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  • Venerdì 20 ottobre 2023

Gli aiuti umanitari in attesa di entrare a Gaza sono pochissimi

L'accordo tra Egitto, Israele e Stati Uniti prevede un singolo passaggio di venti camion, ma ne servirebbero cento al giorno

Aiuti fermi vicini al varco di Rafah (AP Photo/Omar Aziz)
Aiuti fermi vicini al varco di Rafah (AP Photo/Omar Aziz)
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L’arrivo dei primi aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza era previsto per oggi, venerdì. Il viaggio in Israele di mercoledì del presidente statunitense Joe Biden aveva avuto come principale risultato proprio un accordo fra Stati Uniti, Israele ed Egitto per il passaggio di aiuti, sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Al momento però non è per nulla certo che il varco di Rafah, frontiera fra Egitto e Striscia di Gaza, venga aperto entro venerdì. La consegna dei primi aiuti potrebbe essere ancora rinviata.

L’accordo prevede un primo passaggio di venti camion di materiale medico, cibo e acqua, ma non carburante: quando arriveranno (sempre che arrivino, e che non cambino di nuovo le cose) gli aiuti però saranno pochissimi.

Secondo le Nazioni Unite, servirebbero cento camion di aiuti al giorno per rispondere alle esigenze più immediate della popolazione. La Striscia di Gaza ha oltre 2,3 milioni di abitanti ed è sotto “assedio totale” e bombardamento israeliano dal 7 ottobre, il giorno dell’attacco di Hamas alle comunità israeliane vicino alla Striscia: si stima che oltre un milione di palestinesi siano sfollati e nell’area manca tutto, compresa l’acqua potabile e l’elettricità negli ospedali. Il direttore esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Michael Ryan, ha definito il convoglio di 20 camion di aiuti «una goccia nell’oceano».

Tutte le frontiere fra Gaza e l’esterno sono chiuse da due settimane. Normalmente ci sono sette passaggi, sei con Israele e uno con l’Egitto, anche se spesso non vengono aperti e attraversarli richiede un processo burocratico non rapidissimo.

Le risposte immediate di Israele agli attacchi di Hamas sono stati i bombardamenti della Striscia, il blocco di ogni passaggio di merci, acqua, cibo e carburante diretto verso Gaza e la sospensione delle forniture di acqua ed elettricità, da cui l’area dipende quasi totalmente. La chiusura completa riguarda anche la frontiera di Rafah, che di fatto l’Egitto gestisce in collaborazione con Israele: alcuni giorni dopo l’attacco, l’esercito israeliano aveva bombardato il lato palestinese della frontiera. Da allora il varco di Rafah è rimasto chiuso, l’Egitto è fortemente contrario ad aprirlo per evitare che centinaia di migliaia di profughi entrino nel suo territorio. Israele ha bloccato finora anche il passaggio di aiuti.

Da giorni tutte le organizzazioni internazionali che ancora operano nella Striscia di Gaza definiscono la situazione come un’«emergenza umanitaria».

La rete idrica non funziona praticamente ovunque e l’unica acqua disponibile è quella messa in vendita da alcuni privati che hanno piccoli impianti di purificazione alimentati da pannelli solari: il costo di quell’acqua però sta aumentando molto, e la maggior parte delle persone non può permettersela. Martin Griffiths, il capo degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite, ha detto: «Con l’attuale scarsità di acqua anche le Nazioni Unite sono costrette a limitare la distribuzione di acqua a un litro al giorno per persona. Il minimo secondo gli standard internazionali sarebbero 15 litri, i palestinesi ne stanno ricevendo uno. E quelli che lo ricevono sono i fortunati».

Distribuzione di acqua potabile nella Striscia, il 15 ottobre (AP Photo/Fatima Shbair, File)

L’altra grossa questione è il materiale medico: molti ospedali stanno lavorando in condizioni di totale emergenza da giorni: mancano antidolorifici, anestetici, medicamenti ma anche i semplici disinfettanti.

Ghassan Abu Sittah, chirurgo che lavora a Gaza e che al momento opera all’ospedale Al-Shifa, il più grande della zona, ha detto a BBC che ha iniziato a usare l’aceto per trattare le infezioni batteriche dei pazienti feriti, perché tutti i disinfettanti sono terminati.

I camion con gli aiuti fermi a Rafah (Photo by Mahmoud Khaled/Getty Images)

I primi cinque camion fermi alla frontiera di Rafah sono proprio di materiale medico: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono «pronti a partire». Nella zona egiziana vicina al varco i camion di aiuti sarebbero 100-150: la frontiera resta attualmente chiusa in attesa che la strada nella zona bombardata torni a essere percorribile. Ma poi potrà passare solo un convoglio di venti camion.

Secondo quanto riferito dall’amministrazione americana e dallo stesso presidente Joe Biden, il limitato numero di mezzi sarebbe solo un «primo passo», ma anche un test imposto da Israele.

Il governo israeliano vuole infatti verificare che la consegna degli aiuti non coinvolga in nessun modo Hamas, temendo che possa sfruttarla a proprio vantaggio: durante il passaggio sul varco di Rafah verrà esposta la bandiera dell’ONU e la distribuzione degli aiuti verrà monitorata. Biden ha detto: «Se Hamas dirotta, intercetta o si appropria degli aiuti dimostrerà una volta di più di non essere interessata al benessere del popolo palestinese. La conseguenza pratica sarà che la comunità internazionale non sarà in grado di fornire aiuti».

Ambulanze a Sheik Zwaid, in Egitto, a cinque chilometri dalla frontiera (Photo by Mahmoud Khaled/Getty Images)

Se questa prima fornitura si svolgerà invece senza violare le condizioni imposte da Israele si dovrebbe istituire un passaggio più costante e ingente, come auspicato dal segretario generale dell’ONU Antonio Guterres: «C’è bisogno immediato di cibo, acqua, medicine e carburante e ce n’è bisogno su larga scala: una piccola operazione non basta».

In realtà secondo quanto riportato da vari media fra cui il New York Times esisterebbero ancora ostacoli consistenti prima dell’approvazione di una fornitura continua degli aiuti: restano profondi disaccordi fra Egitto e Israele su come organizzare le distribuzioni e soprattutto su come ispezionare i convogli in entrata, perché l’esercito israeliano teme che possano essere utilizzati per rifornire Hamas di armi. Israele deve inoltre garantire per la distribuzione una zona sicura, che non rischi di essere bombardata.

Un’altra questione di difficile soluzione è quella relativa al carburante. Nella Striscia manca quasi del tutto e attualmente il carburante è fondamentale per attivare i generatori di emergenza e quindi per avere l’energia elettrica, anche negli ospedali. Serve per le ambulanze e per gli impianti di desalinizzazione, unica fonte di acqua potabile ora che la rete idrica di Gaza è stata scollegata dalla fornitura israeliana. Nell’accordo trovato durante la visita di Biden, il carburante non è stato incluso: Israele teme che venga utilizzato da Hamas per i suoi mezzi militari e non sembra intenzionata a voler aprire una trattativa.

– Leggi anche: Perché l’Egitto teme l’apertura del varco di Rafah