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  • Martedì 28 novembre 2023

I racconti della detenzione degli ostaggi di Hamas

Alcune persone liberate negli ultimi giorni erano tenute prigioniere nei tunnel, molte hanno perso peso e una ha cercato di scappare

(Haim Zach/GPO/Handout via AP)
(Haim Zach/GPO/Handout via AP)
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Ad alcuni giorni dall’inizio della tregua tra Israele e Hamas, nessuno degli ostaggi israeliani liberati finora ha parlato con i media o raccontato in pubblico la propria esperienza: la maggior parte di loro si trova in ospedale, più come misura di protezione e privacy che per effettivo bisogno di cure, perché il governo israeliano sta cercando di ridurre l’esposizione pubblica per concentrarsi sul loro recupero psicologico e fisico. Negli scorsi giorni, però, hanno cominciato a parlare con i media i parenti degli ostaggi.

Secondo i primi racconti, le condizioni di detenzione sono state piuttosto dure. Molte delle persone tenute in ostaggio hanno perso peso a causa della scarsa nutrizione. Diverse sono state tenute al buio dei tunnel di Hamas per tutto il tempo della detenzione, o hanno dovuto dormire su panchine o sedie di plastica. Almeno una ha tentato di scappare, prima di essere ripresa. Alcune di loro hanno saputo soltanto dopo la liberazione dell’uccisione di loro parenti da parte di Hamas durante l’attacco del 7 ottobre.

Molte delle informazioni sugli ostaggi rimangono però ancora scarse e probabilmente se ne saprà di più nei prossimi giorni. Gli psicologi israeliani che lavorano con loro stanno cercando di evitare il più possibile di fare pressioni e generare nuovi traumi. Nei primi quattro giorni di tregua, tra venerdì della settimana scorsa e lunedì, Hamas ha liberato 50 degli oltre 200 ostaggi israeliani rapiti durante l’attacco contro i civili del 7 ottobre, in cambio del rilascio di 150 prigionieri palestinesi.

Uno dei racconti più completi finora è stato quello di Merav Raviv, una donna parente di tre ostaggi liberati: sua zia Ruthie Munder, sua cugina Keren Munder e il figlio di Karen, Ohad. Secondo il racconto, durante la prigionia sia Ruthie sia Keren Munder hanno perso più di sette chili di peso, perché venivano nutrite quasi esclusivamente con riso e pita, una specie di pane. Le due donne dormivano su una fila di tre sedie di plastica legate assieme e hanno raccontato di essere state tenute in prigionia sia sottoterra (presumibilmente nei tunnel di Hamas) sia in edifici in superficie.

Erano comunque sempre sorvegliate: per andare in bagno dovevano bussare alla porta della loro cella per avvertire i loro carcerieri, e attendere che qualcuno aprisse. In alcuni casi, hanno raccontato, l’attesa poteva durare ore.

Ava Adar, nipote di Yaffa Adar, che a 85 anni è la più anziana tra gli ostaggi liberati, ha detto che anche sua nonna ha perso peso ma che tutto sommato si trova in buone condizioni di salute. Yaffa Adar ha contato ogni singolo giorno della prigionia, e al suo ritorno sapeva che erano passati 50 giorni esatti.

Secondo i racconti dei parenti, la maggior parte degli ostaggi è stata tenuta in tunnel sottoterra. Eyal Nouri, nipote di Adina Moshe, ha detto che sua zia si è dovuta «riabituare alla luce del sole» perché era stata tenuta al buio per settimane. Adina Moshe, che ha 72 anni, ha scoperto soltanto al momento della liberazione che suo marito era stato ucciso dai miliziani di Hamas, ma che suo figlio era sopravvissuto. Una delle storie più terribili da questo punto di vista è quella di Noam e Alma Or, due adolescenti di 16 e 13 anni liberate venerdì, che hanno scoperto soltanto in quel momento che la loro madre era stata uccisa da Hamas e che il padre risulta ancora disperso.

Un’altra storia notevole è quella di Ron Kriboy, un giovane uomo russo-israeliano di 25 anni, la cui presenza tra gli ostaggi liberati è già di per sé abbastanza inusuale: finora sono stati liberati quasi esclusivamente donne, anziani e bambini, più alcune persone thailandesi. Kriboy è stato liberato, secondo Hamas, in segno di riconoscenza per la vicinanza che la Russia ha espresso nei confronti del gruppo in queste settimane.

Ad ogni modo i parenti di Kriboy hanno raccontato ai media che a un certo punto era riuscito a scappare dai suoi carcerieri, quando l’edificio in cui si trovava era stato bombardato. Era rimasto nascosto per quattro giorni, da solo. Aveva cercato di raggiungere il confine con Israele, ma era stato ritrovato e riportato in prigionia.

In generale, le condizioni di salute degli ostaggi liberati finora sono buone. Quasi tutti riescono a camminare e parlare e pochi tra loro hanno avuto bisogno di cure mediche intensive: tra questi una donna di 84 anni, che è stata portata d’urgenza in ospedale per un problema medico preesistente che era stato trascurato durante la prigionia.