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  • Giovedì 7 dicembre 2023

Alla COP28 tutto gira attorno a queste parole

I negoziati sul clima potrebbero decidere di "eliminare gradualmente" l'uso dei combustibili fossili, o più probabilmente di "ridurlo gradualmente"

Il presidente della COP26 di Glasgow Alok Sharma dopo essersi scusato per la versione finale dell'accordo uscito dalla conferenza, il 13 novembre 2021 (Jeff J Mitchell/Getty Images)
Il presidente della COP26 di Glasgow Alok Sharma dopo essersi scusato per la versione finale dell'accordo uscito dalla conferenza, il 13 novembre 2021 (Jeff J Mitchell/Getty Images)

Le conferenze sul clima delle Nazioni Unite (COP) finiscono quando i paesi del mondo si mettono d’accordo su un documento finale che aggiorni gli impegni condivisi a livello internazionale per contrastare il riscaldamento globale. Dato che questi documenti devono essere approvati da paesi con interessi, ambizioni ed esigenze molto diverse, sono testi sottoposti a intensi negoziati che possono riguardare singole parole. Ed è capitato che fossero singole parole a determinare il successo o l’insuccesso di una conferenza e, di conseguenza, l’entità delle iniziative internazionali per fermare il cambiamento climatico, almeno sulla carta.

A volte si è trattato di apparenti sfumature. Alla fine della COP21 del 2015, quella da cui uscì l’importante Accordo sul clima di Parigi, cioè il documento che fissò l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media globale inferiore ai 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 °C, ci fu un caso riguardo a una frase. Diceva che i «paesi sviluppati dovrebbero continuare a svolgere un ruolo guida, prefiggendosi obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni». Gli Stati Uniti infatti contestarono l’uso dell’ausiliare inglese shall al posto di should: entrambi si usano per descrivere intenzioni o impegni futuri, ma il primo ha una connotazione più vicina all’obbligo. Solo grazie a una tattica diplomatica della Francia, il paese organizzatore della conferenza, si riuscì a cambiare la parola e ottenere il fondamentale consenso statunitense all’accordo.

Alla COP28 in corso a Dubai le parole su cui si sta discutendo di più sono i verbi alternativi phase out e phase down e l’aggettivo unabated. Tutti e tre riguardano l’uso dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale), al cui uso si deve la maggior parte delle emissioni di gas serra che causano il cambiamento climatico, e gli impegni che i paesi delle Nazioni Unite potrebbero prendere in proposito. Capire bene coma mai la loro presenza o meno potrebbe cambiare le sorti della COP (e del futuro dell’umanità) non è semplicissimo, ma il sito di notizie sulla climatologia e sulle politiche climatiche Carbon Brief lo ha spiegato in un lungo approfondimento.

Phase out o phase down
In inglese phase out significa “eliminare in modo graduale” mentre phase down significa “ridurre in modo graduale”: gli attivisti ambientalisti e un piccolo gruppo informale di paesi noto come “High Ambition Coalition”, “Coalizione della grande ambizione”, vorrebbero che alla fine della COP28 i paesi del mondo si impegnassero a eliminare (phase out), entro un certo arco di tempo, l’uso di tutti i combustibili fossili. È però piuttosto improbabile che la stragrande maggioranza dei governi del mondo voglia promettere qualcosa del genere.

Peraltro lo stesso presidente della COP28 Sultan Ahmed Al Jaber, che è anche l’amministratore delegato dell’azienda petrolifera statale emiratina, una delle più grandi al mondo, ha detto di ritenere che non ci sia «nessuna scienza, o scenario, che dica che l’abbandono graduale [phase-out] dei combustibili fossili permetterà di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 °C».

Questa affermazione è stata duramente contestata da vari scienziati, tra cui il climatologo Joeri Rogelj, uno degli autori dei rapporti sul clima dell’ONU: secondo il rapporto del 2022 tutti i diversi scenari di emissioni future che permettono di mantenere l’aumento della temperatura media globale sotto 1,5 °C prevedono una riduzione quasi totale dell’uso dei combustibili fossili entro il 2050. Anche le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia hanno più o meno la stessa conclusione. Il fatto che sia poco verosimile che si arriverà a una riduzione così significativa dell’uso dei combustibili fossili nei prossimi trent’anni è una delle ragioni per cui oggi gli esperti ritengono improbabile che riusciremo a rispettare questo obiettivo dell’Accordo di Parigi.

L’affermazione di Al Jaber era dovuta al fatto che comunque gli scenari scientifici citati prevedono che si continui a usare in una certa misura, per quanto molto ridotta, i combustibili fossili. Si tratta di una diversa interpretazione del verbo phase out: se lo si intende strettamente come “eliminazione graduale totale”, allora quanto detto da Al Jaber si può considerare fondato; ma di fatto la riduzione prevista dagli scenari è così elevata che rappresenta una “eliminazione graduale di fatto” dell’uso dei combustibili fossili.

Può sembrare una distinzione poco significativa, ma è ciò di cui si sta discutendo. I paesi più restii a ridurre l’uso dei combustibili fossili (tra cui i grandi produttori di petrolio come gli Emirati) vogliono che si usi il verbo phase down, “ridurre gradualmente”, al posto di phase out e argomentano che esprima più correttamente quanto la climatologia dice di fare. Nei fatti al secondo verbo può corrispondere un impegno molto minore, soprattutto perché gli accordi delle COP lasciano ai paesi dell’ONU grandi autonomie su come portare avanti gli impegni sul clima.

L’alternativa tra phase down e phase out era già stata discussa due anni fa, alla COP26 di Glasgow, in Scozia. Il documento di quell’anno è stato il primo a menzionare esplicitamente un combustibile fossile, il carbone, dall’inizio delle conferenze sul clima 26 anni prima, cosa che è stata considerata un successo. Tuttavia se nella versione quasi definitiva si parlava di “graduale eliminazione” del suo uso (phase out), in quella finale, corretta dopo un intervento di Cina e India, si parla di “graduale riduzione” (phase down). Per questa modifica alla fine della conferenza l’allora presidente Alok Sharma si scusò con tutti i delegati e facendolo ebbe un momento di commozione.

Unabated
C’è comunque un’altra parola, meno citata sui media, che avrà un impatto rilevante sul significato del documento finale della COP28, che sia abbinata a phase out o a phase down. È un aggettivo che era già stato usato nel documento finale della COP di Glasgow in riferimento all’uso del carbone ed è unabated.

In questo contesto si potrebbe tradurre grossolanamente con “non abbattuto”: indica l’uso di un combustibile fossile in assenza di tecnologie che consentano di contenere le inevitabili emissioni di gas serra attraverso la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica (CCS). Tecnicamente l’accordo di Glasgow non prevede una riduzione graduale dell’uso del carbone, bensì una riduzione graduale dell’uso del carbone unabated: impegna cioè a ridurre l’uso del carbone in assenza di impianti che impediscano che l’anidride carbonica prodotta dalla sua combustione finisca nell’atmosfera.

Spesso viene dato per scontato, ma la maggioranza dei paesi favorevoli a raggiungere un impegno globale per la riduzione dell’uso dei combustibili fossili – Unione Europea compresa – non vogliono smettere di usarli del tutto: sono solo pronti a promettere che smetteranno di usarli in impianti privi di CCS.

– Leggi anche: Sbarazzarsi dell’anidride carbonica è molto complicato

La differenza è sostanziale per varie ragioni. Quella più rilevante è che attualmente le tecnologie di CCS sono molto costose e difficili da installare: per questo le promesse basate sull’impiego futuro di questi impianti non sono del tutto credibili.

C’è poi un altro aspetto da tenere in considerazione. Se il significato di unabated è relativamente chiaro, non si può dire lo stesso del suo contrario, abated. Non esiste infatti un accordo internazionale condiviso sulla percentuale di emissioni di anidride carbonica che deve essere trattenuta perché si parli di un uso abated dei combustibili fossili. Potrebbe essere del 50 per cento come del 90 per cento e sulla larga scala della produzione energetica globale queste due percentuali potrebbero corrispondere a situazioni molto diverse.

Per gli scienziati autori dei rapporti dell’ONU sul clima si può parlare di un uso abated solo nel caso in cui venga rimosso il 90-95 per cento delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uso dei combustibili fossili. Se i paesi del mondo non si accorderanno esplicitamente su cosa intendono per “abbattimento delle emissioni” in questo contesto, un eventuale impegno a ridurre o anche a eliminare le emissioni unabated potrebbe risultare molto poco concreto.

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