un viaggio in treno fino al Kerala (sua regione d’origine) sui “carri bestiame”, le carrozze più disastrate per il trasporto delle persone, in segno di coerenza rispetto alla politica di maggiore austerità del governo. Lui diede una risposta che non fu molto apprezzata: «Certo, nei carri bestiame per solidarietà verso tutte le nostre vacche sacre». Milioni di persone si offesero perché la interpretarono come una mancanza di rispetto nei confronti dei viaggiatori in classe economica e molte altre si indignarono a nome delle mucche.

– Leggi anche: Storia della risata femminile

Secondo alcuni la situazione sarebbe peggiorata sotto l’attuale governo del primo ministro Narendra Modi, nazionalista e conservatore che nel tempo ha limitato diritti e libertà nel paese. In India non esiste l’equivalente di una rivista satirica come possono essere Private Eye per il Regno Unito, Charlie Hebdo o Le Canard enchaîné per la Francia. E non esistono eventi come la cena dei corrispondenti della Casa Bianca, un incontro storico della politica americana condotto da un comico durante il quale tradizionalmente il presidente si esibisce in una serie di battute davanti ai giornalisti che seguono la sua amministrazione. Negli anni di Barack Obama, per via del suo eloquio e del suo umorismo, le cene furono particolarmente seguite e apprezzate mentre Trump, che aveva notoriamente un pessimo rapporto con la maggior parte della stampa, disertò la cena definendola «noiosa».

Molti comici hanno difficoltà a esibirsi in alcune parti del paese per paura di offendere una particolare comunità ed essere accusati di qualche reato, soprattutto dopo quello che è accaduto a Munawar Faruqui. Nel 2021, il popolare comico musulmano trascorse più di un mese in prigione dopo che i membri di un gruppo nazionalista indù l’avevano accusato e denunciato per aver offeso i loro sentimenti religiosi durante uno dei suoi spettacoli. Dopo il rilascio, molti spettacoli di Faruqui erano stati cancellati e i pochissimi mantenuti in cartellone si erano svolti tra pesanti misure di sicurezza, proteste, minacce e limitazioni.

Nel gennaio del 2023 la giornalista Sushmita Pathak ha raccontato di essere andata a vedere Faruqui a Hyderabad, nel sud del paese. Ha detto che la sala era piena zeppa di poliziotti e che una volta che spettatori e spettatrici si erano sedute, un funzionario di polizia aveva annunciato che i telefoni dovevano essere obbligatoriamente spenti: «Quando l’uomo seduto accanto a me ha tirato fuori furtivamente il telefono per scattare una foto veloce, un agente di polizia gliel’ha strappato di mano, ignorando le sue suppliche disperate».

Faruqui non è l’unica persona di spettacolo a essere finita sotto accusa negli ultimi anni a causa delle proteste delle organizzazioni di destra o per l’interferenza dei politici del BJP. Nel 2020 un monologo politico sull’India costò al comico Vir Das diverse denunce e nei mesi successivi diversi suoi spettacoli furono cancellati. La stessa cosa è accaduta a Kunal Kamra, che spesso mette al centro dei suoi monologhi comici il governo del primo ministro Narendra Modi e il partito al potere. Nel 2020 Kamra è stato anche denunciato per oltraggio alla corte per alcuni tweet ritenuti irrispettosi nei confronti della Corte Suprema indiana. Replicando, lui ha scritto che «esiste una crescente cultura dell’intolleranza» nel suo paese dove «offendersi è visto come un diritto fondamentale ed è stato elevato allo status di sport nazionale indoor».

Alcuni fumettisti che si occupano di politica hanno poi perso il lavoro. Manjul, uno di loro, ha spiegato che gli editori spesso intervengono dopo aver ricevuto una chiamata da un funzionario governativo che esprime il proprio disappunto per una vignetta o per una striscia e che questa è secondo lui una «censura non dichiarata». Dice che è difficile trovare vignette sui giornali che prendano in giro Modi o il ministro degli Interni Amit Shah: «La maggior parte dei fumettisti semplicemente evita».

Questi attacchi e ingerenze hanno portato molti comici e vignettisti a procedere con cautela quando trattano di determinati argomenti: o non li affrontano affatto, o quando lo fanno si autocensurano per non avere problemi. Oggi, la maggior parte dei cabarettisti in India sta dunque diventando apolitica: «Scherzare sulla religione è assolutamente vietato in questo momento», ha detto ad esempio Anirban Dasgupta. Di politica si può ancora parlare, «ma è un argomento molto complicato perché chi è al potere verrà a cercarti».

Il famoso comico Kenny Sebastian ci ha scherzato sopra spiegando in uno dei suoi spettacoli che si sta accontentando di fare battute su tè e biscotti. «Il motivo per cui non faccio battute sulla politica è perché ho paura», dice Sebastian nello spettacolo, scherzando sul fatto che il problema non è tanto saper fare battute sulla politica, quanto i rischi che si corrono facendole (con un gioco di parole tra “punchline”, cioè battuta, e “punched on my face”, cioè ricevere un pugno in faccia, visto che si esibisce in inglese).

Per Madhavi Shivaprasad, ricercatrice indipendente di studi di genere, culture e politiche per i media, il problema è anche come è strutturato il sistema della comicità in India. All’inizio della loro carriera, gli artisti devono esibirsi nelle serate di “open mic”, cioè in cui chiunque può salire sul palco, senza alcun compenso, a volte pagando di tasca propria. «Molti, comprensibilmente, non fanno battute sulla politica perché questo avrebbe ripercussioni sul loro futuro».

Solo alcuni tipi di persone, di una certa classe, casta, genere e con una situazione economica abbastanza solida possono dunque pensare di lavorare in questo campo. Allo stesso tempo però, secondo Madhavi Shivaprasad, i comici stessi sono in qualche modo colpevoli e non hanno compreso appieno cosa sia la satira: «L’industria della comicità ha ancora bisogno di tempo per capire che la politica non riguarda solo il governo. Si tratta di comprendere le criticità legate al genere, alla casta, alla sessualità e alla razza». E anche tra le comiche che sfidano il patriarcato, spiega sempre Shivaprasad, c’è ignoranza sull’intersezionalità tra casta e genere.

Rahul Tripathi, politologo dell’Università di Goa, ritiene che sotto l’attuale governo autoritario l’autocensura stia effettivamente diventando una questione, ma non pensa che sia senza precedenti e dice che l’umorismo e la satira sono sempre stati scomodi in India così come altrove. Lo specifico problema con l’attuale partito al governo «è che ha un’interpretazione così ristretta del nazionalismo, dell’induismo e del pluralismo che qualsiasi pensiero contrario o che sia in conflitto con la loro idea di ciò che è giusto li turba». Da qui le loro ingerenze, dice Tripathi, che giustificano esponendo i loro giudizi su ciò che ferisce il sentimento religioso o l’orgoglio nazionale.

Qualcuno comunque resiste. Nonostante tutto Faruqui, durante il suo spettacolo a Hyderabad, non ha evitato argomenti politici o religiosi, lanciando diverse frecciate alla destra indù e alla stessa comunità musulmana a cui appartiene. In un passaggio del suo spettacolo ha spiegato come alcuni gruppi di Goa avessero minacciato un’autoimmolazione di massa se il suo spettacolo si fosse tenuto, e che dunque lui aveva chiesto al suo manager se fosse possibile farne due: «Potrei essere l’unico musulmano che sta riducendo la popolazione», ha detto nella battuta finale, facendo riferimento a una popolare teoria del complotto indù di destra secondo la quale i musulmani in India si stanno impegnando parecchio a fare figli per diventare maggioranza.