Gli effetti speciali stanno peggiorando

L'utilizzo sempre più diffuso della CGI ha abbassato in molti casi la qualità, per limiti della tecnologia ma anche per ragioni economiche e scelte stilistiche

Indiana Jones e il quadrante del destino
Una scena del film del 2023 “Indiana Jones e il quadrante del destino”
Caricamento player

Il film Ferrari, che uscirà in Italia a dicembre, è tra i più attesi del 2023. Ambientato a Modena, se ne parla da mesi sia perché racconta la storia di uno dei più grandi imprenditori italiani di sempre, Enzo Ferrari, sia per l’imponente produzione statunitense, che ha coinvolto tra gli altri il regista Michael Mann e l’attore Adam Driver. La recente diffusione del trailer ha accresciuto le aspettative, da una parte, ma ha anche generato qualche perplessità sulla qualità degli effetti visivi in alcune scene.

Verso la fine del trailer una Ferrari in corsa su una strada colpisce una pietra miliare all’esterno della corsia e decolla finendo contro un traliccio. La scena, che potrebbe anche essere ritoccata successivamente prima dell’uscita del film, sembra un’animazione tratta da un videogioco: per la dinamica poco realistica dell’incidente, e per il modo in cui la macchina rimbalza contro il traliccio e continua a ruotare, più o meno intatta, come un solido che galleggia nell’aria.

Dell’apparente declino della qualità degli effetti speciali nei film e in particolare della CGI (computer-generated imagery, le immagini generate al computer), ancora più sorprendente nei casi in cui riguarda grandi produzioni, si discute da diversi anni. È un fenomeno che dipende in parte da concreti limiti delle tecnologie utilizzate, non ancora superati, ma anche da ragioni economiche e da scelte stilistiche e di produzione che hanno reso l’utilizzo degli effetti speciali sempre più centrale, evidente e dominante su altri aspetti della narrazione, nonostante i limiti noti.

Una delle opinioni condivise nella discussione sull’evoluzione della CGI è che negli ultimi trent’anni, in sostanza, non abbia compiuto i progressi che ci si poteva attendere all’epoca dell’uscita di film fondamentali per l’impatto che le tecniche di regia utilizzate, allora innovative, ebbero sul cinema. Jurassic Park, uscito nel 1993 e diretto da Steven Spielberg, e da molti considerato il miglior capitolo di tutta la saga, è ancora oggi citato come esempio di applicazione della CGI misurata e consapevole dei rischi di un utilizzo eccessivo. Nelle oltre due ore del film le scene con immagini di dinosauri generate al computer durano in totale un quarto d’ora, e per il resto i dinosauri che si vedono sono pupazzi meccanici azionati attraverso l’animatronica.

Un paio di anni prima la CGI era stata utilizzata con risultati impressionanti anche per creare gli effetti speciali per il cyborg di metallo liquido nel film Terminator 2 – Il giorno del giudizio, diretto da James Cameron e costato circa 100 milioni di dollari. Dopo essere rimasto per oltre dieci anni il film con il maggiore incasso di sempre tra quelli vietati ai minori non accompagnati, Terminator 2 fu superato in questa particolare classifica nel 2003 da The Matrix Reloaded, secondo film della saga di Matrix.

In The Matrix Reloaded, diretto dalle sorelle Lana e Lilly Wachowski, l’utilizzo della CGI fu molto più esteso rispetto al film precedente. Come ha scritto lo sceneggiatore e produttore statunitense Tom Jolliffe, fu uno dei primi film a proporre la possibilità di una completa sostituzione degli attori con immagini create al computer, nella scena della rissa con i cloni dell’agente Smith. Non fu un esperimento del tutto convincente, e anzi è citato come uno degli esempi di scene in CGI peggiori di sempre. Ma diede comunque una mezza idea dei progressi che era ragionevole attendersi nel decennio successivo.

Eppure, nonostante siano passati più di trent’anni, l’utilizzo della CGI in Terminator 2 e Jurassic Park è ancora considerato un esempio per molti aspetti ineguagliato di qualità degli effetti visivi. E non perché non ci siano stati progressi tecnologici da allora, a cominciare banalmente dall’incremento della potenza di calcolo dei computer. Piuttosto, secondo Jolliffe, una delle ragioni principali del successo duraturo di quei film è che la percezione degli effetti speciali era stata influenzata dalle abilità di registi come Spielberg nel dosarli, seguendo il principio less is more (meno è meglio), alternarli ad altre tecniche e renderli parte della narrazione senza che prevalessero su tutto il resto.

Anche se nel frattempo la tecnica della CGI è migliorata molto in termini assoluti, un cambiamento netto nel modo di utilizzarla ha reso molto più facile osservarne i limiti e notare l’artificiosità delle immagini. Anziché essere utilizzati soltanto nelle scene più importanti, in molti film con grandi produzioni alle spalle gli effetti visivi sono oggi un elemento costante, utilizzato anche per creare sfondi di scene secondarie o di raccordo. In molti casi, cioè, gli effetti speciali non sono utilizzati per creare scene altrimenti molto difficili o impossibili da girare, ma per ridurre i costi del girare quelle scene in determinati ambienti reali: tendenza in parte favorita e accelerata dalle restrizioni durante la pandemia.

Nel film del 2022 Assassinio sul Nilo, diretto da Kenneth Branagh e tratto da un racconto di Agatha Christie, le scene del paesaggio egiziano sono realizzate al computer e si alternano con le scene in ambienti interni. In pratica ogni volta che i personaggi passeggiano sul ponte dell’imbarcazione o si fermano sulla prua la maggior parte dell’inquadratura è occupata da sfondi e oggetti realizzati in CGI e sovrapposti alle riprese girate con il green screen, lo sfondo verde che viene poi tagliato via dalla scena e sostituito al computer. E la frequenza delle scene girate con questa tecnica è tale da non potere proprio passare inosservata.

Non tutte le grandi produzioni statunitensi fanno un uso massiccio della CGI, ovviamente: alcuni registi e attori sono anzi famosi perché ne fanno un uso limitatissimo o nullo. I film interpretati da Tom Cruise sono noti per le scene d’azione spettacolari e spericolate, che lui gira senza stuntman e in cui gli effetti speciali non sostituiscono ma completano le sue acrobazie reali. E in Oppenheimer, diretto da Christopher Nolan, notoriamente avverso all’utilizzo massiccio di effetti speciali digitali, la scena dell’esplosione della bomba nucleare nel deserto è stata realizzata sovrapponendo le riprese di una vera esplosione, controllata e gestibile, provocata apposta per il film.

Scelte stilistiche di questo tipo, in un contesto per il resto largamente dominato dalla tendenza a utilizzare la CGI, fanno dell’autenticità delle scene un punto di forza. E finiscono per essere ancora più ammirate e apprezzate proprio perché il resto della produzione cinematografica che fa largo uso di effetti speciali mostra da tempo i limiti e le imperfezioni di quegli effetti, più che i progressi. E da questo punto di vista il 2023 è stato un anno molto negativo per la CGI nei film.

Ant-Man and the Wasp: Quantumania, ennesimo film di supereroi Marvel, ha ricevuto diverse critiche per l’utilizzo molto raffazzonato e sbrigativo della CGI, difetto riscontrato in generale nei film più recenti del Marvel Cinematic Universe. E critiche simili sono state espresse anche riguardo a The Flash, il film sull’omonimo supereroe DC Comics uscito nel 2023: l’utilizzo della CGI è sembrato dozzinale a così tanti spettatori che il regista Andy Muschietti, nel tentativo di fornire una sorta di giustificazione, ha descritto la particolare qualità degli effetti visivi come il risultato di una scelta stilistica intenzionale.

Come raccontato al Guardian da un professionista che lavora nell’industria degli effetti visivi, uno dei principali problemi attuali del settore deriva dai tempi di lavoro molto ridotti per chi si occupa degli effetti speciali dei film. Gli studi, spesso prenotati con anni di anticipo, risentono della programmazione approssimativa delle società di produzione. E i tempi di realizzazione sono poi così serrati che qualsiasi contrattempo o richiesta di modifiche da parte dei dirigenti dello studio si riflette sulla qualità del prodotto finale.

Rispetto ad altri settori di Hollywood l’industria degli effetti visivi è peraltro una delle meno rappresentate, nonostante l’influenza crescente sul successo o l’insuccesso dei film, ha ricordato il professionista sentito dal Guardian. Attualmente negli Stati Uniti non esiste un sindacato che tuteli gli interessi di tutti gli studi di effetti visivi, sebbene siano stati fatti alcuni tentativi.

Un altro aspetto, di tipo tecnico, che contribuisce a rendere evidenti i limiti attuali della CGI è la tendenza a utilizzarla sempre più spesso proprio per creare una delle cose più difficili da ottenere: i volti umani. Mentre gli effetti visivi sono di solito efficaci quando serve rappresentare cose che non esistono nel mondo reale – dai draghi agli alieni ai dinosauri – il risultato è meno soddisfacente quando serve ricreare qualcosa con cui il pubblico ha più familiarità: leoni e orsi, per esempio, ma soprattutto volti umani.

Il ringiovanimento digitale (digital de-aging) di Harrison Ford per farlo apparire quarantenne in alcune riprese del recente Indiana Jones e il quadrante del destino, per esempio, ha suscitato reazioni perlopiù perplesse. Sebbene apprezzabile e per molti aspetti incredibile, la tecnica del ringiovanimento tende a influenzare il modo in cui gli spettatori osservano i film: la ricerca attenta delle sottili sfumature che rendono autentici i volti, assenti nelle immagini digitali, finisce per essere più che altro una fonte di distrazione.

A parte i limiti nel ringiovanimento del volto di Ford, altre scene in Indiana Jones e il quadrante del destino hanno generato insoddisfazione in una parte del pubblico a causa del prolungato utilizzo della CGI. Tutta la lunga scena iniziale, un inseguimento che si conclude su un treno in corsa, fa un ampio uso di immagini digitali. E somiglia ad altre scene, ormai familiari al pubblico, in cui un personaggio ricreato in CGI si muove in modo innaturale e «gommoso», secondo Jolliffe, e rimbalza goffamente sulle superfici «senza somigliare minimamente a un’entità fisica».

Nel caso di Indiana Jones è un aspetto che risulta ancora più evidente considerando la familiarità del pubblico della saga con un altro modo di girare i film: la scena iniziale di Indiana Jones e l’ultima crociata, uscito nel 1989, si svolge proprio su un treno mentre Indiana sfugge a un gruppo di banditi. Che si trattasse di un inseguimento a cavallo, o un salto da un carro armato o da un carrello, la maggior parte delle scene dei precedenti film di Indiana Jones erano acrobazie reali riprese da una telecamera in luoghi reali. «Sì, è più sicuro girare un inseguimento in treno (in movimento) su un green screen, o creare proprio un’intera inquadratura digitalmente, ma poi il risultato appare orrendo», ha scritto Jolliffe.

Quali che siano le ragioni alla base dei limiti attuali della CGI, il problema sostanziale nel caso di una scena come quella all’inizio del recente film di Indiana Jones è che, nonostante sia molto lunga, «non ci fa mai sentire come se fossimo nel tempo e nel luogo» in cui si svolge l’azione, secondo Jolliffe. E ogni volta che l’utilizzo della CGI produce un’imperfezione o una stranezza sufficiente a interrompere l’illusione che quella scena sia stata girata in un ambiente reale, anche un film costato 300 milioni di dollari può somigliare per qualità degli effetti visivi a un film economico.

Per un recente film d’azione costato 50mila dollari (che sono pochissimi) e di cui è sceneggiatore (Firenado), Jolliffe ha scritto che gli effetti visivi certamente non vinceranno alcun Oscar, né ambivano a vincerlo. Eppure, ha aggiunto, la CGI utilizzata nel film non sembra tutto sommato così diversa da quella che grandi società di produzione come Disney ritengono accettabile per film ambiziosissimi, i cui effetti visivi rappresentano una voce di spesa minore anche rispetto a quella del catering.