La storia della “battaglia dei sessi”

Cinquant'anni fa un uomo e una donna si sfidarono in una delle partite di tennis più famose di sempre, che cambiò molte cose

(AP Photo/File)
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Cinquant’anni fa, il 20 settembre del 1973, si giocò una delle partite di tennis più famose della storia. Venne chiamata “la battaglia dei sessi”, perché a sfidarsi furono un uomo e una donna, una rarità: Bobby Riggs e Billie Jean King, entrambi statunitensi. Vinse Billie Jean King, la donna. Le storie intorno a quella partita e il suo esito ebbero negli anni successivi un’enorme influenza sul tennis, sullo sport e più in generale sulla società e sulla cultura. La partita tra Riggs e King fu raccontata anche in un popolare film uscito nel 2017, intitolato appunto La battaglia dei sessi, con i due tennisti interpretati rispettivamente dagli attori Steve Carell e Emma Stone.

L’importanza storica di quella sfida non fu tanto verificare o smentire le convinzioni sulle differenze fisiche e atletiche tra uomini e donne nello sport, ma piuttosto arrivare a cambiare il modo in cui se ne parlava, fino al punto di non dover necessariamente mettere a confronto tennis maschile e femminile per stabilire quale dei due avesse più valore dal punto di vista sportivo.

Come in molti sport basati sulla prestanza fisica, oltre che sulla tecnica, nel tennis donne e uomini non possono competere alla pari: nel 1998, per fare un esempio, il tennista numero 203 al mondo sconfisse con grande facilità entrambe le sorelle Venus e Serena Williams, che giocavano già ad altissimi livelli e sarebbero poi diventate due delle tenniste più forti della storia.

Nel 1973 Bobby Riggs aveva 55 anni, si era ritirato dal tennis professionistico da 14 dopo aver vinto in carriera una volta il torneo di Wimbledon e due volte gli US Open, due dei cosiddetti “slam”, i quattro tornei più importanti del mondo. Era un tipo che faceva spesso parlare di sé per il suo carattere esuberante e sopra le righe (fu soprannominato “the hustler”, che in questo contesto si può tradurre con “lo spaccone”), ma stava simpatico a molti. Dopo anni dal ritiro sperava di riacquistare un po’ di popolarità, così nel febbraio del 1973 organizzò una conferenza stampa a San Diego in cui sostenne che il tennis maschile era superiore a quello femminile, e che nonostante l’età e il ritiro avrebbe potuto battere senza fatica le migliori tenniste dell’epoca, l’australiana Margaret Court e la californiana Billie Jean King.

Riggs puntava soprattutto a King, e cercò di convincerla più volte sfidandola in pubblico. King aveva 29 anni, aveva già vinto un Australian Open, cinque Wimbledon, un Roland Garros e tre US Open (tutti i quattro “slam”, quindi). In quel momento era al secondo posto della classifica delle tenniste professioniste ed era già stata a lungo anche al primo posto. Ma King non era solo una delle tenniste più forti della sua generazione: era una convinta femminista e una attivista per i diritti delle donne, in un periodo importantissimo per il raggiungimento di alcuni storici obiettivi verso la parità di genere nel tennis. Per questo Riggs cercava così insistentemente lo scontro con lei.

In quello stesso anno, il 1973, King per esempio ottenne che per la prima volta uno dei tornei più importanti, gli US Open, abolissero il divario salariale tra uomini e donne: ci riuscì minacciando di non partecipare al torneo, dopo che aveva vinto consecutivamente le due edizioni precedenti. In quel periodo era la tennista statunitense di punta, la più amata, e sfruttò la sua popolarità per mettere pressione sul più importante torneo che si gioca negli Stati Uniti. Di lì a poco King avrebbe fondato anche la WTA, l’associazione internazionale delle tenniste, per garantire loro maggiore rappresentanza. Fu l’inizio di un lungo percorso per l’ottenimento di maggiori diritti per le donne nel tennis, che sono stati raggiunti più che in altri sport.

King rifiutò la sfida di Riggs in modo plateale: «Qui c’è un vecchio sfigato che perde capelli, ondeggia come un’anatra e ci vede poco. Non abbiamo niente da guadagnarci». A quel punto Court, che aveva 30 anni ed era al primo posto della classifica, decise di accettare, convinta che Riggs «fosse solo un tizio dalla bocca larga» e piuttosto certa di vincere, dato che in allenamento aveva battuto uomini più forti di lui. Riggs fece di tutto per attirare l’attenzione della stampa e presentare la partita come «l’incontro del secolo». I due si affrontarono il 13 maggio del 1973 a Ramona, in California, davanti a tremila persone: vinse Riggs in soli 57 minuti e due set, 6–2, 6–1.

Gli appassionati di tennis ricordano l’episodio come il Mother’s Day Massacre (era infatti il giorno della Festa della mamma). Court aveva sottovalutato Riggs e soprattutto non aveva previsto il valore simbolico dell’incontro. King, che aveva assistito alla partita, capì allora di dover sfidare a sua volta Riggs per rimediare a quella sconfitta. Dal canto suo Riggs era intenzionato ad approfittare del momento di popolarità e disse subito ai giornalisti di voler giocare contro King.

La partita si giocò il 20 settembre 1973 all’Astrodome di Houston in Texas, con un premio di 100 mila dollari per il vincitore. Nel frattempo si era creata un’enorme aspettativa attorno al match, alimentata dagli stessi protagonisti: Riggs disse che il posto delle donne era «a letto e in cucina, in quest’ordine» e si definì «un maiale sciovinista». Il 20 settembre all’Astrodome si riunirono più di 30 mila persone – negli Stati Uniti detiene ancora il record di pubblico per una partita di tennis – e più di 90 milioni di spettatori (50 milioni negli Stati Uniti) seguirono l’incontro in tv.

Il fatto che la partita non fosse valida per alcun torneo permise vari strappi alla consueta sobrietà solenne delle partite di tennis. King entrò in campo simile a una moderna Cleopatra, circondata di piume rosa, trasportata su una lettiga dorata da quattro ragazzi a petto nudo e vestiti da schiavi antichi. Riggs arrivò su un carro trainato da modelle. Al contrario di Court, che aveva preso il match sottogamba, King si era preparata accuratamente, sia dal punto di vista fisico che tattico: per quella sfida abbandonò il suo stile, solitamente molto offensivo, e giocò soprattutto da fondo campo, facendo stancare l’avversario e sfruttando maggiormente i suoi punti deboli. La partita si giocava al meglio dei 5 set: King vinse per 6–4, 6–3, 6–3, senza concedere neanche un set.

Riggs saltò oltre la rete per stringerle la mano, la abbracciò e le disse all’orecchio «ti avevo sottovalutata». Dopo la conferenza stampa in cui si complimentò più volte con King, Riggs si chiuse nella sua camera d’albergo per quattro ore, da solo, mentre i suoi collaboratori entravano di tanto in tanto per controllare che stesse bene. Chiese subito la rivincita, ma King rifiutò: disse che non c’era nient’altro da dimostrare.

La vittoria di King ebbe un grosso impatto sulla società americana, in un’epoca in cui il divario di genere nei salari, anche a parità di mansioni, era molto più marcato di oggi, in cui le donne erano spesso relegate a mestieri considerati “femminili” e non potevano abortire. Soltanto l’anno prima era stata approvata una legge che vietava la discriminazione di genere nelle scuole e nello sport. King disse: «Pensavo che se non avessi vinto la partita saremmo tornati indietro di 50 anni. Avrebbe rovinato il campionato femminile e avrebbe influito sull’autostima di tutte le donne». Molti commentatori sottolinearono da subito che la vittoria di King non fu tanto fisica e tattica, quanto piuttosto mentale ed emotiva: aveva dimostrato che le donne erano in grado di reggere la pressione quanto gli uomini. L’episodio contribuì anche a dare una spinta al tennis femminile, fin lì sottopagato e considerato decisamente inferiore rispetto a quello maschile.

Col tempo King divenne un’icona dei diritti delle donne e successivamente anche della comunità LGBT+, dopo aver detto pubblicamente di essere lesbica. Raccontò di essere stata fermata più volte per strada da donne che le raccontavano di aver trovato il coraggio di chiedere un aumento di stipendio dopo aver visto la sua partita con Riggs, e anche da padri che, commossi, le dicevano di aver deciso grazie a lei di istruire le figlie con gli stessi criteri dei figli maschi, spronandole a studiare quello che volevano all’università e a non sentirsi inferiori ai colleghi uomini. Nel 1990 la rivista Life scelse King tra i «100 americani più importanti del XX secolo»: gli unici altri tre atleti della lista erano i giocatori di baseball Babe Ruth e Jackie Robinson e il pugile Muhammad Ali.

Subito dopo la partita però iniziarono a circolare speculazioni sulla possibilità che Riggs avesse perso di proposito per guadagnare dalle scommesse e ripagare i numerosi debiti dovuti al gioco. Molti tennisti e commentatori si dissero convinti di questa tesi: Riggs aveva giocato in modo fiacco, quasi irriconoscibile, ed era secondo molti il tipo da barare per soldi. Il tennista Don Budge sostenne che la mafia avesse pagato Riggs una cifra enorme – dai 200 mila ai 550 mila dollari – perché perdesse. Altri invece dissero che Riggs era troppo orgoglioso e competitivo, e non avrebbe mai accettato di perdere contro una donna. Riggs, che è morto nell’ottobre del 1995, ha sempre negato di aver perso apposta, dicendo che semplicemente non era in giornata.

La tesi della partita truccata è stata avanzata nuovamente in anni recenti: accadde per esempio nel 2013 all’interno del programma Outside the Lines di ESPN, riferita poi anche in un articolo dal giornalista Don Van Natta. Hal Shaw, un uomo di 79 anni, raccontò ad Outside the Lines di aver tenuto segreta per 40 anni una conversazione tra gangster a cui aveva assistito, in cui discutevano della proposta di Riggs di perdere la partita e ottenere in cambio che gli venissero abbuonati i debiti di gioco che aveva con loro. All’epoca Shaw aveva 39 anni e lavorava come assistente di un istruttore di golf a un club di Tampa, in Florida. Non era chiaro perché avesse deciso di raccontare pubblicamente la cosa dopo così tanto tempo, né ci furono prove oltre alla sua testimonianza.

Il migliore amico di Riggs, Lornie Kuhle, negò decisamente le accuse di Shaw: «Sono stato con Bobby giorno e notte per 20 anni. Sono l’esecutore del suo testamento. So quanti centesimi ha in banca, conosco tutti gli assegni che ha scritto e ogni scommessa che ha fatto. Non ha mai fatto una scommessa in cui era coinvolta la mafia o cose del genere». Dal canto suo King commentò che «molte persone, soprattutto uomini, non sono contente quando una donna vince. Non gli piace e allora si inventano storie. Ci pensano e ci ripensano ed è dura per loro, è davvero dura per il loro ego». In passato King aveva già respinto le insinuazioni dicendo che «potevo vedere negli occhi e nei movimenti di Riggs che voleva vincere. Le persone devono accettare che ha avuto una brutta giornata, proprio come ce l’ha avuta Margaret Court quando ha giocato contro Bobby».

In un documentario per HBO Billie Jean King raccontò che negli anni lei e Riggs erano diventati amici. Riggs nel frattempo si era ammalato di cancro alla prostata e lei aveva iniziato a chiamarlo spesso per sapere come stava. Lo chiamò anche nella notte del 24 ottobre del 1995. Gli disse che gli voleva bene, ha raccontato King, e lui rispose allo stesso modo. Poi lui stesso aggiunse «Beh, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo davvero fatto la differenza, no?». Fu l’ultima volta che si parlarono: il giorno dopo, a 77 anni, Riggs morì.

Billie Jean King oggi ha 79 anni e vive tra New York e Chicago con la moglie Ilana Kloss, un’ex tennista sudafricana. Nel 2006 le è stato intitolato il grande centro tennistico di New York – il più grande al mondo – nel quale ogni anno si giocano gli US Open. Nel 2009 è diventata la prima atleta donna a ricevere la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile negli Stati Uniti, consegnata dal presidente Barack Obama. A lei è intitolata la massima competizione tennistica femminile per nazionali, la Billie Jean King Cup. Ancora oggi è citata come un esempio da moltissime tenniste, tra cui quelle che si sono spese maggiormente per la parità dei diritti delle donne nel tennis, come le sorelle Williams negli ultimi decenni o più di recente Coco Gauff.

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