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  • Venerdì 20 ottobre 2023

La storia della biblioteca carbonizzata di Ercolano

Sepolta dall'eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, fu scoperta nel 1752 e potrebbe farci scoprire opere greche e latine perdute

Alcuni dei papiri carbonizzati di Ercolano fotografati nel 2015 alla Biblioteca Nazionale di Napoli (AP Photo/Salvatore Laporta)
Alcuni dei papiri carbonizzati di Ercolano fotografati nel 2015 alla Biblioteca Nazionale di Napoli (AP Photo/Salvatore Laporta)
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Negli ultimi mesi, grazie a tecnologie molto avanzate, è stato possibile leggere alcune parole di un antico rotolo di papiro impossibile da srotolare, uno di quelli che furono carbonizzati dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e rinvenuti secoli dopo in uno degli edifici sepolti di Ercolano. Compongono l’unica biblioteca del mondo antico che sia arrivata ai nostri giorni, per quanto compromessa, e dal loro ritrovamento più di 250 anni fa i papiri affascinano filologi e altri studiosi per la possibilità che al loro interno ci siano opere letterarie greche o latine finora sconosciute.

La settimana scorsa è stato annunciato che grazie a un algoritmo basato su un sistema di intelligenza artificiale è stato possibile riconoscere la parola πορϕυρας (“porpora” in greco antico) nelle scansioni a raggi X di uno dei rotoli, che era stata realizzata col sincrotrone Diamond Light Source, un acceleratore di particelle britannico. È un grande passo in avanti, anche se non si può ancora dire se e quando sarà davvero possibile leggere per intero quello e altri rotoli. Tuttavia già negli ultimi secoli questi reperti archeologici hanno dimostrato il loro valore, permettendo di fare alcune scoperte e ispirare nuovi metodi di indagine scientifica, oltre che a prestarsi come strumento diplomatico.

– Leggi anche: Ci abbiamo messo 250 anni a leggere questa parola

I rotoli di papiro di Ercolano vennero trovati a partire dal 1752 in quella che poi venne chiamata “Villa dei Papiri”, una residenza lussuosa su quattro piani che era stata costruita su una scogliera a strapiombo sul mare. Ora i suoi resti distano più di 500 metri dal mare perché i detriti vulcanici che coprirono Ercolano spostarono la costa.

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non ebbe gli stessi effetti su Pompei e su Ercolano: la prima città venne ricoperta lentamente di ceneri e pomice, mentre la seconda, più vicina al vulcano, fu seppellita in poco tempo da una grande colata di fango. Per questo l’antica Ercolano si trovava molto più in profondità di Pompei quando, nel Settecento, si cominciarono a riportare alla luce alcune parti delle due città. Dopo l’eruzione fu praticamente dimenticata, tanto che quando nel Medioevo si formò il centro abitato all’origine dell’Ercolano odierna si usava un altro nome per indicarla: Resìna, un toponimo che si decise di sostituire con quello più antico solo nel 1969.

Lo scavo della Villa dei Papiri al di sotto dell’Ercolano contemporanea, nel 2003 (Ciro Fusco, ANSA)

La città antica fu riscoperta a partire dal 1709, quando il nobile Emanuele Maurizio di Lorena, Principe d’Elbeuf, venne a sapere che un contadino aveva trovato marmi antichi scavando un pozzo. Nei decenni successivi sia Emanuele Maurizio di Lorena che il re di Napoli Carlo di Borbone fecero scavare un gran numero di pozzi e cunicoli in tutta la zona, da cui estrassero statue e altri reperti archeologici. La Villa dei Papiri fu esplorata dall’architetto e ingegnere svizzero Karl Weber per conto del re tra il 1750 e il 1764, sempre attraverso pozzi e cunicoli, senza veri e propri scavi per riportarla alla luce. Nel corso delle esplorazioni furono recuperate una novantina di sculture, mosaici e pitture murali, oltre a più di 1.800 rotoli di papiro carbonizzati.

Nell’antichità il rotolo di carta di papiro era il formato usato per scrivere e diffondere lunghi testi scritti; ai tempi degli antichi greci e romani i libri per come li conosciamo non esistevano ancora. I papiri ritrovati a Ercolano non hanno un bell’aspetto: sono accartocciati e anneriti, e fanno pensare a feci umane rinsecchite. Si sono conservati perché a causa delle alte temperature a cui furono sottoposti in seguito all’eruzione tutta l’acqua presente nelle loro fibre evaporò, impedendo che marcissero nei secoli trascorsi sotto terra. Per la stessa ragione tuttavia le fibre hanno perso del tutto l’elasticità e per questo non possono essere srotolati. Con i rotoli apparentemente meno danneggiati ci si provò, ottenendo solo di sbriciolarli.

Quasi tutto ciò che sappiamo della letteratura greca e di quella latina deriva dalle copie realizzate a mano nel Medioevo che però non furono fatte per tutte le opere antiche. Molti testi citati in quelli a nostra disposizione sono andati perduti e tra questi ce ne sono tanti di autori importantissimi: la maggior parte delle tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, i tre principali tragediografi greci, non è stata tramandata e così più della metà dei libri sulla storia di Roma di Tito Livio, quelli dedicati al periodo tra il 290 e il 218 a.C. Per questo fin dal Settecento si spera di trovare alcuni di questi testi perduti nei papiri di Ercolano e si è data grande attenzione ai rotoli carbonizzati.

Lo scavo della Villa dei Papiri di Ercolano nel 2013 (ANSA / CESARE ABBATE)

Dopo che alcuni papiri furono tagliati e distrutti nel provare a leggerne l’interno, nel 1753 il re di Napoli incaricò un religioso genovese che lavorava alla Biblioteca Vaticana, Antonio Piaggio, di trovare un modo per srotolarli. Piaggio inventò un macchinario per aprire i rotoli molto lentamente, sfruttando la forza di gravità e utilizzando dei fili di seta per appendere i rotoli. La macchina venne usata per srotolare i papiri meglio conservati: dopo quattro anni di lento srotolamento alcuni si poterono effettivamente leggere, mentre altri ne uscirono distrutti. Complessivamente Piaggio srotolò una cinquantina di rotoli che così poterono essere studiati. Le informazioni ricavate da quei primi rotoli però furono parzialmente deludenti.

Illustrazione che mostra la macchina ideata da Antonio Piaggio (Wikimedia Commons)

Sebbene scritti in greco antico infatti nessuno di essi conteneva tragedie perdute, bensì opere di un poeta e filosofo greco poco conosciuto, Filodemo di Gadara, vissuto più o meno tra il 110 a.C. e 35 a.C., l’epoca di Cicerone. Filodemo era un seguace della filosofia di Epicuro, un filosofo ben più importante e influente vissuto tra il IV e il III secolo a.C. e di cui praticamente non ci restano scritti. Anche se il valore delle opere di Filodemo non è comparabile a quello di altri testi antichi, il loro ritrovamento è stato comunque importante perché ha permesso di scoprire cose nuove sul pensiero di Epicuro e sulla sua diffusione nei territori controllati da Roma durante la vita di Filodemo.

Inoltre questi testi permisero di fare un’ipotesi sui proprietari della Villa dei Papiri: dato che molti dei componimenti poetici di Filodemo erano dedicati a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, ricco mercante nonché suocero di Giulio Cesare, si ritiene che questi fosse il suo mecenate. Si ritiene anche che per un periodo Filodemo visse a Ercolano e vista la grande quantità di suoi scritti trovati nella Villa dei Papiri si è ipotizzato che fosse ospitato proprio lì. Dunque per questo, sulla base del legame tra Filodemo e la Villa, e del legame tra Filodemo e Pisone, che si sa era molto ricco, la tesi più accreditata è che la Villa dei Papiri appartenesse ai Pisoni.

La Villa Getty di Malibu, in California, fotografata nel 1984: l’edificio fu fatto costruire dal petroliere americano Paul Getty come una riproduzione della Villa dei Papiri di Ercolano (AP Photo/Emily Lane)

Dopo alcuni fallimenti, la macchina di Piaggio non venne più usata per i rotoli più danneggiati. Successivamente si provò a rendere nuovamente flessibile la carta di papiro con metodi chimici, cioè immergendoli in sostanze liquide diverse nella speranza che potessero reidratarne le fibre senza rovinare il testo scritto all’interno. Nessuno di questi esperimenti funzionò, cioè altri rotoli vennero distrutti, e per questo per un certo periodo si rinunciò all’impresa anche se gli studiosi di filologia continuavano a sperare che tra i rotoli ci fossero anche opere diverse da quelle di Filodemo di Gadara.

Intanto i rotoli erano diventati noti in tutta Europa e furono sfruttati dalla monarchia napoletana come strumento diplomatico. Nel 1802 Ferdinando I delle Due Sicilie, figlio del re di Napoli Carlo, donò sei rotoli a Napoleone che in quel momento minacciava di invadere Napoli: da allora quei sei papiri appartengono all’Institut de France, uno dei più importanti enti culturali pubblici francesi, e due  sono tra quelli che sono in corso di studio nel progetto che di recente è riuscito a leggere alcune nuove parole. Successivamente Napoleone invase comunque Napoli. Quando nel 1815 la Gran Bretagna aiutò Ferdinando a tornare sul trono, il re reinstaurato ringraziò l’allora principe reggente, il futuro re Giorgio IV, regalandogli 18 rotoli di Ercolano: alcuni di questi oggi sono conservati a Oxford, altri sono andati perduti.

La maggior parte comunque è tuttora conservata a Napoli, alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III.

Negli anni Ottanta del Novecento un nuovo metodo chimico ideato dal filologo norvegese Knut Kleve permise di srotolare alcuni altri rotoli, in cui sono stati trovati testi latini. La maggior parte dei papiri tuttavia non ha ancora potuto essere letta e può darsi che altri si trovino ancora all’interno della Villa dei Papiri. Tra il 1992 e il 1997 furono condotti degli scavi per riportare alla luce e rendere accessibile parte della villa, ma le indagini archeologiche, tuttora in corso, non sono finite e c’è la possibilità che altri rotoli e reperti possano essere trovati nelle zone ancora non esplorate.