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  • Venerdì 10 novembre 2023

Il romanzo che ha fatto riscoprire un pezzo di storia europea

“I Libri di Jakub" di Olga Tokarczuk racconta un messia autoproclamato del '700 e un grande scisma dell'ebraismo in Polonia

di Ludovica Lugli

Un ritratto di Jakub Frank in un saggio polacco di fine Ottocento (Wikimedia Commons)
Un ritratto di Jakub Frank in un saggio polacco di fine Ottocento (Wikimedia Commons)

Nella seconda metà del Settecento, in Polonia, un predicatore ebreo convinse migliaia di persone a convertirsi formalmente al cattolicesimo e a integrarsi nella società cristiana europea, in uno dei più grandi scismi mai avvenuti nella storia della religione ebraica. Si chiamava Jakub Frank: nacque intorno al 1726 nell’attuale Ucraina occidentale, in una famiglia piuttosto povera, si autoproclamò messia e grazie al sostegno dei suoi seguaci diventò un barone e conobbe regnanti come l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo-Lorena e il futuro zar russo Paolo I, prima di morire in un lussuoso palazzo di Offenbach, in Germania, nel 1791.

La storia di Frank e dei frankisti ebbe una certa rilevanza nel contesto politico settecentesco dell’Europa orientale, fu causa di persecuzioni per gli ebrei polacchi e fu eccezionale per varie ragioni. Tuttavia a lungo è stata poco conosciuta, anche nei paesi che riguardò più da vicino, per la tendenza a ignorare la storia degli ebrei europei, almeno fino alla Shoah. Le cose sono cambiate con I libri di Jakub di Olga Tokarczuk, pubblicato in polacco nel 2014 e da un paio di mesi anche in italiano: è un romanzo storico di più di 1.100 pagine, che tra l’altro parla moltissimo di teologia, ma in Polonia ha venduto circa 170mila copie nella prima edizione e ha contribuito alla decisione dell’Accademia di Svezia di assegnare a Tokarczuk il premio Nobel per la Letteratura del 2018.

«Non si può raccontare la storia della Polonia, almeno dai tempi del medioevo», dice al Post Tokarczuk, «senza accennare alla presenza degli ebrei. Purtroppo per qualche motivo gli ebrei in Polonia sono di solito associati solo con l’Olocausto, con l’antisemitismo, che in effetti nei confronti del vecchio elemento ebreo era molto forte. Eppure, per molti secoli la convivenza esisteva e andava avanti abbastanza bene».

La copertina italiana di “I libri di Jakub”, pubblicato da Bompiani. Il lungo sottotitolo esplicativo del romanzo riprende lo stile di titolazione dei libri settecenteschi

I libri di Jakub mostra prima di tutto questo aspetto, com’era fatta la società dell’Europa dell’est nella seconda metà del Settecento, attraverso le storie di diversi personaggi, ebrei e cattolici. La Polonia faceva parte, insieme alla Lituania e a vari territori che sono attualmente in Bielorussia e Ucraina, della Confederazione polacco-lituana: uno stato i cui re venivano scelti tramite elezioni a cui partecipava la nobiltà. La maggior parte della popolazione viveva in una condizione di servitù della gleba, sostanzialmente una forma di schiavitù, ma c’era una certa libertà di religione e una relativa tolleranza: gli ebrei non potevano possedere terre, ma non erano sottoposti alla servitù della gleba e alcuni di loro diventavano ricchi con il commercio.

Per questo la Polonia era stata soprannominata “paradisus judaeorum”, “paradiso degli ebrei” in latino, e aveva attirato una numerosa popolazione ebraica da altre zone d’Europa che continuò a vivere lì anche dopo la fine della Confederazione polacco-lituana e la spartizione del suo territorio tra altri paesi europei, alla fine del Settecento. Negli anni Trenta del Novecento, prima della Shoah, in Polonia vivevano circa 3 milioni di ebrei, più del 9 per cento della popolazione totale: una minoranza molto rilevante.

«La cultura polacca è fortemente interconnessa con la cultura ebraica», continua Tokarczuk, «siamo un particolare crogiolo culturale nel quale molte tradizioni, concetti, convinzioni, idee si sono mescolati, creando una nuova qualità. Anche se a qualcuno questo può non piacere». Nel 2015, con I libri di Jakub, Tokarczuk vinse per la seconda volta il premio Nike, uno dei più importanti premi letterari polacchi, e nel discorso di ringraziamento disse che la Polonia aveva compiuto degli «orrendi atti» di colonizzazione nella sua storia, riferendosi alle forme di oppressione subite dalle minoranze culturali nel paese: a causa di queste dichiarazioni la scrittrice venne minacciata da estremisti di destra, tanto che il suo editore decise di procurarle una guardia del corpo.

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Un’altra cosa che s’impara leggendo I libri di Jakub è che tra Seicento e Settecento ci furono accese dispute teologiche anche nel contesto della religione ebraica, come già c’erano state tra le confessioni cristiane. L’assenza di un’autorità religiosa centrale e la diffusa conoscenza dei testi sacri tra gli ebrei favorirono diverse interpretazioni, nuove correnti religiose e addirittura scismi. Ad esempio in Polonia si sviluppò il chassidismo, una delle principali forme dell’ebraismo ortodosso attuale, oggi molto diffuso in Nord America e in Israele.

Un’altra corrente nata in quel periodo è il sabbatianesimo. Il suo nome deriva da quello di Sabbatai Zevi, un rabbino di Smirne, nell’attuale Turchia, che era molto seguito per i propri insegnamenti religiosi. Sosteneva che la salvezza del popolo ebraico fosse vicina e si presentò come il messia, cioè la persona attraverso cui questa salvezza si sarebbe in qualche modo concretizzata. Zevi si convertì all’Islam dopo essere stato arrestato dalle autorità ottomane, ma i suoi seguaci più fedeli interpretarono tale conversione come un momento necessario della sua missione di salvezza e continuarono a diffondere i suoi insegnamenti nelle comunità ebraiche dell’Europa orientale per decenni dopo la sua morte.

Anche la famiglia di Jakub Frank era sabbatiana. Alla nascita del futuro predicatore viveva in Podolia, regione dell’attuale Ucraina che faceva parte del regno polacco, e poco dopo, per via delle discriminazioni che i sabbatiani subivano dagli altri ebrei, si trasferì in territori dell’attuale Romania che all’epoca appartenevano all’Impero ottomano. Come tanti altri ebrei da giovane Frank lavorò come mercante, ma studiò anche la cabala, una pratica mistica dell’ebraismo, sulla cui interpretazione poi basò le sue idee religiose. Nel 1755, dopo aver raccolto intorno a sé un primo gruppo di seguaci tra sabbatiani che vivevano nell’Impero ottomano, andò in Polonia, che considerava una sorta di nuova “terra promessa”, e iniziò a predicare la propria visione religiosa e a presentarsi come nuovo messia, successore di Sabbatai Zevi.

Uno dei suoi insegnamenti principali era la necessità di andare contro le regole fissate dal Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo: venivano violate nei rituali dei suoi seguaci, in cui ad esempio si mangiava carne di maiale. Questi gesti avrebbero avuto la funzione di accelerare il momento della salvezza.

Inizialmente Frank non fu notato al di fuori dalla comunità ebraica polacca, ma nel 1756 lui e i suoi seguaci furono denunciati alle autorità ecclesiastiche polacche dai rabbini per uno di questi rituali, durante il quale Frank e altri uomini avrebbero ballato attorno a una donna seminuda (il frankismo tra le altre cose prevedeva una ampia libertà sessuale, anche per le donne) in presenza di una croce. Questo atto poteva essere considerato sacrilego nei confronti della religione cattolica per via della presenza della croce, e i rabbini lo denunciarono perché non fosse associato all’intera comunità ebraica e suscitasse persecuzioni nei confronti degli ebrei.

Fu il primo di una serie di scontri su questioni religiose tra i rabbini e i frankisti che furono portati avanti coinvolgendo le autorità religiose e politiche polacche. Frank seppe girare la situazione a suo favore perché ottenne l’appoggio di alcuni vescovi e aristocratici, sostenendo che lui e i suoi seguaci – che nel tempo erano diventati qualche migliaio – volevano convertirsi al cattolicesimo. Al tempo stesso si vendicò dei rabbini e del resto della comunità ebraica da cui i frankisti erano stati allontanati facendo circolare nuovamente la diceria antisemita secondo cui gli ebrei bevevano il sangue dei bambini cristiani.

La prima cerimonia di conversione di massa, a cui prese parte lo stesso Frank, avvenne a Leopoli nel 1759. In realtà i frankisti diventarono cattolici solo di facciata: per Frank la conversione di Sabbatai Zevi all’Islam e quella dei suoi seguaci al cattolicesimo era una ulteriore e importante violazione delle leggi ebraiche necessaria alla salvezza. Tra loro i frankisti continuarono a portare avanti i loro riti, formando una specie di setta segreta. Intanto però grazie alla conversione poterono ottenere titoli nobiliari e terre, si integrarono nella società polacca cristiana e si arricchirono grazie ai rapporti con i livelli più alti della società polacca.

Olga Tokarczuk ha parlato di “I libri di Jakub” al Festivaletteratura di Mantova il 10 settembre 2023 (Festivaletteratura)

Per spiegare quanto la vicenda di Frank fosse ignorata in Polonia fino a poco tempo fa, Tokarczuk ricorda che nel periodo in cui lavorava al romanzo, tra il 2007 e il 2014, la pagina a lui dedicata nella versione polacca di Wikipedia era quasi inesistente: «Se rammento bene, si trattava di una voce limitata a una singola frase». Secondo la scrittrice questa forma di oblio era dovuta a una volontà collettiva di dimenticare.

Tutti e tre i gruppi religiosi coinvolti non avevano nessun interesse nel farla ricordare. In primo luogo, la volevano dimenticare gli ebrei ortodossi, per i quali Frank era un mostro e un traditore. Mi ricordo quanto ero sorpresa scoprendo l’ostilità con cui ne scriveva Gershom Scholem [importante filosofo e teologo israeliano di origine ebrea tedesca, ndr], di solito molto calibrato. Anche la Chiesa cattolica non aveva nessun interesse nel ricordarlo. Imprigionato nel convento di Częstochowa, il luogo più sacro del cattolicesimo polacco, Frank si abbandonava agli atti che oggi definiremmo blasfemi. Infine, non volevano ricordare la loro origine nemmeno i discendenti diretti dei frankisti che avevano abbandonato l’ebraismo e si erano assimilati bene nella società cattolica polacca. E così questa storia incredibile è stata accantonata per molti anni, nota solo a pochi.

La stessa Tokarczuk la scoprì per caso, imbattendosi in un vecchio libro di scritti di uno dei discepoli di Frank in una libreria antiquaria. Per mettere insieme tutti i pezzi e per capire il contesto in cui avvenne studiò moltissimo, in modo simile a come si fa per le tesi universitarie. «Non mi ero aspettata di dover svolgere un lavoro così enorme. Ho passato anni a decifrare documenti, curiosare in biblioteche, scambiare lettere con specialisti in varie materie, viaggiare alla ricerca dell’“atmosfera del luogo” e per scoprire dettagli della flora locale».

La storia di Jakub Frank mi si è imposta. Non ho mai progettato di scrivere un romanzo storico, non sono neanche amante di questo genere letterario. Mi sembrava però ingiusto e sciocco che nessuno avesse finora approfondito il tema per raccontare questa storia incredibile e picaresca. Mi capita spesso di sentire un forte imperativo di dover raccontare qualcosa. In tali situazioni suggerirei volentieri a qualcuno di farlo. Ma chi mi vorrebbe assecondare? Chi lo farebbe in mia vece?

La scelta di un romanzo storico è anche legata a un nuovo tipo di responsabilità: quella nei confronti dei fatti. I fatti esistono, non possono essere ignorati, bisogna scrivere rispettandoli. Adattarsi ad essi, lasciandosi allo stesso tempo un po’ di spazio per la fantasia.

Dal punto di vista psicologico un lavoro così lungo e intenso su un libro fa sì che si vive solo di esso. Così è successo anche a me. Dovrei mettere nel mio curriculum vitae un’annotazione: negli anni 2007-2014 ha dimorato nella seconda metà del Settecento.

La politica polacca degli ultimi decenni è stata molto influenzata dal nazionalismo, e quindi da una visione della storia che ignora il multilinguismo e il multiculturalismo polacco del passato. Tokarczuk non è stata l’unica a cercare di riappropriarsene. Nel 2011, quando stava già lavorando al suo lungo romanzo, uscì il film Daas di Adrian Panek, una specie di thriller storico ispirato proprio alla storia di Frank. E più o meno contemporaneamente all’uscita di I libri di Jakub aprì il Museo della storia degli ebrei polacchi di Varsavia, dopo sette anni di lavori.

In generale la riscoperta della cultura ebraica fa parte di un processo iniziato più o meno contemporaneamente con la fine del regime comunista, racconta Tokarczuk: «La mia generazione ha sperimentato una specie di sensazione di perdita da cui è derivata una nostalgia degli ebrei che se ne sono andati. Qualcosa mancava, non veniva espresso, era incompleto. Mi ricordo che negli anni Ottanta e Novanta si è verificata una rinascita di interesse per la cultura e la storia ebraica in Polonia. Tutti cercavano gli antenati ebrei nei loro alberi genealogici».

La scrittrice parla apertamente del significato politico del suo romanzo:

Si usa dire che chi si impossessa della storia ha anche il potere. In Polonia questo fenomeno è particolarmente evidente. Il partito al governo ha la sua visione del passato eroico, patriarcale, tradizionale e cattolico. Sorvola sull’importanza delle minoranze nazionali, insabbia i conflitti, oppure distorce il significato degli avvenimenti. Ho scritto I libri di Jakub contro questo modo conservatore di intendere la storia del mio paese, anche perché oggi ormai abbiamo una percezione molto diversa di alcune cose.

La crisi politica della Confederazione polacco-lituana e le guerre che seguirono portarono Frank a spostarsi in Austria (dove sua figlia potrebbe essere stata una delle amanti dell’imperatore Giuseppe II) e in Germania. Il messia autoproclamato si costruì attorno una specie di corte finanziata dai suoi seguaci e protetta da un esercito personale. Di fatto pochi anni dopo la sua morte il frankismo si estinse in quanto movimento religioso, ma ebbe una influenza significativa sulla società polacca e di altri paesi dell’Europa centrale, perché i frankisti e i loro discendenti entrarono a far parte della nascente borghesia che poi avrebbe avuto un ruolo importante nei moti patriottici ottocenteschi. Alcuni furono ghigliottinati durante la Rivoluzione francese.

La traduzione dal polacco dell’intervista a Olga Tokarczuk è di Monika Wozniak.

– Ascolta anche: La puntata di Comodino in cui si parla di I libri di Jakub