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  • Sabato 3 settembre 2022

Chi è stata Serena Williams

La sorella minore di Venus, un esempio per gli afroamericani, un'icona femminista e probabilmente la più grande tennista di tutti i tempi

di Riccardo Congiu

Serena Williams (Elsa/Getty Images)
Serena Williams (Elsa/Getty Images)

La sconfitta agli US Open contro Ajla Tomljanovic segna la fine della carriera di Serena Williams da giocatrice di tennis, lo sport in cui è stata molto probabilmente la più forte di tutti i tempi. A quasi 41 anni, Williams è stata complessivamente numero 1 al mondo per 319 settimane — più o meno sei anni — e ha vinto 73 titoli nel circuito maggiore, di cui 23 nei tornei del Grande Slam, i più importanti e prestigiosi: più di chiunque altro nel tennis moderno, sia maschile che femminile.

Nella lettera a Vogue con cui aveva annunciato il suo ritiro, qualche settimana fa, Williams ha detto di sperare che con il passare degli anni le persone arrivino a pensare a lei come «un simbolo di qualcosa di più grande del tennis». In realtà ci sono molte ragioni per dire che è già successo, e i suoi record non bastano a spiegare perché sia quasi unanimemente considerata la più grande di sempre. Afroamericana, proveniente da una famiglia modesta, cresciuta in un ghetto di una città disagiata, Serena Williams si è incredibilmente imposta in uno sport giocato storicamente quasi solo da bianchi, in circoli frequentati prevalentemente da persone facoltose.

È diventata con sua sorella Venus – anche lei tennista tra le più forti degli ultimi decenni – il punto di riferimento di moltissimi afroamericani e neri che grazie al loro esempio si sono avvicinati al tennis. Ha delegittimato radicati stereotipi sul corpo delle atlete, sul loro comportamento e sul loro modo di vestirsi in campo. Ha portato avanti numerose battaglie per la parità dei diritti delle donne nello sport e nel lavoro.
Secondo Martin Blackman, il direttore generale per lo sviluppo dei giocatori della federazione tennistica americana, «è iniziato tutto con Venus e Serena», e la loro ascesa «ha attirato migliaia di ragazze nello sport, non solo afroamericane ma di ogni origine e provenienza». La sua storia nel tennis infatti non ha riguardato solo il tennis.

Serena Williams è nata a Saginaw, nel Michigan, da genitori afroamericani, Richard Williams e Oracene Price. Da piccola si trasferì con la famiglia a Compton, in California, una città di circa 100mila abitanti nella contea di Los Angeles, considerata uno dei luoghi più pericolosi degli Stati Uniti e da decenni stabilmente tra le prime città per il livello di criminalità.

Quando sposò Richard Williams, Oracene Price aveva già tre figlie: Yetunde, Lyndrea e Isha. Insieme ne ebbero altre due, Venus nel giugno del 1980 e Serena nel settembre del 1981. Fin da prima che nascessero, Richard Williams si convinse che sarebbero diventate due grandissime giocatrici di tennis. Si mise a studiare lo sport e cominciò ad allenarle lui stesso quando erano ancora piccolissime, insieme alla moglie che intanto aveva istruito sulle cose che aveva imparato.

Nella lettera a Vogue, Serena Williams ha scritto: «Mio padre dice che presi per la prima volta una racchetta in mano quando avevo tre anni, ma credo sia successo anche prima. C’è una foto di Venus che mi spinge in un passeggino su un campo da tennis, e non potevo avere più di diciotto mesi».

Non c’erano molte alternative agli allenamenti in famiglia: i campi nei circoli e gli allenatori costavano troppo, così ogni pomeriggio il padre portava Venus e Serena a giocare nei campi pubblici di Compton, che erano in cemento, all’aperto e molto rovinati. «C’erano vetri rotti qua e là. Crepe nel cemento. Lattine di soda, bottiglie di birra, cartacce dei fast food», raccontò Serena Williams. «Non era esattamente il campo centrale del Roland Garros, ma era l’unico che conoscevamo».

È noto che gli allenamenti fossero durissimi: duravano ore, fino a tarda sera, e si svolgevano con ogni condizione meteorologica. Quando le figlie avevano più o meno 10 e 9 anni, Richard Williams cominciò a cercare un coach di alto livello che fosse disposto ad allenarle gratis, convinto solo dal loro talento o dalla possibilità che questo potesse significare grossi guadagni in futuro.

Il primo che convinse fu Paul Cohen, allora allenatore di campioni già affermati come Pete Sampras e John McEnroe. Cohen accettò di allenare gratis solo una delle due sorelle, e scelse Venus, che per diversi anni sembrò la più promettente tra le due. Serena continuò ad allenarsi con la madre e con il padre, mentre Venus cominciò a vincere tornei juniores e a farsi notare come una delle migliori giovani tenniste americane.

Nel 1992 la famiglia Williams stipulò un contratto con Rick Macci, uno dei migliori allenatori americani dell’epoca: si sarebbero tutti trasferiti a Delray, in Florida, dove Macci aveva la sua accademia. Lui avrebbe dato loro una casa e avrebbe allenato gratis Venus e Serena in cambio di una percentuale dei guadagni che avrebbero avuto una volta entrate nel circuito. Come parte dell’accordo, Richard Williams sarebbe entrato nel team di Macci.

Le sorelle Williams e il padre in un campo da tennis in Florida nel 1992 (Ken Levine/Allsport/Getty Images)

Venus Williams esordì in un torneo del circuito maggiore a 14 anni, nel 1994, sorprendendo addetti ai lavori e appassionati per il suo talento e la sua precocità. Dovette però crescere ancora come giocatrice prima di iniziare a vincere: il primo titolo arrivò nel 1998, e da lì in poi fu una crescita costante, fino al biennio 2000-2001 in cui fu la dominatrice indiscussa del circuito. In quei due anni vinse i suoi primi Slam, due Wimbledon e due US Open consecutivi.

Fino a quel momento, Serena Williams era per tutti “la sorella minore di Venus”, anche lei promettente ma certamente meno forte. «Quando ero piccola non ero molto brava a tennis. – ha scritto nella lettera a Vogue – Fui molto triste quando non ebbi tutte le prime opportunità che ebbe Venus, ma questo mi ha aiutato».

Ad ogni modo, Serena Williams ha scritto che questa situazione la costrinse a lavorare di più, facendola diventare una «combattente selvaggia». «Andavo ai tornei di Venus come sua compagna di palleggi e se c’era un posto libero, giocavo. L’ho seguita in giro per il mondo e l’ho osservata. Quando perdeva, capivo perché e mi assicuravo di non perdere allo stesso modo. È così che ho iniziato a scalare velocemente le classifiche, perché ho imparato le lezioni dalle sconfitte di Venus invece che nel modo più difficile, dalle mie».

Venus e Serena Williams in una foto scattata prima della semifinale di Wimbledon del 2000 (AP Photo/Adam Butler/pool)

Nonostante l’ascesa di Venus, fu Serena a vincere per prima uno Slam, agli US Open del 1999, quando aveva ancora 17 anni. Nei grandi tornei successivi però fu fermata dagli anni migliori di Venus, che vinse cinque dei primi sei incontri tra le due sorelle nel circuito, tra cui una finale Slam agli US Open del 2001.

Il 2002 fu l’anno in cui i rapporti di forza si invertirono: Serena vinse tre Slam consecutivi in una stagione – Roland Garros, Wimbledon e US Open – tutti e tre battendo in finale Venus, e la scavalcò al numero uno della classifica mondiale. Da allora nessuno ebbe più dubbi su chi fosse la Williams più forte. Complessivamente le sorelle si sono incontrate nel circuito 32 volte: in 19 di queste ha vinto Serena. «Se non fossi stata all’ombra di Venus – ha scritto Serena su Vogue – non sarei mai stata chi sono. Quando qualcuno diceva che ero solo la sorella minore, allora sì che mi infiammavo davvero».

Tra il 2002 e il 2003 Serena Williams vinse consecutivamente tutti e quattro gli Slam, un’impresa che venne rinominata “Serena Slam”, per distinguerla dal cosiddetto “Grande Slam” o “Calendar Slam”, cioè la vittoria dei quattro tornei più importanti all’interno dello stesso anno (nel tennis moderno cosa riuscita solo a Rod Laver, Margaret Court e Steffi Graf).

A livello di gioco, le sorelle Williams – ma ancor più Serena – furono delle innovatrici: praticavano un tennis aggressivo come fino a quel momento non si era mai visto, riuscendo spesso a vincere gli scambi entro i primi colpi. Erano però anche in grado di sostenere scambi più prolungati, grazie alla potenza dei colpi da fondo campo. Molti esperti sono concordi nel riconoscere che Serena abbia avuto il servizio migliore della storia del tennis femminile, non solo per la potenza e la precisione, ma anche per il modo in cui riusciva a variare i tipi di servizio che batteva.

Una delle maggiori innovazioni nei colpi delle Williams fu l’uso sistematico dell’“open stance” (cioè “posizione aperta”). Invece di colpire il dritto e il rovescio girandosi di profilo, con la linea dei piedi perpendicolari alla rete, Venus e Serena hanno sempre colpito in modo piuttosto “frontale”, una pratica generalmente considerata svantaggiosa perché consente di imprimere meno forza nei colpi a causa di una minore rotazione del braccio e del busto. Non si insegna nelle scuole di tennis e secondo molti è stata introdotta con regolarità solo dalle Williams, che grazie alle loro doti naturali riuscivano a non perdere potenza, esasperando la rotazione del busto verso il lato opposto a quello del colpo (è emblematico in questo senso il rovescio di Serena).

Entrambe migliorarono nel gioco a rete grazie alle partite di doppio giocate in coppia: a partire dal 1999 Venus e Serena hanno vinto 14 Slam in doppio, senza mai perdere una finale, e tre ori olimpici.

Nelle vittorie il mondo scoprì anche il carattere di Serena Williams, esuberante e sfacciato, molto diverso dalla grazia e dalla gioia contenuta che si era soliti vedere nelle campionesse femminili. «Diversamente da Venus, che è sempre stata stoica e di classe, io non sono mai riuscita a contenere le mie emozioni», ha scritto su Vogue. Serena Williams mostrava tutta la fatica che faceva per arrivare a una vittoria, e urlava e saltava quando l’aveva ottenuta.

Con lei cambiò molto il codice di comportamento in campo delle tenniste, e dopo di lei molte altre iniziarono a mostrare il pugno al termine di un punto vinto, o a esultare senza porsi troppi limiti alla fine delle partite come prima facevano solo gli uomini.

Serena Williams dopo un punto vinto contro la russa Maria Sharapova agli Australian Open del 2007 (AP Photo/Vincent Thian, File)

Nel corso della sua carriera ricevette anche molte critiche per il modo in cui si arrabbiava con le avversarie e con gli arbitri fino a diventare maleducata. Agli US Open del 2009 una guardalinee le assegnò un punto contro per un fallo di piede sulla seconda di servizio (non si può calpestare la linea mentre si serve), mandando l’avversaria a matchpoint. Serena si girò con rabbia verso le guardalinee e le disse: «Giuro su Dio che prendo questa cazzo di pallina e la ficco nella tua cazzo di gola». Le fu dato un altro punto di penalità e perse la partita, tra i fischi del pubblico.

«Ci sono stati moltissimi incontri che ho vinto perché qualcosa mi aveva fatto arrabbiare», ha detto Serena nella lettera a Vogue. «Ho costruito una carriera incanalando la rabbia e la negatività e trasformandole in qualcosa di buono», ha ribadito, anche se non sempre ci è riuscita.

Serena Williams contro Angelique Kerber agli US Open del 2007 (AP Photo/Ed Betz)

Il suo successo riaprì periodicamente il dibattito sul corpo delle tenniste, all’interno del quale ricevette insulti e critiche basati su pregiudizi razzisti e sessisti, secondo i quali il suo fisico muscoloso era poco attraente e non si addiceva a una donna nel tennis. Nel 2014 l’allora presidente della federazione tennistica russa chiamò Venus e Serena «i fratelli Williams» con argomentazioni simili. Questi stereotipi oggi esistono molto meno soprattutto grazie alla sua capacità di assorbire le critiche e rispondere sempre con fermezza, e hanno permesso a molte altre tenniste di non vergognarsi più di avere un fisico muscoloso.

«Mi piace pensare che grazie alle opportunità concesse a me, le atlete donne sentono di poter essere se stesse sul campo», ha scritto su Vogue. «Possono giocare in modo aggressivo e mostrare i pugni. Possono essere forti e allo stesso tempo belle. Possono indossare ciò che vogliono, dire quello che vogliono, dare calci nel sedere ed essere orgogliose di tutto questo».

Fin dai suoi primi tornei, Serena Williams si fece notare anche per il modo in cui si vestiva in campo. Da giovane si presentò molte volte con ai capelli le perline con cui sua madre pettinava spesso lei e Venus in occasioni importanti.

Serena Williams durante gli US Open del 1999 (AP Photo/Kathy Willens, File)

Andando avanti col tempo osò sempre di più, incurante delle critiche che le venivano regolarmente rivolte per i completi indossati. Come quando agli US Open del 2004 si presentò con dei lunghi stivali e un completo di jeans, che aveva appositamente chiesto a Nike dopo aver visto un paio di pantaloncini in jeans indossati dal tennista statunitense André Agassi. La parte degli stivali che copriva le gambe si poteva sfilare, e Serena Williams la toglieva regolarmente dopo il riscaldamento, quando però tutti li avevano già ampiamente notati.

Continuò a indossare completi firmati ed eccentrici, mai visti sui campi di tennis, di volta in volta concepiti con gli sponsor per i singoli tornei, che talvolta celebravano ricorrenze particolari. I media del settore si chiedevano di continuo cosa avrebbe indossato la volta successiva. Ancora nel 2018 fece discutere una tuta nera molto aderente che indossò al Roland Garros, che gli organizzatori del torneo giudicarono inappropriata alla tradizione del luogo.

Gli stivali di Serena Williams durante un riscaldamento agli U.S. Open del 2004 (Al Bello/Getty Images)

La sua testardaggine arrivò anche a cambiare le regole del gioco: dopo essersi lamentata di aver subito grossi torti agli US Open nel 2004 per le chiamate dei guardalinee su diversi punti, ottenne l’introduzione in molti tornei della tecnologia nota come “occhio di falco”, che stabilisce con un sistema di telecamere e calcoli statistici se una pallina sia dentro o fuori dal campo, eliminando gran parte degli errori umani.

Insieme a sua sorella Venus, Serena intervenne con regolarità anche per lamentarsi della disparità dei montepremi tra uomini e donne: fu soprattutto grazie a loro che nel 2007 arrivarono a pareggiare i montepremi i due Slam che ancora non lo avevano fatto, Wimbledon e Roland Garros. Più tardi lo fecero anche altri importanti tornei americani, anche se la situazione generale è ancora oggi di grande disparità.

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Parte della grandezza di Serena Williams è poi dovuta alla sua capacità di tornare a livelli altissimi dopo periodi di grande difficoltà, come hanno saputo fare solo campioni come Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic. Nel 2010 Williams aveva 29 anni, aveva vinto tredici Slam, e c’erano già articoli di riviste specializzate che la celebravano come la più forte di tutti i tempi, nonostante ci fossero tenniste nella storia che avevano vinto molto di più.

Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, però, si procurò un infortunio al piede ed ebbe una grave embolia polmonare, che la costrinse a fermarsi a lungo e a perdere molte posizioni nella classifica mondiale. Al suo ritorno toccò il punto più basso con l’eliminazione al primo turno al Roland Garros del 2012, subita in modo molto netto da una tennista decisamente sotto il suo livello. L’umiliazione la spinse ad assumere l’allenatore francese Patrick Mouratoglou, noto per il suo carattere deciso e opinioni spesso discutibili.

In un momento in cui si pensava che la carriera di Serena Williams si stesse avviando verso la fine – come succede a molti tennisti e tenniste dopo i trent’anni, anche i più vincenti – all’improvviso ricominciò. Fu anche grazie a Mouratoglou, che la stimolò a concentrarsi maggiormente sui record, e sul diventare la più vincente della storia. Appena un mese dopo quell’eliminazione al Roland Garros, riuscì a vincere Wimbledon, e a 31 anni tornò numero uno al mondo, la più anziana di sempre a riuscirci. Negli anni successivi dosò le sue partecipazioni per arrivare al meglio solo nei tornei importanti, e continuò a vincere diversi Slam, finché nel 2015 riuscì a realizzare un altro “Serena Slam”.

Nel mentre le sue rivali di sempre si erano ritirate, lei instaurava nuove rivalità e continuava a uscirne vincitrice. Esordivano giocatrici che erano cresciute col suo poster in camera, ma le sue partecipazioni ai tornei non divennero mai un’esibizione fine a se stessa: fino all’ultimo anno e mezzo Serena Williams è rimasta competitiva. Nel 2017 vinse l’ultimo Slam della sua carriera, agli Australian Open, che fu storico per diversi motivi: perché tornò a giocare una finale con sua sorella Venus e perché con quella vittoria raggiunse il traguardo delle 23 vittorie, superando le 22 di Steffi Graf.

Serena Williams dopo aver vinto gli Australian Open nel 2017 (Scott Barbour/Getty Images)

Poco tempo dopo, inoltre, si scoprì che aveva vinto quel torneo mentre era incinta già di due mesi di sua figlia: una circostanza che naturalmente non si era mai verificata nel tennis, e che sfatò altri miti sull’incompatibilità tra l’atletismo di alto livello e la maternità. Parlò molto apertamente del fatto di aver giocato mentre allattava e durante la depressione post partum, incoraggiando altre atlete a non precludersi la possibilità di avere figli durante la propria carriera.

Dopo la maternità tornò a vincere diversi importanti tornei e giocò quattro finali di Slam, pur non riuscendo più a vincerne. Rimase quindi a un passo dall’ultimo record che ancora le mancava: superare i 24 Slam ottenuti dalla tennista australiana Margaret Court, che però giocò in un tennis molto diverso, negli anni Sessanta e Settanta e in tornei assai meno lunghi e competitivi. Annunciando il ritiro ha detto di non pensarci troppo, anche se ha ammesso che era uno dei suoi propositi.

L’obiettivo che più di tutti si era posta durante la sua carriera, e più volte dichiarato, è però riuscita a ottenerlo: cioè quello di diventare un esempio per molti altri atleti e atlete. Lo aveva affermato per la prima volta quando aveva solo 11 anni, più o meno 30 anni fa, in una delle sue prime interviste. Una giornalista le chiese: «Se fossi una tennista, a chi vorresti assomigliare?». Rispose con la solita sfrontatezza: «Vorrei che fossero le altre ad assomigliare a me».

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