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  • Venerdì 22 dicembre 2023

Come si spegne un altoforno

Far smettere di funzionare i grandi impianti delle acciaierie è molto complicato: negli ultimi tempi l'ex ILVA di Taranto lo ha fatto più volte

(Rolf Vennenbernd/dpa)
(Rolf Vennenbernd/dpa)
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Dall’inizio di dicembre l’ex ILVA di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, ha un solo altoforno attivo su quattro disponibili: un fatto che ha comportato una notevole riduzione della produzione, alimentando la crisi economica dello stabilimento che va avanti da anni e che in queste settimane il governo italiano sta cercando per l’ennesima volta di risolvere. Gli altiforni sono i grandi impianti a funzionamento continuo che vengono usati nelle acciaierie per produrre ghisa a partire da minerali di ferro e carbone: al momento, dei quattro altiforni dell’ex ILVA uno è spento e due sono “fermi”, come si dice in gergo, cioè hanno interrotto la produzione ma continuano a essere riscaldati. Il “fermo” permette di riattivare l’altoforno più agevolmente e in meno tempo, ma fermare e riattivare un impianto comporta comunque dei rischi, soprattutto per una fabbrica che nel tempo si è molto deteriorata come l’ex ILVA.

Spegnere del tutto un altoforno è complicato e richiede molto tempo. È un impianto che lavora a una temperatura di duemila gradi, e per raffreddarlo ci vogliono diverse settimane. Basta la minima disattenzione per permettere alle scorie di ghisa che si depositano sul fondo di solidificarsi. Per questo gli interventi di manutenzione, come quelli in corso su due altiforni dell’ex ILVA, di solito si fanno mantenendo l’altoforno fermo: una situazione in cui l’impianto non produce ghisa, ma viene comunque riscaldato per raggiungere una temperatura di circa mille gradi. Si può immaginare l’altoforno fermo come un vulcano inattivo che all’interno continua a essere caldo, senza però che la lava fuoriesca: nel caso dell’altoforno a non fuoriuscire è la ghisa.

Il fermo è una procedura reversibile e di solito temporanea, che dura al massimo poche settimane, il tempo di riparare eventuali guasti. Si tende comunque a non fermare spesso un altoforno perché ogni variazione di calore, a quei livelli, rischia di danneggiarne le componenti, in particolare i mattoni che lo rivestono all’interno. È quello che è accaduto all’altoforno 2 dell’ex ILVA, che negli ultimi anni è stato fermato e riacceso diverse volte: il rivestimento interno è stato danneggiato al punto che anche la superficie esterna, metallica, ora rischia di cedere. Il fermo è il modo più indicato per fare gli interventi di manutenzione, ma allo stesso tempo sta contribuendo a danneggiare l’altoforno.

La procedura per fermare un altoforno si divide in tre fasi. Nella prima, per preparare l’impianto al raffreddamento vengono aumentate le quantità di coke, un residuo del carbone fossile usato per la produzione di ghisa negli altiforni, e ridotte quelle di ferro. Poi la temperatura del forno viene gradualmente abbassata fino a circa mille gradi, un migliaio in meno rispetto alla fase produttiva. Infine si sospende la produzione di ghisa, ma non succede da un momento all’altro perché l’impianto è ancora caldo: devono trascorrere tra le 12 e le 36 ore perché l’altoforno smetta del tutto di produrre ghisa.

Per riattivarlo si segue la procedura inversa. Si riduce il coke, si aumenta il ferro e si ricomincia a far rientrare il cosiddetto “vento caldo” nell’impianto: l’altoforno è una specie di grande forno ventilato, in cui il carbone che brucia ha bisogno dell’immissione di aria preriscaldata. L’aria arriva dal basso, attraverso una corona di tubi (o “tubiere”): quando entra, il coke ricomincia a bruciare e fa ripartire il processo di produzione. Rispetto alla ripartenza di un altoforno spento, i tempi sono molto minori.

Il fermo è comunque necessario anche quando si vuole arrivare a spegnere l’altoforno, un’operazione che va fatta gradualmente per evitare che la ghisa si solidifichi. Anche per questo c’è una certa preoccupazione per il recente fermo degli altiforni 1 e 2 dell’ex ILVA di Taranto (il primo ad agosto, il secondo a dicembre): i sindacati temono che sia il primo passo in preparazione del definitivo spegnimento, e che la società Acciaierie d’Italia che gestisce l’impianto stia aspettando di capire se il governo italiano deciderà o meno di pagare i debiti accumulati nel 2023.

L’interno di un’acciaieria (EPA/SERGEI ILNITSKY)

Il cronoprogramma di ArcelorMittal, l’azienda che possiede il 62 per cento di Acciaierie d’Italia, prevede 34 tappe per spegnere un altoforno. Dopo il fermo, per prima cosa bisogna svuotarlo. Si toglie prima il minerale di ferro, aumentando nel frattempo la percentuale di coke. Poi si alza la temperatura per far tornare lo scarto di ghisa sul fondo allo stato liquido e si fanno dei fori sul crogiolo, un cilindro nella parte inferiore dell’altoforno, per farla uscire. Nell’altoforno svuotato rimane così solo il coke. Nella fase conclusiva, che dura in media una ventina di giorni, si aprono tutte le tubiere per fare entrare l’aria e raffreddare poco alla volta l’impianto.

Per riavviare un altoforno spento ci vuole più tempo che per far ripartire un altoforno fermo. Bisogna riscaldarlo fino alla temperatura di duemila gradi centigradi, soffiando aria calda attraverso le tubiere per far ripartire la combustione del coke. Poi, come in un enorme calderone bollente, vengono immessi a ciclo continuo i materiali che servono alla produzione della ghisa: ferro, calcare e coke proveniente dalle cokerie, cioè forni in cui il carbone fossile viene trattato per liberare il gas contenuto all’interno. La ghisa fusa che esce dall’altoforno viene poi portata nei “convertitori”, macchinari in cui un flusso di ossigeno puro la trasforma in acciaio, ossidando una parte del carbonio e lasciando come residuo una scoria solida che si deposita sul fondo. Se questa si raffredda, diventa molto difficile da togliere, un po’ come le incrostazioni dal fondo di una pentola.