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  • Mercoledì 29 novembre 2023

Ha senso far organizzare una COP a uno dei maggiori produttori di petrolio?

La conferenza sul clima che inizia domani a Dubai ha per presidente il capo dell'azienda petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti

Un'area naturale protetta e lo skyline di Dubai, con il celebre Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, 8 gennaio 2023 (AP Photo/Kamran Jebreili, File)
Un'area naturale protetta e lo skyline di Dubai, con il celebre Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, 8 gennaio 2023 (AP Photo/Kamran Jebreili, File)
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Gli Emirati Arabi Uniti sono il settimo paese al mondo per produzione di petrolio e il settimo per emissioni di gas serra pro capite. Sono anche il paese ospite della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di quest’anno, la COP28 di Dubai, che inizierà giovedì. Negli ultimi mesi il contrasto tra lo scopo delle COP, cioè trovare soluzioni agli effetti dannosi del riscaldamento globale ed evitare che aumenti eccessivamente, e il ruolo dell’industria dei combustibili fossili nel causare lo stesso fenomeno ha fatto molto discutere sull’organizzazione dell’evento da parte degli Emirati.

In particolare si è parlato della nomina a presidente della COP di Sultan Ahmed Al Jaber, che è l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), l’azienda petrolifera statale emiratina, che è considerata la 12esima più grande società del settore al mondo. Molti gruppi ambientalisti hanno criticato sia la scelta di Dubai che quella di Al Jaber e hanno espresso il timore che l’organizzazione della COP fatta da un grande esportatore di petrolio possa rallentare il contrasto al cambiamento climatico. Tali timori sembrano in una certa misura confermati da alcuni documenti arrivati all’organizzazione Centre for Climate Reporting e a BBC secondo cui gli Emirati hanno intenzione di fare accordi per la vendita di combustibili fossili con 27 altri paesi approfittando della presenza dei loro rappresentanti durante la COP (Al Jaber ha negato che sia vero).

Tra gli altri, l’attivista ambientalista Greta Thunberg aveva definito «ridicola» la nomina di Al Jaber e l’ex vicepresidente statunitense Al Gore, noto in tutto il mondo per il suo impegno contro il cambiamento climatico, aveva detto che gli interessi del settore dei combustibili fossili avevano preso il sopravvento sulle conferenze dell’ONU. A maggio più di cento membri del Parlamento Europeo e del Congresso statunitense avevano chiesto che la nomina di Al Jaber a capo della COP28 fosse annullata. In precedenza i gruppi ambientalisti avevano anche chiesto che Al Jaber sospendesse il suo incarico da amministratore di ADNOC per conflitto d’interessi durante la presidenza della COP.

– Leggi anche: Di cosa si parlerà alla COP28 di Dubai

Non era mai successo prima che il capo di un’azienda petrolifera svolgesse il ruolo di presidente di una COP. Il settore dei combustibili fossili è una delle industrie che si oppongono di più alle iniziative per pianificare l’abbandono di queste materie prime, anche sul lungo periodo. Durante la COP dell’anno scorso, quella tenutasi a Sharm el-Sheikh, in Egitto, più di 80 paesi avevano chiesto che si fissassero dei termini per una forte riduzione dell’uso di petrolio e gas naturale (oltre che per il carbone, che è il più inquinante dei combustibili fossili) ma i paesi che li esportano si erano opposti con forza.

Sultan Ahmed Al Jaber, il 2 ottobre 2023 (AP Photo/Kamran Jebreili)

Gli Emirati hanno circa 9 milioni di abitanti e sono uno dei paesi più ricchi al mondo se si considera il prodotto interno lordo (PIL) pro capite. Hanno un territorio molto arido e la loro ricchezza è basata proprio sul petrolio. Sono uno dei membri fondatori dell’OPEC, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, e hanno in programma di aumentare le proprie capacità produttive a 5 milioni di barili al giorno entro il 2027. Gli Emirati sono anche uno dei paesi più caldi al mondo e uno con le più grandi disuguaglianze economiche: il numero di persone straniere che ci lavorano, svolgendo in gran parte lavori poco qualificati, è molto superiore a quello delle persone che hanno la cittadinanza.

Al Jaber ha 50 anni, ha studiato nel Regno Unito e negli Stati Uniti e, prima di diventare l’amministratore delegato di ADNOC nel 2016, aveva contribuito a mettere in piedi Masdar, l’azienda statale emiratina che si occupa della produzione di energia da fonti rinnovabili ed esiste dal 2006. Al Jaber è tuttora presidente di questa azienda, è anche ministro dell’Industria e della Tecnologia degli Emirati e rappresenta da tempo il governo del paese nelle discussioni internazionali sul clima.

Come presidente della COP28 Al Jaber ha sostenuto di voler tenere un approccio inclusivo alla conferenza, che per lui significa includere i rappresentanti del settore dei combustibili fossili: senza di loro, secondo lui, non si può portare avanti la transizione verso un’economia globale che produce meno emissioni di gas serra. Tale posizione però non è affatto condivisa dagli scienziati che si occupano di clima e dagli attivisti.

Alcuni politici e altre persone coinvolte nelle COP invece hanno condiviso parzialmente questo punto di vista. È il caso di Frans Timmermans, ex vicepresidente della Commissione Europea ed ex commissario europeo per il Clima, che aveva detto che «se vogliamo che la transizione energetica funzioni, bisogna coinvolgere le aziende che producono l’energia».

Al Jaber ha anche sostenuto che la sua esperienza nel settore sarà utile per ottenere la collaborazione dell’industria petrolifera nel contrasto alla crisi climatica. Nell’ultimo anno ha lavorato per convincere più di venti aziende del settore a prendere un impegno per ridurre le emissioni di gas serra nella produzione e nella distribuzione di combustibili fossili in occasione della COP28. Anche se un impegno di questo genere verrà annunciato bisogna comunque tenere conto che non riguarda le emissioni prodotte bruciando i combustibili fossili per produrre energia e altro, che sono la stragrande maggioranza.

Manifesti contro la nomina di Al Jaber a capo della COP28 a Bonn, in Germania, l’8 giugno 2023 (AP Photo/Martin Meissner)

Già la COP27 dell’anno scorso era stata criticata per la partecipazione dell’industria petrolifera: nella lista delle persone registrate all’evento era stato notato un aumento significativo di persone connesse in un modo o nell’altro al settore dei combustibili fossili rispetto alle conferenze precedenti. Più di 600 lobbisti del settore avevano preso parte alla conferenza. Alla COP28 di Dubai ci sarà addirittura un padiglione dell’OPEC. Annunciandolo il segretario generale dell’organizzazione Haitham al Ghais ha detto: «Spero che tutte le voci saranno presenti al tavolo della COP28».

Al Jaber ha detto in più occasioni che una diminuzione nell’uso dei combustibili fossili sarà essenziale e inevitabile, ma che comunque non sarà completa, argomentando che anche i rapporti dell’ONU sul clima dicono che un contributo dei combustibili fossili alla produzione energetica globale continuerà a essere necessario.

L’organizzazione della COP28 negli Emirati è stata criticata anche per via delle limitazioni alla libertà d’espressione presenti nel paese e per come potrebbero impedire proteste ambientaliste nei giorni della conferenza e la partecipazione degli attivisti. Ad agosto il governo emiratino aveva detto che permetterà agli attivisti ambientalisti di «far sentire la propria voce» e radunarsi pacificamente alla conferenza, «in linea con le norme e i principi internazionali che riguardano i diritti umani». Normalmente negli Emirati le manifestazioni di protesta considerate di disturbo dalle autorità non vengono autorizzate.

In occasione di COP precedenti erano spesso state organizzate grandi manifestazioni di protesta, mentre a quella in Egitto dell’anno scorso sono state permesse solo proteste di dimensioni ridotte, solo in certi orari e in spazi limitati con un’alta presenza di agenti di polizia.