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  • Giovedì 12 ottobre 2023

Perché Hamas ha attaccato

Ci sono ancora molti dubbi su quali siano gli obiettivi e la strategia del gruppo radicale palestinese, posto che ce ne sia una

(AP Photo/Ohad Zwigenberg)
(AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Ad alcuni giorni dall’attacco di Hamas nel sud di Israele è ancora difficile avere un quadro chiaro di quali fossero gli obiettivi e i risultati che Hamas sperava di raggiungere con il feroce massacro di civili israeliani commesso dai suoi miliziani. Al momento gli israeliani uccisi da Hamas sono almeno 1.300, in gran parte civili. In risposta, da sabato mattina, Israele sta bombardando duramente la Striscia di Gaza: i palestinesi uccisi sono almeno 1.400, anche in questo caso in gran parte civili, e si stima che i miliziani morti durante l’attacco di sabato siano 1.500.

La ragione più immediata dell’attacco di Hamas è relativamente semplice: Hamas è un’organizzazione militare radicale e islamista, considerata terroristica da diversi paesi del mondo (tra cui Stati Uniti e Unione Europea), in guerra con lo stato di Israele, che vede nell’attacco di sabato un atto di un conflitto più ampio che va avanti da decenni. Questa prima spiegazione però non tiene conto del fatto che l’attacco di sabato è profondamente diverso da tutto ciò che era avvenuto in precedenza, e ha molte caratteristiche inedite: è stato un attacco sofisticato lanciato via terra, via aria e via mare, che si è concentrato in maniera sproporzionata sui civili e che, per la sua enorme gravità, era destinato a generare una reazione violentissima da parte di Israele.

Per questo è piuttosto complicato capire cosa Hamas sperava di ottenere con questo attacco, quali fossero i suoi obiettivi e le sue strategie, soprattutto sapendo che alla violenza Israele avrebbe risposto in maniera eccezionalmente dura. In altre parole: perché compiere un attacco così violento da rischiare una reazione che potrebbe mettere in discussione la stessa esistenza di Hamas? Ci sono alcune ipotesi.

Una manifestazione in celebrazione dell’attacco di Hamas a Istanbul, Turchia (AP Photo/Khalil Hamra, File)

Perché poteva
Una prima ipotesi piuttosto immediata è che Hamas abbia attaccato Israele perché poteva. Perché, cioè, si sono presentate le condizioni propizie, sia all’interno della Striscia di Gaza sia all’esterno, per un attacco massiccio e coordinato. Oggi molti analisti sono convinti che Hamas stesse preparando da tempo un grosso attacco contro Israele, e che avesse messo in atto misure di segretezza e di depistaggio per convincere Israele che non ci fosse un pericolo imminente, e per dare all’intelligence e all’esercito israeliani un falso senso di sicurezza.

È anche possibile che Hamas si fosse accorta che il sud di Israele, cioè la zona in cui si trova la Striscia di Gaza, fosse stato lasciato sguarnito dall’esercito israeliano: negli ultimi anni il governo ha spostato migliaia di truppe dal sud del paese alla Cisgiordania, dove sono da tempo in corso scontri e violenze tra i coloni israeliani e i gruppi palestinesi del luogo. Con l’intelligence israeliana ingannata dal depistaggio e l’esercito distratto in Cisgiordania, è possibile che Hamas abbia capito che era arrivato il momento giusto per attaccare.

Hamas non ha bisogno di particolari motivazioni o ragioni per attaccare Israele e uccidere e terrorizzare migliaia di israeliani. Il gruppo radicale ha in realtà come obiettivo l’eliminazione dello stato di Israele e lo sterminio del popolo ebraico. Lo statuto di fondazione di Hamas, stabilito nel 1988, lo diceva piuttosto chiaramente, riprendendo un detto di Maometto (da molti considerato apocrifo) che esortava a uccidere gli ebrei, anche se si fossero nascosti «dietro alle pietre e dietro agli alberi». Nel 2017 Hamas pubblicò un nuovo statuto che eliminava le parti che inneggiavano più apertamente al genocidio, ma buona parte della leadership ha continuato a mantenere la stessa retorica.

Ancora in questi giorni uno dei dirigenti politici di Hamas ha detto in un’intervista all’Economist che tra gli obiettivi del gruppo c’è l’eliminazione dello stato di Israele.

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Un funerale dopo l’attacco di Hamas in Israele (AP Photo/Francisco Seco)

Troppo successo
C’è però un’altra questione che bisogna considerare quando si considerano gli obiettivi e le strategie di Hamas nell’attacco di sabato. È probabile che Hamas non si aspettasse che il suo attacco sarebbe stato a tal punto devastante e avrebbe avuto, dal punto di vista del gruppo, un successo così eccezionale. È probabile, cioè, che la leadership stessa di Hamas si aspettasse che le difese di Israele sarebbero state molto più impervie e che i miliziani non sarebbero riusciti a penetrare così profondamente indisturbati in territorio israeliano, raggiungere i centri abitati al confine e massacrarne per ore gli abitanti senza incontrare vera resistenza.

Parlando con Associated Press uno dei membri della stessa leadership di Hamas ha detto: «Siamo stati sorpresi da questo grosso collasso [di Israele]», aggiungendo che i miliziani «volevano ottenere qualche risultato e prendere qualche ostaggio per uno scambio di prigionieri». Ma una volta sfondata la barriera che separa la Striscia di Gaza dal territorio di Israele, i miliziani si sono accorti che non solo la barriera non era davvero sorvegliata, ma che tutta la regione era di fatto sguarnita di forze militari. A quel punto hanno dilagato.

Questo è un elemento importante da considerare quando si cerca di capire gli obiettivi e le strategie di Hamas. È possibile che i miliziani stessi di Hamas si aspettassero di essere respinti molto prima dall’esercito israeliano, e che quindi non progettassero un attacco così devastante. Questo non sminuisce la violenza feroce di quello che è accaduto, ma contribuisce a metterla in prospettiva.

– Leggi anche: Israele era distratto

Un’automobile attaccata dai miliziani di Hamas il 7 ottobre (Alexi J. Rosenfeld/Getty Images)

L’isolamento
Un altro obiettivo molto citato dell’attacco di Hamas riguarda il fatto che, ormai da qualche anno, Hamas e la Striscia di Gaza stavano affrontando una situazione di crescente isolamento diplomatico e internazionale. Buona parte del mondo arabo – che storicamente ha sostenuto a livello diplomatico ed economico la causa palestinese – stava cambiando il proprio atteggiamento nei confronti di Israele. Alcuni paesi arabi alleati dei palestinesi avevano stipulato i cosiddetti Accordi di Abramo, cioè accordi di normalizzazione dei rapporti diplomatici e di creazione di relazioni economiche con Israele. Questi accordi, di fatto, ignoravano la questione palestinese, e Hamas e gli altri gruppi palestinesi si erano sentiti scavalcati e minacciati.

Israele era molto vicino a stipulare un accordo di questo tipo anche con l’Arabia Saudita, il più ricco e importante tra i paesi del Golfo Persico. Questo ha allarmato non soltanto Hamas ma anche il suo principale alleato, l’Iran: un riavvicinamento tra Israele e l’Arabia Saudita avrebbe minacciato i palestinesi e isolato l’Iran.

Il riavvicinamento tra Israele e i paesi arabi non è la causa immediata dell’attacco di Hamas, ma probabilmente ha contribuito a creare rabbia crescente e desiderio di rivalsa dentro alla leadership di Hamas. «O moriamo lentamente o moriamo portandoci l’occupazione con noi», ha detto all’Economist un membro del gruppo, riferendosi a Israele.

Provocare la ribellione
Tra gli obiettivi di Hamas c’è probabilmente anche quello di suscitare una rivolta più ampia contro Israele in Cisgiordania e, se possibile, anche nei paesi arabi. Per quanto riguarda i paesi arabi, per ora l’intento di Hamas non sembra aver avuto particolare successo: diversi paesi arabi si stanno mantenendo equidistanti pur avendo condannato soprattutto Israele nelle loro reazioni, e sono ben lontani dal mostrare solidarietà concreta ad Hamas.

Almeno per ora anche l’Iran e il gruppo armato libanese Hezbollah, che sono i più grandi finanziatori e sostenitori di Hamas e che hanno fornito al gruppo la gran parte delle sue armi, non sembrano disposti a scendere in campo direttamente contro Israele per aiutare i miliziani palestinesi. Le cose potrebbero cambiare, specie se Israele deciderà di invadere via terra la Striscia di Gaza, ma al momento non ci sono particolari segnali in questo senso.

In Cisgiordania la situazione è più complessa. Buona parte della regione, che secondo la comunità internazionale dovrebbe essere gestita autonomamente dai palestinesi, è in realtà occupata militarmente da Israele, che la governa in maniera piuttosto brutale. In questo contesto Hamas, sostenuta dall’Iran, si contende i consensi dei palestinesi con Fatah, partito che gestisce l’Autorità palestinese (il governo che teoricamente amministra la Cisgiordania) e che è relativamente più moderato. La retorica combattiva di Hamas – unita al fatto che Fatah è ormai un’entità corrotta e stanca guidata in maniera non democratica dall’ottantasettenne Mahmoud Abbas – ha fatto sì che Hamas diventasse sempre più popolare e potente anche in Cisgiordania, dove i suoi miliziani si scontrano periodicamente con i coloni israeliani, con violenze reciproche.

L’attacco di sabato è, almeno in parte, un modo per Hamas di dimostrare agli occhi dei palestinesi e della popolazione araba in generale di essere l’unica organizzazione in grado di fare qualcosa contro Israele e a favore della popolazione palestinese, al contrario di Fatah – questo, almeno, è il ragionamento della dirigenza del gruppo.

– Leggi anche: La posizione complicata dei politici palestinesi moderati

I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza (AP Photo/Fatima Shbair)

Una reazione sproporzionata
Rimane però molto difficile capire quali siano gli obiettivi di più lungo periodo che Hamas sperava di raggiungere con l’attacco di sabato, e se il gruppo avesse davvero una strategia che andasse oltre il massacro indiscriminato. Alcuni analisti cominciano a pensare che questa strategia non ci sia, in parte perché Hamas non si aspettava il successo eccezionale che ha avuto nell’attacco di sabato. Alcuni hanno definito l’attacco di Hamas un «successo catastrofico», perché ottenendo risultati che sono andati molto al di là degli obiettivi iniziali Hamas provocherà una reazione altrettanto violenta da parte dello stato di Israele.

Altri analisti pensano, invece, che l’obiettivo di Hamas fosse proprio quello di provocarla, questa reazione. Cioè che Hamas cercasse una risposta violenta da parte di Israele. Sul Washington Post l’esperto di terrorismo Peter Krause ha detto che l’obiettivo di Hamas sembra quello di forzare il governo a rispondere in maniera sproporzionata: l’attacco «spingerà Israele a cercare di distruggere Hamas, cosa che potrebbe finire per rafforzare il gruppo e per aggravare l’impulso dei palestinesi a favore della vendetta».

La speranza di Hamas, secondo questo ragionamento, è che la risposta israeliana all’attacco sarà così violenta e distruttiva che il mondo si rivolterà contro lo stato di Israele, e Hamas finirà per emergere agli occhi del mondo arabo come l’unica forza di resistenza all’oppressione israeliana, anche se questo significherà enormi perdite tra la popolazione di Gaza.

Queste differenti interpretazioni stanno portando anche a una certa discussione su come definire l’attacco di Hamas. Alcuni ritengono che l’attacco sia un atto di guerra. Lo fanno per esempio le Nazioni Unite, che in un comunicato ufficiale hanno chiesto a entrambe le parti, Hamas e Israele, di «rispettare le leggi della guerra». Un atto di guerra di solito è compiuto con una strategia in mente e con precisi obiettivi da raggiungere, ma al momento non sembra del tutto chiaro quali siano quelli di Hamas.

Altri analisti avvicinano l’attacco di Hamas a un attentato terroristico, che è meno legato alle strategie di lungo periodo ma ha obiettivi più immediati: diffondere terrore e odio, ovviamente, e poi suscitare nelle proprie vittime una risposta sproporzionata, come è quella che sta mettendo in atto Israele.