Come si telefona a un presidente del Consiglio

Per i leader internazionali c'è un protocollo che però è flessibile, c'è un ufficio diplomatico che deve vigilare, e poi ci sono delle eccezioni

(Foto Roberto Monaldo / LaPresse)
(Foto Roberto Monaldo / LaPresse)

Lo scherzo telefonico fatto dai due comici russi Vovan & Lexus alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha attirato diverse critiche al governo: sui giornali e sui social network molti hanno accusato lo staff di Meloni e in particolare l’ufficio del consigliere diplomatico della presidente del Consiglio di dilettantismo o superficialità. E l’apparente facilità con cui i due comici sono riusciti a ottenere e registrare una conversazione con Meloni, fingendosi un importante politico africano, ha generato domande e curiosità più in generale su come funzionino i colloqui ufficiali tra capi di governo e leader di importanti istituzioni internazionali.

Esistono ovviamente dei protocolli di sicurezza: un insieme di regole e di prassi a cui i funzionari diplomatici devono attenersi in occasioni come queste. Non sono norme ufficiali, ma piuttosto un codice di comportamento che si è definito nel corso degli anni, più volte aggiornato in base all’evoluzione delle tecnologie e delle relazioni internazionali dell’Italia. I dirigenti di volta in volta responsabili degli uffici sotto i vari governi che si sono succeduti hanno avuto la possibilità di intervenire per suggerire o imporre ai propri collaboratori un approccio particolare da tenere, e accortezze maggiori o minori da rispettare in base ai contesti. C’è insomma una certa flessibilità nell’interpretazione e applicazione di questi protocolli, pur in un contesto di convenzioni condivise e direttive ormai consolidate.

A gestire queste procedure e le telefonate con i leader internazionali, in ogni caso, c’è l’ufficio del consigliere diplomatico, che per legge ha il compito di assistere il presidente del Consiglio «nella sua attività in materia di relazioni internazionali in Italia e all’estero e, in generale, negli atti che attengono alla politica estera». Fu inserito nell’organigramma della presidenza del Consiglio nel 2012, con un decreto del governo di Mario Monti che riorganizzava la presidenza.

A capo di questo ufficio c’è quello che viene chiamato, appunto, “consigliere diplomatico”: viene nominato direttamente dal presidente del Consiglio, che solitamente lo sceglie tra gli ambasciatori di maggiore esperienza in base alla propria sensibilità. È una delle nomine che spesso vengono chiamate “fiduciarie”, fondate cioè sul livello di fiducia che il presidente del Consiglio nutre nei confronti della persona scelta. Questo fa sì che ogni presidente, dopo il suo insediamento, cambi abitualmente il responsabile di questo ufficio. A volte tra il consigliere diplomatico e il presidente si stabilisce una relazione molto diretta, in altri casi il rapporto viene mediato dal capo di gabinetto del presidente o dai suoi collaboratori.

Meloni scelse Francesco Maria Talò, che dal 2017 è “ambasciatore di grado”, cioè il massimo livello raggiungibile nella carriera diplomatica. Dal 2019 al novembre del 2022, quando venne nominato a capo dell’ufficio diplomatico, Talò era stato il rappresentante permanente della delegazione italiana nella NATO a Bruxelles, in Belgio.

Se è prassi che il presidente del Consiglio nomini un consigliere diplomatico di sua fiducia, non vale necessariamente lo stesso per gli altri componenti dell’ufficio. Formalmente la responsabilità della nomina è sempre del presidente del Consiglio, ma nella pratica il presidente sceglie tenendo conto delle indicazioni del consigliere diplomatico.

Dall’ufficio del consigliere diplomatico dipende l’organizzazione degli appuntamenti telefonici (e non solo) del presidente del Consiglio. Anche in questo caso ci sono prassi piuttosto consolidate ma flessibili, che vengono adattate a seconda delle circostanze e dei leader internazionali coinvolti negli appuntamenti. Un presidente del Consiglio può anche prendere contatti con un altro leader internazionale personalmente, senza mediazioni, e poi dare disposizioni al suo consigliere per preparare l’appuntamento. Succede di solito tra capi di stato o di governo europei che si conoscono bene sul piano personale, o tra leader che si incontrano in occasione di una riunione internazionale (come il G7 e il G20) e poi si mettono d’accordo per risentirsi telefonicamente per qualche ragione.

– Leggi anche: Un’amicizia vera tra capi di Stato

La maggior parte delle volte però avviene il processo inverso: sono cioè gli uffici diplomatici dei rispettivi leader a svolgere un lavoro preparatorio e poi a comunicare i dettagli al presidente. Quasi sempre uno dei due uffici si mette in contatto con l’altro, e capire “chi cerca chi” nelle consuetudini diplomatiche ha una certa importanza. L’attività preliminare è accompagnata da un lavoro di verifica che è tanto più scrupoloso quanto meno sono solidi i rapporti tra i leader. Nel caso di presidenti o di responsabili di istituzioni che intendono stabilire un contatto per la prima volta, solitamente ci si avvale della consulenza e del controllo preventivo delle ambasciate presenti nel paese in questione, talvolta anche dei servizi di intelligence. È una pratica che serve non solo per avere la certezza dell’identità delle persone coinvolte, ma anche per assicurarsi che nel colloquio si parlerà dei temi concordati: può capitare che alcune richieste abbiano secondi fini, e che alcuni leader vogliano usarli per deviare poi la conversazione su argomenti che per qualsiasi ragione il presidente del Consiglio di turno preferisce evitare. È un lavoro che serve insomma a scongiurare situazioni imbarazzanti o conversazioni spiacevoli.

Una volta che sono stati presi i contatti, d’intesa coi leader si cerca un giorno e un orario che possa andare bene per entrambe le parti: può sembrare una questione più marginale, ma in realtà anche la facilità con cui si trova il cosiddetto “incastro delle agende” nella diplomazia ha un valore simbolico importante, perché testimonia la bontà delle relazioni tra i paesi e i presidenti coinvolti. Dopo l’elezione di Joe Biden come presidente degli Stati Uniti, ad esempio, in Italia si sviluppò una piccola polemica politica per il ritardo con cui Giuseppe Conte ottenne dalla Casa Bianca lo spazio per il tradizionale colloquio di congratulazioni, alcuni giorni dopo rispetto ad altri capi di stato o di governo europei.

Dopo aver scelto data e ora si definiscono i temi da trattare, e su quei temi ciascun ufficio diplomatico istruisce il proprio presidente. Anche qui non ci sono regole fisse, e gli stessi leader durante la conversazione possono adeguare il proprio atteggiamento in base a ciò che ritengono più opportuno. Il consigliere diplomatico cura nel dettaglio le relazioni coi paesi più importanti per l’Italia: Stati Uniti, Cina, Francia, Germania e pochi altri. Per il resto si affida al suo vice, il consigliere aggiunto, che delega nel modo che ritiene più opportuno ai suoi collaboratori, i consiglieri: attualmente sono in tutto sei e hanno ciascuno una delega su base territoriale (responsabile per l’Africa, per l’Asia, eccetera) o su materie specifiche. Se la telefonata da preparare è con il presidente argentino, per esempio, se ne occupa il responsabile per il Sud America.

Si arriva così al momento della telefonata, che è quasi sempre registrata. Non solo: è prassi che ad ascoltare il colloquio ci siano anche i rispettivi staff dei due interlocutori. Talvolta il consigliere diplomatico, da solo o con i suoi collaboratori, è presente fisicamente nella stanza del presidente del Consiglio o in quella del suo capo di gabinetto. Se il presidente lo ritiene, può ricevere dal consigliere stesso dei suggerimenti istantanei tramite gesti concordati: tagliare corto su un certo argomento, insistere su una certa questione, eccetera. Altre volte, invece, il consigliere diplomatico ascolta la telefonata da una seconda cornetta, collocata in una stanza attigua a quella del presidente del Consiglio. Il suo compito è quello di prendere note, appunti, e poi nel caso scrivere un rapporto.

Quasi sempre la telefonata è seguita da una breve riunione dell’ufficio diplomatico, a cui partecipa anche il presidente del Consiglio o un suo delegato, per avere un parere generale su com’è andata e per decidere come approfondire i temi trattati. Può anche capitare però, in certe occasioni, che un presidente del Consiglio gestisca queste relazioni e colloqui in maniera più riservata. Mario Draghi ad esempio era solito mantenere una certa autonomia, e aveva contatti piuttosto diretti con molti dei suoi interlocutori più prestigiosi.

Ovviamente la lunga procedura descritta può essere snellita, anche significativamente, soprattutto quando sono in corso eventi internazionali di grande rilievo e l’attività diplomatica del presidente del Consiglio e del suo staff si fa piuttosto frenetica. È il caso, ad esempio, del contesto della telefonata tra Meloni e i due comici russi Vovan & Lexus: la presidenza del Consiglio ha chiarito era avvenuta il 18 settembre scorso, alla vigilia della partecipazione di Meloni ai lavori dell’Assemblea Generale dell’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che si è tenuta tra il 19 e il 21 settembre.

I due comici si sono finti il presidente della Commissione dell’Unione africana, a cui aderiscono 55 stati africani. Il reale presidente della Commissione, che ha sede in Etiopia ad Addis Abeba, è Moussa Faki, politico e diplomatico del Ciad. Ricopre l’incarico dal marzo del 2017. Meloni lo aveva già incontrato di persona nell’aprile del 2023, durante la sua visita in Etiopia.

Nell’ufficio diplomatico la responsabile per l’Africa tra i consiglieri è Lucia Pasqualini, funzionaria di alto grado del ministero degli Esteri, con incarichi di vice console a New York, negli Stati Uniti, e console a Guangzhou, in Cina. È entrata nell’ufficio del consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio nel marzo del 2023.