Dentro al parlamento ucraino non si discute solo di guerra

Ma anche di economia e pornografia, tra le altre cose, nonostante sia meno frequentato di prima

di Davide Maria De Luca

Volodymyr Zelensky al Parlamento ucraino a febbraio (Ukrainian Presidential Press Off/Planet Pix via ZUMA Press Wire)
Volodymyr Zelensky al Parlamento ucraino a febbraio (Ukrainian Presidential Press Off/Planet Pix via ZUMA Press Wire)
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A metà agosto un gruppo di deputati ucraini guidato dall’economista Yaroslav Zhelezniak ha presentato una proposta per legalizzare la pornografia. Per via di una vecchia legge, in Ucraina è vietato persino scambiarsi immagini di nudo tra adulti consenzienti. Soltanto nei primi otto mesi del 2023 sono stati aperti 699 casi per produzione, vendita o scambio di materiale pornografico. A luglio un tribunale della città di Poltava ha condannato una donna a pagare l’equivalente di mille euro per aver scambiato due video intimi con il suo compagno.

Da tempo è in corso una campagna per abolire questa legge considerata superata e lo scorso inverno il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto al suo primo ministro di «studiare la faccenda». Zhelezniak sostiene che rendendo legale la pornografia e tassandola adeguatamente si potrebbero incassare fondi preziosi per finanziare lo sforzo bellico e la ricostruzione. Tra gli altri, la campagna è appoggiata da Teronlyfans, un gruppo che raccoglie fondi per le forze armate vendendo video e fotografie su OnlyFans. Per ora, a causa della legge anti pornografia, il materiale che producono è piuttosto casto per gli standard della piattaforma.

Con i sondaggi che indicano l’opinione pubblica nettamente divisa sulla questione, non è chiaro che fine farà la proposta di Zhelezniak. Ma dopo oltre un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione, una strana normalità sta tornando del paese. Anche ai livelli più alti di governo e parlamento, la guerra non è più l’unica cosa di cui ci si occupa.

Il Parlamento ucraino (Ukrainian Presidential Press Office via AP)

Democrazia in guerra
«È almeno dal giugno dello scorso anno che la politica ha fatto il suo ritorno», dice Andrii Osadchuk, deputato di Holos, un partito fondato nel 2019 dal musicista Svyatoslav Vakarchuk. «Un buon termometro della temperatura politica è il numero di emendamenti che vengono proposti». Un numero, dice, che da oltre un anno è in costante crescita.

Holos è uno dei tre principali partiti che formano l’opposizione al governo di Zelensky (ciò che resta dei partiti filorussi, dopo le purghe seguite all’invasione, è di fatto passato con la maggioranza). Gli altri due, Solidarietà europea e Patria, sono guidati da due personalità importanti della politica ucraina: Petro Poroshenko, che è stato presidente tra il 2014 e il 2019, e la prima ministra uscita dalla “Rivoluzione arancione” del 2004, Yulia Tymoshenko (la “Rivoluzione arancione” fu un movimento nato per protestare contro i brogli avvenuti durante le elezioni presidenziali ucraine del 2004 vinte dal filorusso Viktor Yanukovich).

Holos si distingue non solo per una tradizione politica più recente, ma anche perché la sua opposizione al governo è meno intransigente. «Personalmente comprendo le scelte difficilissime che deve fare Zelensky», dice Osadchuk, seduto in quello che chiama ironicamente il suo «ufficio»: un caffè immerso nei giardini intorno alla Grande porta dorata, nel pieno centro di Kiev. Osadchuk e i suoi colleghi parlamentari hanno deciso che in parlamento è meglio andarci il meno possibile.

Non sarà Bakhmut, ma con i continui bombardamenti russi sulla capitale, anche la Verkhovna Rada, il nome ufficiale del parlamento ucraino, può finire sul fronte in qualsiasi momento.

Soltanto un anno e mezzo fa, quando i russi erano molto vicini a Kiev e ai parlamentari e ai loro staff venivano distribuiti fucili AK-47, la Rada sembrava davvero in “prima linea”. «Andare in parlamento in quei giorni sembrava un suicidio», ricorda Osadchuk. Nonostante i pericoli, alla riunione del 24 marzo, quando bisognava votare la legge marziale e lo stato di guerra, si sono presentati in trecento su 450. «Nonostante le divergenze politiche, in quei giorni il parlamento ha dato un enorme contributo, votando centinaia di regolamenti per la guerra. Ma ancora più importante è stato il gesto simbolico», dice Osadchuk.

Insieme alla decisione di Zelensky di restare a Kiev, in un certo senso le regolari riunioni del parlamento nonostante la guerra restituirono agli ucraini e al mondo l’immagine di una classe politica decisa a difendere il paese.

Oggi non c’è più rischio di un assalto al parlamento, ma Lypky, il quartiere governativo di Kiev, resta una specie di fortezza, con le strade chiuse da bunker e filo spinato. L’accesso è proibito ai giornalisti, a parte occasioni speciali.

Rimane il pericolo dei missili e per questo la Rada si riunisce in media una volta ogni due o tre giorni, ma le pause tra una riunione e l’altra possono arrivare anche a più di una settimana. I parlamentari discutono nelle commissioni, si accordano nei caffè e quando è pronto un pacchetto di leggi e provvedimenti abbastanza corposo corrono in parlamento per approvarlo il più in fretta possibile. Raramente le sessioni durano più di quattro o cinque ore.

(Pool /Ukrainian Presidentia/Planet Pix via ZUMA Press Wire)

Entrare in Europa
La sede di Servitore del popolo, il partito del presidente Zelensky che controlla la maggioranza assoluta dei seggi nella Rada, occupa un piano di un moderno centro congressi in uno dei parchi della capitale che affacciano sul fiume Dnipro. «È inevitabile che in una democrazia si ritorni a fare politica, anche durante una guerra», dice Vadym Halaichuk, deputato e segretario per le questioni internazionali del partito: «Ci sono questioni economiche e di ogni altro tipo su cui decidere. Proviamo ad accordarci e vorrei poter dire che l’abbiamo fatto sempre senza problemi, ma non è così».

Per via del suo incarico, Halaichuk è al centro della discussione sull’integrazione europea. Dopo la rivoluzione del 2014, quando grosse proteste di piazza a Kiev portarono all’allontanamento dal potere dell’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich, l’Ucraina ha inserito l’entrata nella NATO e nell’Unione Europea nella sua Costituzione. Anche se gli intricati processi legislativi necessari a portarla a termine occupano raramente le prime pagine dei giornali, l’integrazione europea è uno degli impegni principali di governo e parlamento. È anche uno dei temi su cui l’opposizione fa più spesso battaglia, accusando il partito del presidente di usarla per far passare ogni tipo di provvedimento.

Nonostante le polemiche, Halaichuk dice che sono stati fatti grandi progressi. Cinque delle sette raccomandazioni da soddisfare per iniziare il negoziato sull’ingresso nell’Unione sono già state raggiunte. Mancano le due più delicate: la tutela delle minoranze linguistiche e la lotta alla corruzione.

«In passato le questioni linguistiche sono state a lungo utilizzate per dividere gli ucraini», dice Halaichuk. Ma con la mobilitazione per la guerra, assicura, la maggior parte dei problemi sono stati superati. «Tutti combattono per la difesa del paese e l’oppressione delle minoranze si è dimostrata solo propaganda». Trovare il giusto quadro legislativo per tutelare le minoranze in un paese dove da anni lingua ed etnia sono al centro di un conflitto sanguinoso, però, non è semplice e poco tempo fa il governo ha dovuto posporre di un anno l’entrata in vigore di una legge sulla scuola, accusata di non tutelare a sufficienza la minoranza linguistica ungherese.

La corruzione
In genere i diplomatici europei liquidano le questioni linguistiche come prese di posizione dei vicini dell’Ucraina – Ungheria, Polonia e Romania – a uso e consumo delle loro opinioni pubbliche interne. In altre parole, ostacoli che saranno facili da superare.

La corruzione, invece, è un’altra faccenda. Secondo la classifica di Transparency International, che si basa su valutazioni di esperti e sondaggi di opinione e indica quanto un paese viene considerato “onesto”, l’Ucraina è il paese più corrotto d’Europa dopo la Russia. I sondaggi indicano che per gli ucraini è la principale preoccupazione dopo la guerra e l’economia.

Eletto con la promessa di mettere fine alle pratiche criminali, Zelensky ha deluso gli elettori e oggi il 77 per cento degli ucraini lo ritiene responsabile per gli episodi di corruzione che si verificano nel governo e nelle forze armate.

I suoi alleati non lo stanno aiutando a migliorare questa immagine. Il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, si è dovuto dimettere per le inchieste di magistratura e giornali, mentre i parlamentari del suo partito hanno contribuito a far passare una norma che rimanda di un anno l’obbligo di pubblicare redditi e proprietà dei parlamentari, costringendolo a mettere il veto sulla legge in seguito alle proteste dei partner europei.

Sotto pressione, Zelensky ha proposto di equiparare i casi più gravi di corruzione al tradimento in tempo di guerra, ricevendo nuove critiche da opposizione e organizzazioni della società civile. «È un’idea piuttosto pericolosa», dice Oleksii Goncharenko, dirigente del partito di opposizione Solidarietà europea, il partito guidato dall’ex presidente Petro Poroshenko. «Significa che i casi più gravi passeranno dalla competenza della procura indipendente anticorruzione a quella dell’intelligence alle dirette dipendenze del governo».

– Leggi anche: Le grosse operazioni anti corruzione in Ucraina

Il Centro per l’azione anticorruzione, una ong con sede a Kiev, ha ricordato diversi episodi avvenuti in anni passati in cui indagini dal contenuto politico affidate all’intelligence sono state insabbiate. Uno di questi casi, verificatosi nel 2020, riguardava Oleh Tatarov, vicecapo di gabinetto di Zelensky e ritenuto l’autore materiale della proposta di legge che equipara la corruzione al tradimento.

Se la proposta dovesse arrivare in parlamento approderà alla commissione di cui Osadchuk, il deputato di Holos, è vicepresidente: «Anche se appoggio molte proposte del governo, su questa la penso come il mio collega Goncharenko. Ma credo anche che non riuscirà a passare e che sarà presto abbandonata».

Petro Poroshenko nel 2018 (Mykola Lazarenko/Presidential Press Service Pool Photo via AP)

Elezioni?
Un altro segnale che la politica in Ucraina ha ripreso un corso quasi normale è stato il dibattito sulla possibilità di tenere elezioni in tempo di guerra. La Costituzione ucraina rende complicato votare mentre è in vigore la legge marziale e Zelensky aveva sempre affermato che le elezioni parlamentari previste per ottobre del 2023 e le presidenziali della primavera 2024 sarebbero state rimandate a «dopo la vittoria».

Ma questa estate i giornali ucraini si sono riempiti di retroscena politici che alludevano alle intenzioni della maggioranza di trovare un modo di votare il prima possibile, mentre i consensi di Zelensky sono al loro massimo. Ad agosto il presidente del parlamento, uno strettissimo alleato del presidente, è sembrato dare sostanza a queste voci affermando che non ci sarebbero reali ostacoli a un voto durante la legge marziale (un’opinione legalmente controversa). Poco dopo, in un’intervista in cui sottolineava le enormi difficoltà a votare in tempo di guerra, lo stesso Zelensky è sembrato aprire alla possibilità.

L’ipotesi è stata attaccata duramente dall’opposizione. «Votare non vuol dire sempre democrazia, in alcune circostanze può anche portare all’autoritarismo», dice Goncharenko, ricordando che l’attuale situazione ucraina è del tutto anomala, con la maggioranza delle televisioni sostanzialmente sotto controllo del governo e molti altri poteri straordinari ancora in atto.

Di fronte alla reazione la proposta è rapidamente rientrata. Zelensky non ne ha più parlato e il suo ministro degli Esteri ha escluso che si terranno elezioni prima della fine della legge marziale.

Le preoccupazioni sull’economia
La situazione economica generale è una preoccupazione anche per il governo. Nel 2022 l’Ucraina ha perso un terzo del suo PIL e un quarto dei suoi abitanti ha lasciato il paese. Oggi più di 7 milioni di ucraini vivono sotto la soglia di povertà e il tasso di disoccupazione è al 15 per cento.

Di fronte a questa situazione, governo e parlamento ucraino hanno due obiettivi principali: trovare le risorse per continuare a finanziare la macchina dello stato (cioè la guerra, ma non solo) e preparare l’Ucraina che verrà dopo il conflitto.

L’obiettivo di mettere al sicuro le finanze è stato risolto, almeno per il momento. In primavera, il governo ha sottoscritto un accordo con il Fondo monetario internazionale che, a sua volta, ha sbloccato una serie di prestiti da donatori internazionali. L’accordo è accompagnato da uno stringente piano di austerità che limita molto il margine di manovra del governo. Kiev dovrà privatizzare nuove imprese statali, alzare le tasse e tagliare le spese. Nel frattempo, la banca centrale ha alzato i tassi di interesse, una misura che ha conseguenze dirette sui cittadini. Per le persone in Ucraina oggi è praticamente impossibile ottenere un prestito. Per acquistare una casa, ad esempio, o si paga tutto subito oppure si deve chiedere un finanziamento al costruttore, spesso a tassi di interesse elevatissimi.

Nel frattempo le accise sui carburanti sono state alzate dal 7 al 20 per cento, mentre la spesa sanitaria, quella per l’istruzione e per la cultura sono state tagliate. Anche gli stipendi dei militari non impegnati al fronte sono stati ridotti di 7 volte rispetto al livello a cui erano all’inizio del conflitto. Il governo, però, ha preferito non toccare la flat tax, cioè una tassa con un’aliquota unica per tutti, indipendentemente dal reddito. Privati e imprese continuano a pagare il 18 per cento di imposte sul reddito, indipendentemente da quanto guadagnano. Anche la mini-tassa aggiuntiva per finanziare le spese militari, fissata all’1,5 per cento, è pagata da tutti allo stesso modo.

Molte di queste misure sono state rese necessarie dall’economia di guerra, ma governo e maggioranza hanno approfittato della guerra per far passare anche leggi più controverse, come una riforma che limita i diritti dei lavoratori e il potere dei sindacati.

Mentre tradizionalmente gli stati impegnati in conflitti su larga scala rafforzano le capacità di coordinare l’economia, il governo ucraino, ha scritto Luke Cooper, direttore del programma PeaceRep dalla London School of Economics and Political Science, «ha seguito un approccio sperimentale basato su un modello di deregolamentazioni e di risorse allocate dal mercato».

L’obiettivo a lungo termine, dicono governo e maggioranza, è rendere l’Ucraina un paese attraente per i grandi investitori internazionali e finanziare così la ricostruzione. «Investire in Ucraina sarà la più grande opportunità in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale», ha detto Zelensky un anno fa, all’inaugurazione di una seduta della Borsa di New York.

Diversi economisti, però, temono che la situazione dell’Ucraina post conflitto non sarà abbastanza stabile da garantire un terreno propizio agli enormi flussi di investimenti privati che si aspetta il governo di Kiev, e questo nonostante la bassa tassazione, i sindacati deboli e le regole del lavoro flessibili.

Delle opportunità e dei rischi di questa strategia la politica ucraina parla poco. A grandi linee, tutti i principali partiti che siedono al parlamento ucraino appoggiano questo programma, anche perché appartengono tutti alle famiglie del centrodestra europeo. Servitore del popolo, il partito di Zelensky, fa parte dell’alleanza dei liberali Alde, così come Holos. I partiti di Poroshenko e Tymoshenko sono invece parte dei Popolari europei.

Con la marginalizzazione dei partiti filorussi, il centrosinistra ucraino è sostanzialmente scomparso. Al momento del voto sulla controversa legge sul lavoro, l’opposizione si è divisa tra chi ha votato a favore e chi si è astenuto. In tutto il parlamento, soltanto 13 deputati del partito dell’ex prima ministra Tymoshenko hanno votato contro.