Cosa verrà dopo lo smartphone?

La presentazione di una spilla collegata a Internet e con sistemi di intelligenza artificiale ha rinnovato il dibattito sulle prossime evoluzioni di una tecnologia che usiamo tutti

(Humane)
(Humane)
Caricamento player

Sei anni fa Walt Mossberg, storico giornalista di tecnologia tra i più rispettati e ascoltati negli Stati Uniti, scrisse “La scomparsa del computer”, un articolo nel quale rifletteva sulle future evoluzioni dei dispositivi tecnologici che usiamo ogni giorno, ipotizzando un momento in cui saranno praticamente invisibili e integrati ancora più di oggi nelle nostre esistenze. Gli inventori di Ai Pin pensano che il loro piccolo dispositivo, che si indossa come una spilla, sia un primo esempio della tecnologia invisibile immaginata da Mossberg e raccontata da decenni in libri, film e serie tv di fantascienza, come Star Trek. La recente presentazione del loro prodotto ha attirato grandi attenzioni e portato nuove considerazioni al dibattito sul nostro rapporto con la tecnologia, il futuro degli smartphone e le intelligenze artificiali, ma ha anche raccolto critiche e recensioni sprezzanti.

Il nome Ai Pin dà già un’idea di che cosa si tratta: Ai sta per “intelligenza artificiale” e pin in inglese significa spilla. È un oggetto grande più o meno quanto una scatola di fiammiferi ed è formato da due elementi magnetici: il primo va inserito sotto l’abito e ha una batteria che ne ricarica una più piccola nel secondo, che rimane invece in bella vista sopra al vestito. I magneti pizzicano il tessuto in modo da tenere Ai Pin fermo al suo posto, nella parte alta del petto dove si portano di solito le spille. Lo si attiva toccandolo e i comandi possono essere impartiti a voce, con un tocco delle dita oppure con alcuni movimenti della mano, sul cui palmo Ai Pin proietta un’interfaccia molto semplificata.

Per essere la prima iterazione di una tecnologia invisibile, Ai Pin è decisamente visibile soprattutto al prossimo, che potrebbe non trovarsi a proprio agio ad avere un obiettivo puntato addosso. Il dispositivo ha infatti una fotocamera che, sempre con gesti e comandi vocali, può scattare fotografie o brevi video. Una luce nella parte superiore della spilla si accende per segnalare la registrazione in corso, ma come avviene spesso con i dispositivi da indossare che fanno riprese non è detto che le altre persone siano consapevoli di questo dettaglio. La videocamera è però essenziale per far vedere al sistema di intelligenza artificiale ciò che si ha davanti, per esempio per chiedere che pianta si sta osservando o quante calorie ci sono in una banana.

(Humane)

L’idea di Ai Pin è il frutto di un lavoro di sviluppo durato cinque anni circa da parte di Humane, una startup statunitense che ha raccolto nel tempo oltre 240 milioni di dollari di investimenti, soprattutto grazie all’interessamento di Microsoft, OpenAI (la società di ChatGPT e DALL•E) e di Salesforce, la grande azienda che offre soluzioni tecnologiche per la gestione delle aziende e delle loro attività. I principali fautori del grande interesse intorno a Humane sono Imran Chaudhri e Bethany Bongiorno, marito e moglie e cofondatori della società con un passato in Apple.

– Leggi anche: OpenAI sarà la prossima grande azienda tecnologica?

Chaudhri ha 50 anni e ha lavorato sulle interfacce di vari dispositivi compresi gli iPhone. Nel 2008 conobbe Bongiorno, che ora ha 40 anni e che all’epoca lavorava alla pianificazione dei progetti legati allo sviluppo degli iPhone e degli iPad. Erano entrambi interessati a lavorare su proprie idee, di conseguenza nel 2016 lasciarono Apple per sviluppare nuovi sistemi di interazione con i dispositivi tecnologici.

Racconta il New York Times che in quel periodo Chaudhri e Bongiorno frequentavamo Brother Spirit (letteralmente “Spirito Fratello”), un monaco buddista che avevano conosciuto tramite un agopunturista e che si era interessato alle loro prime idee che comprendevano un dispositivo per tenere traccia della salute delle donne e una sorta di assistente personale, non da tenere in casa come Google Home ma da portarsi dietro, applicandolo come una spilla ai vestiti. Brother Spirit consigliò alla coppia di sviluppare le loro idee e soprattutto di parlarne con un suo amico: Marc Benioff, il fondatore di Salesforce.

Imran Chaudhri e Bethany Bongiorno (Humane)

Nel 2018 Chaudhri e Bongiorno illustrarono le loro idee a Benioff che gli consigliò di puntare sul prodotto che sarebbe poi diventato Ai Pin: «È pazzesco. Sarà un’azienda gigantesca», commentò all’epoca. Humane, la società, avrebbe in effetti raccolto in pochi anni decine di milioni di finanziamenti, nonostante i suoi progetti non fossero sempre molto chiari e lo sviluppo di Ai Pin procedesse in gran segreto, con un approccio simile a quello seguito praticamente da sempre da Apple. La grande segretezza portò alcuni esperti e siti di tecnologia a fare ipotesi creative o a bollare l’iniziativa come una causa persa. Poi a maggio di quest’anno le cose cambiarono.

Imran Chaudhri salì sul palco di una conferenza delle serie TED e mostrò in anteprima un prototipo di Ai Pin dicendo di avere pensato al futuro della tecnologia invisibile, resa possibile dagli ultimi sviluppi nel settore dell’intelligenza artificiale. Fece una dimostrazione di alcune delle funzionalità della sua spilla, utilizzando comandi vocali e il mini proiettore per il palmo della mano, dicendo che il nostro modo di interagire con i dispositivi tecnologici personali sarebbe cambiato radicalmente. La presentazione sorprese alcuni, lasciò più freddi altri e fece sollevare anche qualche sospetto sull’autenticità della dimostrazione, accuse poi respinte da Chaudhri.

A distanza di qualche mese da quel TED, a inizio novembre Humane ha presentato ufficialmente Ai Pin, dicendo che sarà messo in vendita per cominciare negli Stati Uniti al prezzo di 699 dollari, con un abbonamento mensile di 24 dollari, necessario soprattutto per pagare la connessione del dispositivo tramite rete mobile quando non è collegato al WiFi.

La società si aspetta di riuscire a vendere almeno 100mila delle sue spille intelligenti entro la fine del 2024, un obiettivo molto ambizioso considerato il prezzo e una domanda che di fatto ancora non c’è. Quando Apple mise in vendita il primo modello di iPod riuscì a vendere quasi 400mila dispositivi in un anno, ma l’azienda era molto più conosciuta e soprattutto si attendeva da tempo un dispositivo per ascoltare file musicali più pratico di quelli messi in vendita fino ad allora.

Dalle interviste e dalle varie presentazioni di Ai Pin, Chaudhri e Bongiorno sembrano comunque abbastanza sicuri del successo del loro dispositivo. Grazie a ChatGPT nell’ultimo anno l’interesse per le intelligenze artificiali è aumentato enormemente e non solo tra gli addetti ai lavori. Non è un caso che OpenAI, l’azienda che produce quel sistema, abbia investito in Humane e fornisca alcune delle tecnologie necessarie per far funzionare Ai Pin. Tradurre quell’interesse in un nuovo tipo di dispositivo e così costoso è comunque un’altra questione.

Ai Pin utilizza Cosmos, un nuovo tipo di sistema operativo basato su Android che occorre imparare a usare e che mancando di uno schermo è meno intuitivo rispetto al software di uno smartphone o di uno smartwatch. Secondo Humane in realtà l’utilizzo è semplice visto che il modo principale per interagire è tramite la voce, ma è comunque necessario imparare a riconoscere le varie tipologie di notifiche in base al colore che assume la piccola luce sul dispositivo, così come i gesti e i comandi da utilizzare.

Nelle dimostrazioni fatte finora da Chaudhri e Bongiorno, compresa quella in bella evidenza sul sito di Humane, Ai Pin viene usato per farsi leggere i messaggi ricevuti e dettare le risposte da inviare, facendo unicamente affidamento a ciò che si sente dal dispositivo tramite un piccolo altoparlante orientato verso l’alto (Humane lo chiama un altoparlante “personico” dalla combinazione delle parole “personale” e “sonico”). Se si hanno molti messaggi ancora da leggere, si può chiedere alla spilla di farne un riassunto per decidere a che cosa rispondere, e si può chiedere sempre al dispositivo di rendere più enfatica la risposta già dettata facendogliela riscrivere (una funzionalità simile a quella disponibile su ChatGPT nella sua versione vocale introdotta di recente).

(Humane)

Un ulteriore dettaglio spiazzante, oltre alla mancanza di uno schermo, è l’assenza di applicazioni propriamente dette da installare sul dispositivo. Nella presentazione Bongiorno dice chiaramente «non facciamo app», alludendo a un sistema più fluido e versatile, che sembra però lasciare meno controllo all’utente. La musica, per esempio, per ora può essere ascoltata solamente attraverso il servizio in streaming Tidal, che ha meno del 2 per cento del mercato, e che richiede comunque un abbonamento aggiuntivo a quello di Ai Pin per ascoltare le canzoni. Cosmos dovrebbe poi comprendere integrazioni con altri software, ma per ora non sono state diffuse informazioni.

L’innovazione che ha attirato più attenzioni è la presenza del mini proiettore per vedere alcune informazioni direttamente sul palmo della propria mano. L’effetto è ottenuto con un laser che produce una luce azzurra e con una potenza paragonabile a quella degli scanner per leggere i codici a barre, come quelli delle casse ai supermercati. Per attivarlo si apre il palmo della mano a una certa distanza da Ai Pin, che in risposta proietta sulla pelle alcune informazioni essenziali. Se non ci sono nuove notifiche o attività in corso, il mini proiettore mostra l’ora, la data e volendo le informazioni su punti di interesse nelle vicinanze del luogo in cui ci si trova. Se si sta ascoltando una canzone, invece, viene proiettata sulla mano la classica interfaccia con il tasto Play/Pausa e la possibilità di andare avanti e indietro.

(Humane)

I comandi possono essere impartiti a voce, oppure utilizzando alcuni gesti della stessa mano su cui sta avvenendo la proiezione (non si può interagire con un dito dell’altra mano sul palmo come se fosse lo schermo di uno smartphone, per intenderci). A seconda di come si inclina il palmo, il sistema evidenzia una delle azioni che possono essere svolte, come mettere in pausa la riproduzione della musica; è poi sufficiente unire i polpastrelli del pollice e dell’indice per confermare la selezione e l’azione. Anche in questo caso è necessario fare un po’ di pratica, imparare fino a che distanza dal mini proiettore l’interfaccia rimane a fuoco e leggibile, impratichirsi con i gesti e ricordarsi che le opzioni mostrate sono solo alcune delle funzioni messe a disposizione del dispositivo.

Dalle dimostrazioni fatte finora è emersa una certa lentezza del sistema e ci sono dubbi sulla qualità delle risposte che può fornire l’assistente virtuale, considerato che ChatGPT e altri sistemi di intelligenza artificiale non sono ancora del tutto affidabili. Chaudhri e Bongiorno sono però convinti che la loro idea possa funzionare e che Ai Pin vada nella direzione dei dispositivi tecnologici “invisibili”. Criticano i visori per la realtà virtuale su cui alcune aziende hanno scommesso molto senza particolari risultati, come Meta e più di recente Apple, dicendo che vanno nel senso opposto rispetto alla loro idea di evoluzione delle tecnologie personali: aggiungono una nuova barriera, e piuttosto invadente visto che devono essere tenuti sul viso, invece di rimuovere gli ostacoli e integrare le tecnologie con ciò che abbiamo intorno in un modo più naturale.

In alcune edizioni della serie, i protagonisti di Star Trek comunicano tra loro attraverso una spilla sulla loro divisa, che ricorda un poco il sistema di Ai Pin, e parlano direttamente con il computer di bordo della loro astronave, senza utilizzare uno specifico dispositivo. Ma utilizzano comunque computer e altri aggeggi con gli schermi durante le loro esplorazioni spaziali. Siamo una specie fortemente centrata sulla vista: il nostro cervello elabora in continuazione gli stimoli visivi, siamo abituati a farci un’idea del mondo soprattutto osservandolo e il mezzo con cui impariamo sono per lo più i nostri occhi. Un tempo lo facevamo con segni sulla pietra, per molti secoli con parole e illustrazioni sui libri e nell’ultimo secolo sempre di più con ciò che vediamo sugli schermi.

Lo smartphone ha reso sempre accessibile uno di quegli schermi nelle nostre tasche e forse per questo persino la fantascienza fatica a immaginare sistemi diversi e completamente alternativi. Samantha, l’assistente virtuale di cui si innamora Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) nel film Her, dialoga con il protagonista a voce, ma è comunque dentro un dispositivo che ricorda uno smartphone e che ha uno schermo con il quale si può interagire. Sta nel taschino di una camicia e ha una fotocamera, quindi può essere indossato in un modo non molto diverso da Ai Pin.

Il dispositivo utilizzato in “Her” per comunicare con Samantha

Chaudhri e Bongiorno non hanno comunque la presunzione di cambiare così radicalmente il nostro rapporto con la tecnologia in tempi brevi e sono anche consapevoli degli attuali limiti del loro sistema. Nei mesi scorsi hanno indossato a lungo Ai Pin per testarne le funzionalità, pensarne di nuove e individuare eventuali malfunzionamenti. Nonostante l’impiego assiduo non hanno rinunciato agli schermi, come ha confermato Chaudhri al New York Times: «Stiamo usando meno gli smartphone? Li stiamo usando in modo diverso».

I tentativi precedenti per superare lo smartphone hanno del resto avuto alterni successi, a conferma di quanto sia difficile immaginare soluzioni per superarlo. Nel 2012 Google aveva annunciato “Project Glass”, cioè lo sviluppo di particolari occhiali per visualizzare messaggi, indicazioni e notifiche su un piccolo schermo semitrasparente all’altezza degli occhi che non ostruiva la vista dell’ambiente circostante. I Google Glass avrebbero avuto successive evoluzioni, ma si sarebbero comunque rivelati un fallimento anche a causa del loro prezzo intorno ai 1.500 dollari. A marzo di quest’anno Google ha sospeso la loro vendita e non è chiaro se svilupperà nuove versioni.

(Google)

Alcuni legano l’insuccesso dei Google Glass all’evoluzione che ebbe il mercato della tecnologia personale negli anni in cui erano in fase di sviluppo. Nel 2015 fu messo in vendita il primo Apple Watch che contribuì a portare maggiore interesse verso gli smartwatch, fino ad allora utilizzati soprattutto da chi faceva sport. Il settore si è rapidamente ingrandito, anche se non ha raggiunto i successi degli smartphone che continuano a essere molto più richiesti e venduti.

Uno smartwatch con un sistema di intelligenza artificiale più elaborato di quelli attualmente disponibili, come Siri sugli Apple Watch o l’Assistente Google, potrebbe fare concorrenza a Ai Pin, come hanno osservato vari analisti, rendendo più difficile la crescita di Humane. Apple ha in programma l’aggiunta di un sistema di intelligenza artificiale nella prossima versione dei propri sistemi operativi, che sarà presentata all’inizio dell’estate del 2024, mentre Google sta perfezionando Bard, il servizio che nelle intenzioni dell’azienda dovrà fare concorrenza a ChatGPT.

E proprio lo sviluppo di nuovi sistemi di intelligenza artificiale potrebbe cambiare le modalità di interazione con alcuni dispositivi, slegandola almeno in parte dagli schermi. Su alcuni compiti, come rispondere a un messaggio, il livello di affidabilità è ormai più che sufficiente, mentre è ancora migliorabile sul resto. Nel video di presentazione di Humane viene chiesto a Ai Pin di fornire indicazioni sul posto migliore per osservare l’eclisse di Sole del prossimo aprile: il dispositivo risponde dicendo che l’Australia sarà il luogo ideale, mentre invece il posto migliore sarà il Nord America, nel nostro emisfero. Humane ha ammesso l’errore e specificato che il sistema deve essere ancora perfezionato, e che provvederà a correggere il video appena possibile.

Nuovi dispositivi simili a Ai Pin faranno la loro comparsa nel corso del 2024, ma secondo esperti e analisti non influiranno più di tanto sull’utilizzo degli smartphone. Carolina Milanesi, presidente della società di analisi di mercato Creative Strategies nella Silicon Valley, ha detto al sito Inverse: «Gli smartphone continueranno a costituire le fondamenta della nostra esperienza legata ai computer ancora per un bel pezzo, ma senza dubbio vedremo questa tecnologia evolversi in diverse direzioni, come del resto sempre accade, ma non così in fretta».

Nonostante venga prospettata da tempo, è del resto ancora distante la possibilità di disporre in modo esteso di quella che viene definita “intelligenza ambientale”, cioè vivere circondati da tecnologie che interagiscono tra loro e svolgono svariati compiti senza essere invadenti o persino visibili. Tendiamo inoltre a pensare che una nuova tecnologia soppianti quella precedente, ma storicamente questo non è stato il caso soprattutto per molte tecnologie personali o poi diventate tali: la televisione non ha fatto scomparire la radio, così come i computer non hanno fatto sparire i libri. Gli smartphone stessi sono un’evoluzione di tecnologie che avevamo già a disposizione, ma hanno avuto il pregio di renderle più a portata di mano e a questo devono un successo duraturo.