Al governo non è piaciuta la sentenza sui migranti del tribunale di Catania

La presidente del Consiglio Meloni è «basita», mentre il ministro dell'Interno Piantedosi ha detto che potrebbe essere impugnata

(EPA/Domenic Aquilina)
(EPA/Domenic Aquilina)

Lunedì la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e altri importanti esponenti del governo hanno criticato la sentenza con cui lo scorso sabato il tribunale di Catania aveva ordinato la liberazione di quattro migranti tunisini detenuti nel nuovo Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Pozzallo, in provincia di Ragusa. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che il governo sta pensando di impugnare la sentenza.

In un post su Facebook, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è detta «basita» e ha definito «incredibili» le motivazioni presentate dalla giudice che ha emesso la sentenza, Iolanda Apostolico. «Non è la prima volta che accade e purtroppo non sarà l’ultima. Ma continueremo a fare quello che va fatto per difendere la legalità e i confini dello Stato italiano. Senza paura», ha scritto Meloni. Anche il leader della Lega Matteo Salvini ha criticato la decisione scrivendo su X, il social network precedentemente noto come Twitter, che servirebbe una «profonda riforma della giustizia».

La notizia della sentenza era stata diffusa lo scorso sabato e coinvolge quattro migranti tunisini tra i 23 e i 38 anni, arrivati via mare a Lampedusa a metà settembre. Secondo quanto previsto dal decreto Cutro, dopo l’identificazione i migranti sono stati posti in stato di detenzione amministrativa e portati al CPR di Pozzallo, come richiesto dal questore di Ragusa, in attesa che la loro domanda di protezione internazionale fosse esaminata con una procedura accelerata. Alcuni avvocati avevano però fatto ricorso contro il provvedimento di detenzione: il tribunale di Catania, tramite la giudice Apostolico, ha deciso di non convalidare la richiesta del questore e i quattro uomini sono quindi stati liberati, provocando le critiche del governo.

La decisione è stata difesa dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), Giuseppe Santalucia, secondo cui è normale che alcune decisioni della magistratura siano in contrasto con quelle del governo: «Questo non deve essere vissuto come un’interferenza, questa è la democrazia», ha detto.

Negli ultimi giorni diversi giornali con posizioni vicine a quelle del governo, e in generale della destra, hanno pubblicato alcuni articoli in cui sostengono che la decisione di Apostolico sia stata una conseguenza delle sue posizioni personali solidali con le persone migranti, intuibili da alcuni post pubblicati sui suoi profili social. Per esempio, un articolo del Giornale racconta che negli anni Apostolico ha condiviso su Facebook alcune petizioni che invitavano i governi italiani ed europei a migliorare le politiche di ingresso e accoglienza dei migranti, e una che invece chiedeva di sfiduciare l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, nel 2018. Secondo Il Giornale Apostolico segue anche alcune ong impegnate nell’accoglienza e nella difesa dei richiedenti asilo, e quindi implicitamente le sostiene.

Queste supposizioni dei giornali sono state raccolte da Salvini, che ha commentato il presunto «orientamento politico» di Apostolico dicendo che questo «è grave ma non sorprendente», e che «i tribunali non possono essere trasformati in sedi della sinistra». Sara Kelany, deputata e responsabile del dipartimento Immigrazione per Fratelli d’Italia, ha definito «gravissimo» il fatto che chi ha giudicato il caso di Pozzallo abbia «manifestato sui social convinzioni politiche contro Salvini e a favore delle politiche immigrazioniste delle ong».

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Al momento l’account Facebook della giudice non è più disponibile. Parlando con l’Ansa, Apostolico ha commentato le polemiche dicendo che «non si deve trasformare una questione giuridica in una vicenda personale».

La sentenza ha giudicato illegittime alcune parti del decreto Cutro, approvato dal governo lo scorso marzo per ostacolare gli arrivi di migranti irregolari via mare. Il testo prevede che, subito dopo l’identificazione, le persone migranti provenienti da paesi considerati “sicuri” (ossia in cui secondo il governo vengono rispettati l’ordinamento democratico e i diritti umani) non vengano inserite nel normale sistema di accoglienza, ma siano poste in stato di detenzione amministrativa in “centri per le procedure accelerate di frontiera”, in attesa della risposta alla propria richiesta di protezione internazionale. L’unico centro attualmente attivo è quello di Pozzallo, da 84 posti.

L’attesa in questi centri dovrebbe durare al massimo 28 giorni. Un successivo decreto attuativo approvato dal ministero dell’Interno a fine settembre ha stabilito che i migranti destinati alla procedura accelerata possono versare allo Stato una “garanzia finanziaria” di circa 5mila euro per evitare di attendere la risposta alla loro richiesta d’asilo nei centri di detenzione amministrativa e rimanere, invece, in libertà.

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Nella sua forma attuale, la “garanzia finanziaria” introdotta dal governo era già stata ampiamente criticata e definita incostituzionale da alcuni osservatori, perché di fatto introduce nel trattamento delle persone migranti una discriminante basata sui mezzi economici. Inoltre, secondo alcuni osservatori la distinzione prevista dal decreto Cutro tra richiedenti asilo provenienti da paesi “sicuri” e “non sicuri” sarebbe incompatibile con le norme italiane ed europee, secondo cui chiunque arrivi sul territorio nazionale deve poter presentare domanda di protezione internazionale.

Anche l’applicazione della definizione di paese sicuro, contenuta in una direttiva europea del 2013, è controversa. Oggi il ministero dell’Interno italiano considera “sicuri” 16 paesi, tra cui la Tunisia, dove però il presidente Kais Saied ha progressivamente smantellato lo stato di diritto, accentrato i poteri e imprigionato i suoi oppositori politici.