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  • Sabato 11 novembre 2023

La Corea del Sud ha un problema di libertà di stampa?

Negli ultimi mesi i giornali vicini all'opposizione sono stati oggetto di indagini e più volte criticati, anche dal presidente in carica

(Kim Hong-ji/Pool Photo via AP)
(Kim Hong-ji/Pool Photo via AP)
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Giovedì il Partito democratico di Corea, il principale partito d’opposizione della Corea del Sud, ha chiesto l’impeachment di Lee Dong-kwan, capo della Commissione coreana delle comunicazioni (KCC), l’agenzia pubblica responsabile di monitorare i contenuti dei media e delle telecomunicazioni. Lee, che è stato nominato alla guida del KCC il 25 agosto dall’attuale presidente Yoon Suk-yeol, è accusato dall’opposizione di essere tra i principali responsabili della crescente stretta sulla libertà di stampa notata sia da molti giornalisti coreani sia da vari osservatori internazionali da quando Yoon ha iniziato il suo mandato, nel marzo del 2022 (la Corea del Sud è una repubblica presidenziale).

A inizio agosto, ancora prima della sua nomina, Lee aveva detto di credere fermamente nella libertà d’espressione e di stampa, ma che non considera vere e proprie testate giornalistiche «le televisioni e i giornali comunisti». In base alla legge sudcoreana definirsi comunisti o esprimersi pubblicamente a favore del comunismo è illegale.

Dato che alcuni dei principali quotidiani del paese (tra cui Chosun, JoongAng e Donga) sono storicamente filoconservatori, profondamente critici dei sindacati e dei partiti di sinistra e molto vicini agli interessi delle aziende nazionali, la sua affermazione era stata interpretata da molti come un riferimento ad alcuni media indipendenti che negli ultimi anni hanno spesso espresso posizioni ostili a quelle del governo, o pubblicato inchieste che hanno coinvolto imprenditori e politici conservatori.

Le dichiarazioni di Lee, che è andato a sostituire il precedente Commissario per le comunicazioni accusato di essere stato troppo duro con una televisione vicina all’estrema destra, non sono isolate. Si inseriscono invece in un più ampio contesto di tensione tra il governo di Yoon e i media di opposizione. Nell’ultimo anno e mezzo vari giornalisti critici contro il governo sono stati denunciati per diffamazione o coinvolti in indagini criminali che molti considerano motivate da una volontà di ritorsione politica, portando la polizia a fare ripetutamente perquisizioni nelle loro case e redazioni.

Va detto che spesso questi giornali non si sono fatti problemi ad accusare Yoon di corruzione senza molte basi, e a metterlo in imbarazzo di fronte alla comunità internazionale. Il dibattito pubblico sudcoreano è spesso aggressivo e sopra le righe e media di sinistra come Hankyoreh, Kyunghyang e Newstapa usano a propria volta toni molto accusatori quando scrivono della magistratura o di personaggi politici di destra come Yoon.

Paragonato da molti all’ex presidente statunitense Donald Trump sia per la sua retorica populista e molto dura con la Cina, sia per le gaffe e per il suo approccio al tema delle discriminazioni e delle disuguaglianze di genere, Yoon inizialmente si era voluto mostrare relativamente benevolo con la stampa. Nei primi mesi di presidenza era per esempio stato il primo leader sudocoreano a rispondere quasi quotidianamente alle domande dei giornalisti prima di mettersi al lavoro la mattina.

Il suo approccio è cambiato dallo scorso settembre, quando un giornalista dell’emittente nazionale MBC ha pubblicato un video in cui si sentiva Yoon che, parlando a un proprio assistente dopo un incontro con il presidente americano Joe Biden vicino a quello che non sapeva essere un microfono ancora acceso, chiamava i parlamentari statunitensi «dei coglioni». Yoon ha provato a smentire di aver detto quella frase, dicendo che i giornalisti avevano sentito male e che stava pronunciando una frase diversa anche se dal suono simile. Poi ha accusato MBC di pubblicare «fake news» in un «tentativo dannoso» di creare una spaccatura tra il governo della Corea del Sud e gli Stati Uniti. Due mesi dopo ha vietato ai giornalisti di MBC di salire sull’aereo presidenziale in uno dei suoi spostamenti.

A settembre di quest’anno, poi, i pubblici ministeri sudcoreani hanno aperto un’inchiesta contro la redazione di Newstapa, un media indipendente nato nel 2012 che negli ultimi anni ha pubblicato varie inchieste critiche nei confronti delle élite sudcoreane (tra cui anche politici, imprenditori e magistrati). La magistratura viene considerata piuttosto vicina a Yoon, che prima di diventare presidente era stato a lungo uno dei magistrati più conosciuti e potenti del paese.

L’inchiesta si concentra su un articolo in cui si dice che nel 2011 Yoon (allora ancora magistrato) aveva deciso di non incriminare un uomo coinvolto in uno scandalo bancario e immobiliare, Cho Woo-hyung, in seguito a pressioni esercitate da un ex magistrato poi diventato avvocato.

La pubblicazione dell’articolo causò molte polemiche ma il suo contenuto venne sempre fortemente negato dal neoeletto presidente e venne presto dimenticato dall’opinione pubblica.

Gli uffici di Newstapa e le abitazioni di alcuni dei suoi giornalisti sono state perquisite, e anche ai giornalisti di alcune altre testate indipendenti sono stati confiscati smartphone e computer alla ricerca di prove. Le autorità governative hanno poi multato tre canali via cavo e televisivi che avevano ripreso l’articolo di Newstapa, accusandoli a loro volta di diffondere «notizie false».

Diversi esperti hanno detto che Newstapa si è esposta a questo genere di critiche pubblicando un’accusa molto grave senza fare troppe verifiche. Ma l’apertura di un’inchiesta è stata vista come una prova dell’approccio molto restrittivo di Yoon contro la stampa.

A settembre la Federazione internazionale dei giornalisti ha diffuso una dichiarazione in cui denuncia il trattamento riservato da Yoon a certi giornali, rilevando «una tendenza preoccupante alle violazioni dei diritti dei media da parte del governo in carica». E già nel marzo di quest’anno nel rapporto del Dipartimento di Stato statunitense sui diritti umani si leggeva infatti che l’attuale governo sudcoreano ha spesso «utilizzato leggi sulla diffamazione e la calunnia piuttosto lasche e criminalizzanti per limitare la discussione pubblica».

In Corea del Sud la diffamazione non ha a che fare con la veridicità di una certa affermazione, ma col fatto che sia espressa o meno «nell’interesse pubblico»: le condanne possono comportare grosse multe e fino a sette anni di carcere.

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«L’amministrazione sta inviando il messaggio che punirà tutti i mezzi di informazione che ne minino la sicurezza o critichino i suoi membri più potenti», si legge in un recente comunicato firmato da trecento giornalisti, professori e attivisti per i diritti umani. Da parte propria, l’amministrazione Yoon dice di aver semplicemente cominciato a prendere maggiormente sul serio la diffusione di notizie false sui media, definendole «una minaccia per una società libera e aperta».

Ad agosto lo stesso Yoon ha detto che «le forze antistatali che seguono ciecamente il totalitarismo comunista, distorcono l’opinione pubblica e sconvolgono la società attraverso la propaganda manipolativa» sono ancora molto diffuse nel paese, e che «in passato le forze del totalitarismo comunista si sono sempre travestite da attivisti democratici, difensori dei diritti umani o attivisti progressisti mentre si impegnavano in tattiche spregevoli e non etiche di falsa propaganda».

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