È diventato normale non accorgersi nemmeno delle cose “virali”

Rispetto a un tempo internet è molto più frammentato, e quello che è ovunque per qualcuno può essere inesistente per altri

(Chris Ware/Keystone Features/Getty Images)
(Chris Ware/Keystone Features/Getty Images)
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Lo scorso novembre il Guardian ha rimosso dal suo sito il testo di una lettera scritta dal fondatore di al Qaida Osama bin Laden nel 2002, nella quale si rivolgeva agli statunitensi dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Il motivo è che su TikTok alcuni utenti la stavano condividendo con toni che sembravano legittimare le argomentazioni di bin Laden, e la stavano usando per condannare Israele riguardo alla guerra in corso contro Hamas. Secondo il Guardian la pagina che conteneva la lettera non aveva il contesto, e si è quindi preferito rimuoverla.

Nei giorni successivi il Washington Post ha scoperto che in realtà i TikTok sull’argomento erano stati pochi e che ad attirare l’attenzione sul caso e a ingigantirne le dimensioni erano stati invece dei post su X, come quello della giornalista Yashar Ali, che aveva denunciato i «migliaia di TikTok» sull’argomento comparsi nell’arco di 24 ore. Uno di questi in particolare aveva raccolto circa 41 milioni di visualizzazioni, ben più di quelle che avevano avuto i TikTok in questione.

Al di là dei molti dubbi che circolano sui criteri opachi e spesso fantasiosi con cui le diverse piattaforme definiscono una “visualizzazione”, l’episodio ha portato alla luce quanto sia difficile oggi misurare l’effettivo successo di un contenuto online. Per molti anni i social network hanno imposto un’idea di viralità piuttosto chiara e condivisa dai loro utenti, nella quale i contenuti di successo erano quelli che circolavano di più davanti agli occhi di tutti, diventando a tratti inevitabili.

Secondo il giornalista Ryan Broderick, intervistato dall’Atlantic, negli anni Dieci una persona abbastanza preparata poteva farsi un’idea di quello che funzionava online: al netto delle differenze tra le varie piattaforme e sottoculture digitali, era ancora possibile «osservare, mescolare i vari mazzi e dire: ecco, questo è internet». Le cose sono cambiate a partire dal 2020 e dalla pandemia da Covid-19, che ha avuto un grande impatto con il nostro rapporto con il web.

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Tra le principali cause di questo cambiamento c’è stata l’ascesa di TikTok, che si basa su un algoritmo molto potente, in grado di mostrare contenuti specifici e iper-personalizzati agli utenti, che interagiscono con un feed fatto su misura per loro e quindi diverso da tutti gli altri. Di conseguenza, al di là di pochissimi casi isolati di straordinario successo, non esiste una vera e propria realtà condivisa su TikTok, come ha confermato il rapporto di fine anno per il mercato italiano da poco pubblicato dal social network. Nel documento si elencano i profili, gli argomenti e le canzoni di maggiore successo sulla piattaforma, che spesso sono in grado di raccogliere centinaia di milioni di visualizzazioni ma potrebbero comunque essere sconosciuti a molti. Come ha notato il sito di news The Verge, «le più grandi hit di TikTok sono video che probabilmente non avete mai visto».

Anche gli altri social network hanno adottato un approccio più chiuso rispetto all’esterno, per quanto riguarda la condivisione dei dati sul comportamento dei propri utenti e sulle visualizzazioni dei contenuti. CrowdTangle, una società nata per analizzare e monitorare queste piattaforme, ha per anni pubblicato report sui contenuti di maggiore successo online, per poi essere acquisita da Facebook nel 2016. Nel 2021 il fondatore di CrowdTangle, Brandon Silverman, ha lasciato la sua azienda e il gruppo Meta, e oggi sostiene che i social network si siano ormai chiusi in loro stessi: Facebook garantisce l’accesso ai propri dati a pochi ricercatori mentre X (Twitter) è ormai una «scatola nera», imperscrutabile. «Stiamo di fatto discutendo di dati che non abbiamo», ha detto Silverman all’Atlantic. Recentemente X ha promesso una qualche forma d’accesso esclusiva ai ricercatori dell’Unione europea per non contravvenire alle norme del Digital Services Act, l’insieme di leggi approvate lo scorso anno con l’obiettivo di regolamentare l’attività delle aziende del settore digitale e limitare il potere delle grosse piattaforme cosiddette “Big Tech”, come Google e Facebook.

La mancanza di dati dalle piattaforme, unita a un’esperienza sempre più personalizzata, ha aumentato il divario tra la percezione personale di viralità e la sua effettiva natura, che è sempre più difficile da osservare. Il fenomeno non è limitato ai social network: questo mese Netflix ha pubblicato per la prima volta nella sua storia un report dettagliato sui suoi ascolti, secondo il quale il singolo contenuto più visto in tutta la piattaforma nel 2023 è stato il thriller The Night Agent. Nonostante il pubblico globale l’abbia guardato in tutto per circa 812 milioni di ore, di The Night Agent non si è parlato molto né sui social né sui giornali, ed è possibile che risulterà un nome del tutto nuovo anche a chi sta leggendo questo articolo.

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The Verge ha messo a confronto il successo del thriller con i risultati della terza stagione di The Witcher, uscita nel 2023 e molto discussa online, che secondo Netflix è stata solo il 556esimo show più visto dell’anno. La quinta stagione di The Crown, altra serie molto apprezzata e seguita, si è fermata al 159esimo posto. Nell’estate, i casi di Barbie e Oppenheimer hanno rappresentato due notevoli eccezioni nella tendenza alla dispersione del pubblico cinematografico: i grandi film che vediamo più o meno tutti sono infatti sempre più rari.

Un fenomeno così diffuso può avere diverse cause, ma è soprattutto collegabile alla crescente frammentazione di internet e alla diversificazione dei servizi che utilizziamo per comunicare online. Ciò non vuol dire che fino agli anni Dieci l’esperienza personale sul web fosse uguale per tutti, ma era ancora possibile analizzare il mercato con una buona dose di accuratezza. Gli stessi social network erano luoghi più facilmente etichettabili: Facebook si rivolgeva al pubblico più adulto e tradizionale, Instagram e Snapchat a quello più giovane, Twitter agli utenti particolarmente attivi e coinvolti dagli eventi del mondo; prima ancora, Tumblr aveva avuto successo tra i giovani e gli appassionati d’arte, design e televisione.

Il successo di TikTok e la crisi di Twitter hanno dapprima isolato gli utenti nelle loro pagine Per Te e poi eliminato il canale prediletto da giornalisti, attivisti, blogger (oltre che dalle fandom). È stata in particolare la perdita del ruolo centrale nella cultura pop da parte di Twitter a segnare la scissione definitiva tra il successo percepito e quello reale, sul web. Si tratta di un fenomeno che era in corso da tempo ma che è stato accelerato dalla gestione del sito di Elon Musk, che ha peraltro generato diversi tentativi di clonare il prodotto originale, come Bluesky e Threads. Ci sono però molti dubbi sul fatto che un nuovo social network possa arrivare ad avere un peso – sia in termini di pubblico che, soprattutto, di influenza – simile a quello avuto da Twitter, per non parlare di realtà molto più grandi come Instagram o Facebook.

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Degli esperimenti più recenti solo TikTok è riuscito a imporsi, rovesciando del tutto norme e abitudini degli utenti; altri servizi come BeReal e Clubhouse sono presto scomparsi dopo un iniziale interesse. Secondo Charlie Warzel dell’Atlantic, «questa confusione è una caratteristica dell’internet frammentato che può dare l’impressione che due fenomeni opposti siano in corso simultaneamente: i contenuti più diffusi sono consumati in una scala sorprendente, mentre la popolarità e persino la celebrità sembra miniaturizzata e conservata in cerchie diverse».