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  • Lunedì 11 dicembre 2023

In Irpinia i depuratori delle acque industriali hanno smesso di funzionare

Dal 7 dicembre i lavoratori bloccano le attività per protestare contro il loro probabile licenziamento, con gravi rischi ambientali

La protesta dei lavoratori dei depuratori (su gentile concessione del Corriere dell'Irpinia)
La protesta dei lavoratori dei depuratori (su gentile concessione del Corriere dell'Irpinia)
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Da giovedì 7 dicembre in Irpinia, un territorio che comprende più o meno la provincia di Avellino, hanno smesso di funzionare 11 depuratori di acque reflue che si trovano in aree industriali, insieme a 4 laboratori che fanno analisi chimiche per conto delle fabbriche della zona e a un altro che si occupa di controllare la qualità delle acque potabili. I 55 dipendenti che ci lavorano hanno deciso di scioperare a oltranza e di bloccare il lavoro delle strutture perché la società pubblica che le gestisce, l’Asidep, è in liquidazione, e loro non prendono lo stipendio da agosto.

Il mancato funzionamento dei depuratori che servono un’area industriale come quella dell’Irpinia potrebbe avere conseguenze gravi per l’ambiente e l’inquinamento: i sindaci dei comuni della zona hanno fatto sapere che stanno valutando la possibilità di chiudere le fabbriche per motivi sanitari. Alcune aziende hanno già iniziato in modo autonomo a mandare a casa i propri dipendenti temendo per la loro salute e in generale per i danni che potrebbe causare il proseguimento delle attività, e al momento non è chiaro se e quando la situazione si risolverà.

Sindacati e lavoratori ritengono che gran parte di questa situazione si debba alla cattiva gestione pubblica dell’Asidep, che ha debiti per otto milioni di euro nonostante sia in attività da pochi anni. Alla fine di ottobre i commissari liquidatori avevano annunciato che avrebbero dovuto sospendere le attività il 30 novembre per mancanza di liquidità. Per evitare di far fermare depuratori e laboratori, il Consorzio per lo sviluppo delle aree industriali della provincia di Avellino (ASI), l’ente regionale che controlla l’Asidep, aveva indetto subito una gara d’appalto per affidare il servizio a una società esterna per un anno.

La decisione però era stata contestata dai dipendenti e dai sindacati, perché prevedeva la riassunzione solo di 18 dipendenti, su un totale di 55 che lavoravano nei depuratori e laboratori. C’erano inoltre molte perplessità su questo tipo di approccio alla gestione della società, secondo i lavoratori non adatto all’attività delicata di aziende che hanno responsabilità ambientali: «Un bando di gara per l’affidamento di dodici mesi della depurazione è invitante solo per gli speculatori», avevano scritto in un messaggio ad AvellinoToday i tre rappresentanti dei lavoratori dell’Asidep Francesco Bellofatto, Maria Mottola e Nunziante Scibelli. «La depurazione o si fa al cento per cento per tutelare l’ambiente e gli industriali, oppure si può risparmiare sui reagenti e farla al 50 o al 30 per cento, con le conseguenze che possiamo immaginare».

A metà novembre l’assessore regionale al Lavoro, Antonio Marchiello, aveva deciso di sospendere il bando, condividendo la scelta con i sindacati e con il presidente dell’ASI Pasquale Pisano, un esponente del Partito Democratico che è anche sindaco del comune di San Martino Valle Caudina, sempre in provincia di Avellino. Per gestire temporaneamente i depuratori era stata indicata la società che si occupa della raccolta dei rifiuti, Irpiniambiente, di proprietà al cento per cento della provincia di Avellino, che era stata anche invitata a presentare un piano industriale per gestire il servizio nei prossimi vent’anni.

Irpiniambiente sarebbe dovuta subentrare all’Asidep dal primo dicembre scorso, almeno in base ai piani iniziali. Il 25 novembre però Pisano aveva detto che la società non aveva ancora presentato alcun piano, né aveva dato alcuna «manifestazione di interesse». Aveva concluso che l’affidamento a Irpiniambiente non fosse più considerabile come una soluzione del problema. Nel frattempo l’Asidep aveva continuato a gestire i depuratori, accumulando però debiti e continuando a non pagare gli stipendi ai dipendenti, che avevano continuato a lavorare nella speranza di poter ottenere prima o poi gli arretrati, venendo infine trasferiti nella nuova società che avrebbe preso in gestione i depuratori.

Il 5 dicembre, dopo l’ennesima riunione in prefettura che si era conclusa senza l’assegnazione dei servizi a una nuova società, i lavoratori hanno deciso di scioperare fino a quando la loro situazione non si sarà chiarita e gli stipendi non saranno pagati: così due giorni dopo è iniziato il blocco delle attività di depuratori e laboratori.

La situazione più critica è quella delle vasche dei depuratori, che hanno un’autonomia di 48 ore. Se non vengono svuotate, come avverrebbe normalmente, gli scarichi industriali cominciano a tracimare. Dato che le fabbriche da cui arrivano gli scarichi sono state chiuse per più giorni durante il ponte dell’Immacolata, le vasche dei depuratori hanno retto fino a domenica. Lunedì però alla ripresa delle attività i depuratori di Nusco e di Sant’Angelo dei Lombardi hanno avuto delle perdite di liquami, che sono finiti sui piazzali degli impianti. Sono intervenuti i tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPAC), che hanno prelevato dei campioni e li hanno mandati ad analizzare.

I sindaci dei comuni della zona hanno detto che se le analisi mostreranno tracce di inquinamento saranno costretti a chiudere le aree industriali per motivi sanitari, prima che le perdite si facciano ben più grandi e prima di danni peggiori all’ambiente. «Molte aziende mi hanno chiamato per comunicarmi di aver mandato a casa gli operai finché la situazione non sarà risolta», dice il segretario della Fiom-Cgil di Avellino, Giuseppe Morsa.

Gli operai si sono riuniti in assemblea davanti al depuratore di Valle Ufita, nella zona industriale di Flumeri, un comune dell’Irpinia orientale. Si sono lamentati del fatto che «mancano reagenti e mezzi per effettuare la manutenzione e i controlli sugli impianti e sulle reti idriche», e dicono che in queste condizioni non è garantita la loro sicurezza. Chiedono che il servizio venga riassegnato al più presto e di essere riassunti dalla nuova concessionaria.

Per loro non sarebbe la prima volta. Fino a pochi anni fa dipendevano da un’altra azienda pubblica, il Consorzio Gestione Servizi (CGS), che oltre ai depuratori gestiva anche la manutenzione delle strade e l’illuminazione delle tredici aree industriali dell’Irpinia, nove delle quali costruite con i fondi della ricostruzione dopo il terremoto del 1980.

Nel 2019 il CGS chiese il concordato preventivo, una procedura per evitare il fallimento, perché aveva 24 milioni di euro di debiti che non riusciva a pagare. Il tribunale però non accettò la proposta di ripartizione dei debiti presentata dal commissario liquidatore perché, su un totale di 13,5 milioni di euro da pagare, le adesioni dei creditori erano state pari solo a un milione. In pratica solo il 7 per cento dei creditori aveva aderito alla proposta. La procura propose così un’istanza di fallimento «per conclamato stato di insolvenza». Nel giugno del 2022 il tribunale di Avellino la accettò, dichiarando la società fallita.

L’ASI creò così due nuove società per gestire i servizi fino a quel momento in concessione alla CGS: l’Hirpinia Servizi, controllata al 51 per cento, a cui affidò le strade e l’illuminazione delle zone industriali, e appunto l’Asidep, controllata al cento per cento, per la depurazione degli scarichi industriali e la fornitura dell’acqua depurata alle aziende.

I dipendenti del CGS vennero assunti tutti dall’Asidep, tranne uno che è passato a Hirpinia Servizi. In cambio avevano rinunciato alle indennità acquisite negli anni di lavoro precedenti. Negli ultimi anni la Regione Campania ha stanziato cinque milioni di euro per ammodernare gli impianti, che sono stati rimessi a nuovo e oggi sarebbero in grado di lavorare anche per altre aziende, oltre a quelle di cui già si occupano, producendo ulteriori guadagni per chi li gestisce. Le condizioni suggeriscono insomma che l’Asidep avrebbe diverse soluzioni per non essere nella crisi in cui si trova.

«Il problema è che i soldi pagati dalle aziende per lo smaltimento degli scarichi e per l’analisi delle acque finiscono all’ASI e non alla società che gestisce i depuratori», spiega Giuseppe Morsa. L’ASI versa all’Asidep 72mila euro al mese, 864mila euro all’anno, meno di un quarto di quello che incassa. Nonostante abbia preso in carico il lavoro da pochi anni, l’Asidep ha così accumulato in un tempo breve debiti per otto milioni di euro, finendo in liquidazione esattamente come la CGS, la società che l’aveva preceduta.